L’intimo delle giapponesi è legato a una serie di storie e perversioni annesse che lo trasformano in qualcosa di molto più complesso del semplice cambio di mutandine. Perché ne parliamo ora? Perché non è un caso che, recentemente, abbia iniziato a tenere banco su Instagram l'assurda moda dello slip con cameltoe di silicone, che le adolescenti nipponiche stanno comprando a montagne su Aliexpress

Negli anni 90 una ragazza giapponese che non aveva abbastanza denaro per pagarsi gli studi ha avuto un’idea geniale: vendere i suoi slip usati ai feticisti, conservati in barattolini sigillati ermeticamente per conservarne l’aroma. Semplice, perverso e senza conseguenze per la propria reputazione. Il passaparola è stato subito intenso e l’esempio imitatissimo, tanto da diventare un business di tutto rispetto con vendita nei sexy shop e persino distributori automatici nelle strade di Tokyo (per le emergenze olfattive degli estimatori). Ora è un commercio così diffuso in tutto il mondo che è stato ripreso anche dalla serie tv Orange is The New Black, dove le detenute si lanciano in un commercio clandestino di mutande da smerciare fuori dal carcere.

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Le ragazze jap adorano la biancheria di Victoria’s Secret, ne seguono le sfilate online e ammirano gli angeli della nota maison americana di lingerie, soprattutto ne invidiano le gambe lunghissime, che per loro sono spesso un miraggio. Ma un po’ per facilitare le spedizioni, un po’ per nazionalismo, ne acquistano le imitazioni locali con i nomi che distorcono quelli del famoso brand, come Vittoria Bra, Intimates Secrets, e via dicendo...

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Le donne giapponesi non usano quasi mai biancheria color carne, o di altri colori neutri. Il mercato dei consumi interni dimostra che preferiscono orientarsi su colori, fantasie, modelli e materiali sempre diversi e stravaganti. Di conseguenza, le collezioni dei brand nazionali (anche molto proviene dalla Cina) devono produrre in continuazione novità, magari di poca durata, ma che soddisfino il capriccio momentaneo di portare un coordinato reggiseno e mutandine rosso acceso con pois bianchi anche senza essere delle teenager giapponesi. Nemmeno la stoffa per ombrelloni osa tanto.

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I reggiseni giapponesi, così come la maggior parte di quelli prodotti nei paesi asiatici, hanno misure in cui noi caucasiche entriamo difficilmente. Non perché siano più piccoli (anche loro ne producono più taglie), ma soprattutto perché le combinazioni misura e coppa sono diverse. Non per niente, le ragazze dei manga vengono disegnate magrissime e con seni enormi: perché essendocene poche sono un sogno erotico del maschio nipponico. Per cui un’italiana con la seconda misura e una coppa C difficilmente troverà su un catalogo giapponese roba interessante da provare. Ma siccome gli stilisti locali stanno cercando progressivamente di adattarsi al mercato mondiale, se volete fare un tentativo, i nomi delle marche di intimo giappnese più interessanti e all'avanguardia da ordinare online sono: Wacoal, Amo's Style, Amphi, Tuche, Risa Magli, Absorle, Ravijour, PeachJohn.

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L’ossessione degli uomini giapponesi per le mutandine delle giovanissime è risaputa e inquietante. È legata alla cultura del Buru-sera, il concetto secondo cui la ragazzina innocente e pura costituisce il massimo della sensualità, e che si esprime soprattutto attraverso il culto della studentessa in divisa, ovviamente con minigonna a pieghe. La gonna corta si alza infatti con un colpo di vento generando un altro fenomeno 100% nipponico, il panchira, che è la perversione dell’intravedere fortunosamente uno slip. Azione che a volte viene forzata da molestatori discreti che incollano uno specchietto sulla punta della scarpa o scattano foto sotto l’orlo delle gonne nei mezzi pubblici affollati (la Polizia ne arresta a frotte). Ogni anno in Giappone si svolge una fiera che attira 20mila visitatori e che celebra ironicamente questa follia, e dove si vendono articoli ancora più folli come l’ombrello che, aperto, dà la sensazione di trovarsi sotto la gonna di una ragazzina.

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E pare che sempre in Giappone sia nato una ventina di anni fa il genere di pornografia chiamata semplicemente “Toilette” e che ha moltissimi estimatori nel mondo (i “film” sono disponibili anche in Italia da tempo). Si realizzando nascondendo una telecamera in un bagno pubblico, con l’inquadratura orientata in modo che non si veda il viso della “protagonista”. Il fine è quelli di riprendere dalle ginocchia in giù le donne inconsapevoli che abbassano gli slip, e che poi, finito quello che devono fare, escono indisturbate. I vari spezzoni vengono montati fino a raggiungere una (noiosa) 40ina di minuti. Se si sente la donna parlare in giapponese con un’amica fuori dalla porta, mentre è intenta nella funzione intima, il filmato vale di più.

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E infine, anche le ragazze giapponesi sono ossessionate a vicenda dallo spionaggio della biancheria altrui. Uno studio commissionato da Wacoal ha provato a chiedere a un campione di donne jap se si soffermano mai a guardare di nascosto la biancheria delle altre, mentre si cambiano negli spogliatoi comuni delle terme. Hanno risposto praticamente tutte di sì. La maggior parte ha spiegato di farlo per motivi fashion, per scoprire nuovi modelli da comprare. In realtà è anche per biasimare silenziosamente chi ne indossa di vecchia e sbrindellata dai lavaggi, un passo falso imperdonabile. Ecco perché se vi capiterà di visitare un Onsen, il bagno termale caldo in Giappone, assisterete a una vera e propria sfilata di biancheria nuova, scintillante e invidiabile addosso alle clienti, da fare invidia ad Adriana Lima e Heidi Klum. Non dimenticate di farvi trovare pronte.

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