La scorsa domenica la United Airlines ha negato l’imbarco su un volo da Denver a Minneapolis a due ragazze. Il motivo? Indossavano un paio di leggings. La notizia sarebbe probabilmente rimasta alla cronaca locale se al gate a documentare e twittare non ci fosse stata Shannon Watts, fondatrice di MomsDemand (un movimento nato per sensibilizzare il problema della vendita di armi negli States), e donna sempre in prima linea quando si tratta di difendere i diritti in generale, quelle delle donne (rifiutate dopo il check in) in particolare. «All’imbarco un agente della United Airlines sta negando l’accesso a una ragazzina perché indossa un paio di leggings. Dicono che lo spandex di cui sono fatti non sia permesso in volo». Si legge nel suo primo tweet seguito da un altro che racconta della seconda ragazzina fermata «per i suoi leggings grigi. Apparentemente un paio di normalissimi pantaloni da yoga, appropriati e per nulla fuori luogo. Ma a quanto pare la compagnia ha un codice di abbigliamento che deve essere rispettato. La stanno costringendo a cambiarsi perché vestita così non potrà salire a bordo».

Tweet virali all’istante = polemica gigantesca. E, ovviamente, l’indignazione degli internauti pronti a gridare allo scandalo servendosi del loro prevedibile imperativo “Vergognatevi!”. Da quando una compagnia aerea snobba il look di un passeggero? Allora cosa dovrebbero fare a quelli che non rinunciano a flip flop e pantaloncini (retaggio non solo teutonico)? Al posto di pensare agli standard di sicurezza! Pensassero allo sporco che troviamo sui sediliLe conclusioni (immaginiamo) più quotate.

Leggings in aereo: la notizia del rifiuto diventa un casopinterest
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Ma per uscire dall’impasse e sedare la polemica sul nascere, la serenissima risposta della compagnia è arrivata quasi subito. «Ringraziamo chi c’era e ha lanciato la notizia, voi siete stati i nostri occhi e le nostre orecchie», si legge nella dichiarazione pubblicata sul sito della United Airlines, «Uno dei vantaggi di lavorare per una compagnia aerea è che i nostri dipendenti possono viaggiare per il mondo, ma soprattutto che un numero selezionato di persone a loro vicine possono a loro volta godere degli stessi privilegi. Si tratta di parenti o amici che sfruttano il benefit di viaggiare gratuitamente o di poter usufruire di forti sconti. A tutti coloro che hanno questo privilegio però, in quanto per noi rappresentanti della compagnia, chiediamo un codice di abbigliamento preciso. I passeggeri che sono stati fermati fanno parte di questa categoria ma i loro abiti non erano conformi alle regole stabilite. Per tutti i nostri clienti abituali, invece, i leggings sono i benvenuti».

Una dichiarazione che abbatte qualsiasi insinuazione e rende sterili le polemiche di coloro (moltissimi) che li hanno tacciati di sessismo. Nessuno ha voluto mettere alla gogna i leggings (ci pensa già chi si chiede se indossarli tutti i giorni sia un serio problema), né tanto meno giudicare il modo di vestire dei passeggeri.

Forse la prova che un tweet può essere paragonato, per fragilità di fonti e rischio di “contagio, a una fake news? La falsità di un titolo di un articolo online ha lo stesso fine di un tweet indignato, click facile per uno, commenti e condivisioni per l’altro? Una cosa è certa, pare che oggi indignarsi sia cosa per fanatici. Aiuto.