Tipi, stereotipi. Quello a cui si rivolge la moda delle sfilate per la prossima primavera estate 2017 è uno sciame desiderante di tipologie femminili: la sciura borghese, la vergine non suicida, la pragmatica, la vamp e la vampira, l’istitutrice e la sua pupilla, l’isterica, l’esotica, la psicotica, l’erotica, l’oblata, la fata, la trans e la transennata, la sirena e la regina, la folk e la bifolk(a), la risolta e la problematica, la gina e l’androgina. Proprio quando sembrava che l’asessualità avesse avuto la meglio sulla distinzione dei generi, in un trionfo dei sensi appagati da tenerezza di creature parimenti fluide e genitalmente irrilevanti, sulle passerelle si ripropongono questioni: esiste ancora la femminilità, come concetto da mettere in pratica e in cui magari esercitarsi se proprio non ci si è portati? E, se la risposta è affermativa, le domande che seguono sono: come farne materia d’abbigliamento? Come ricavarne un convenienza qualsiasi, sia pure d’altissimo livello - cioè appagamento interiore, serenità, dolcezza - o uno stipendio emotivo assai più terra terra, tipo sentirsi più fighe e quindi più sensuali? E poi: sicuramente gli stilisti non potevano prevedere che, durante il calendario delle sfilate ci sarebbe stato il “Fertility Day”. Però è successo, e quindi le donne si stanno domandando anche se e come vestirsi o svestirsi serva ancora a qualcosa che abbia a che fare più con se stesse o più con il mondo intorno. Un mondo in cui dall’alto viene chiesto loro di darsi da fare, di ritornare a esser fattrici del proprio destino e dei propri figli, visto che al proprio partner non viene richiesto alcuno sforzo, se non un fuggevole amplesso. Latita la creatività, aumentano i dilemmi. C’è un continuo interrogarsi su ciò che si è stato per scoprire ciò che si potrebbe essere: dalla signora della buona società di Miuccia Prada che, accantonata la disperazione che trasuda da ogni pagina di giornale o dallo sfoglio di Flipboard sullo smartphone, sceglie la loquacità della superficie e rimette in gioco tutte le regola della piaciona casta ma astuta: bordi di piume orlano la gonna a portafoglio, le bluse si chiudono fino al collo ma con una placca slacciabilissima, si va in giro in pantofole tracimanti marabù.

immagine non disponibilepinterest
Getty Images
Prada Primavera Estate 2017

Da Gucci Alessandro Michele fa sfilare categorie femminili volutamente distanti, ognuna diversa dall’altra e ognuna dai referenti culturali differenti: Renato Zero (sì, perché no?) e l’esoterista e satanista Aleister Crowley, in una sfilata che è ipnosi e psicoanalisi su una colonna sonora in cui Florence Welsh declama versi di William Blake e dove su uno stesso abito da sera lieve come un sospiro di rammarico, riesce a far convivere parole estranee come “Hollywood”, “Future”, “Cemetery” e “Forever". Addirittura Diesel - disegnata da Andreas Melbostad - indugia nei colori pastello e piega il denim a forgiare vestine da bambole, Alberta Ferretti sceglie la sartorialità perfetta di gonna a balze al vago sapor di flamenco, Alessandro dell’Acqua per N°21 propone alle Millennials abiti color della neve da corredo della bisnonna e parla di “femminilità consapevole”. Giorgio Armani drappeggia il suo blu su implacabili giacche e short che seguono il neologismo “Charmani”, ma senza effetti collaterali di coquetterie o di allusioni di alcun tipo. Figuriamoci se di tipo sessuale. Sono creazioni destinate a sedurre? No, se non ad autocorteggiatrici. Sono lontani i tempi in cui, come nel meraviglioso saggio Della seduzione (1979), Jean Baudrillard scriveva che questa stabiliva un ribelle «ordine di segni e di rituali» in contrasto con l’ideale borghese della produzione. Una seduzione sediziosa, insomma. Assimilato, digerito, ormai scontato il tema del genderless c’è un costante rispecchiarsi di esempi che hanno segnato e disegnato l’essere femmina lungo il corso del tempo. Ma è un’illusione, forse dall’altra parte dello specchio non c’è più un uomo, non c’è più nessuno che vorrà farei galante e indulgere in altre amenità da coppia del Novecento.

immagine non disponibilepinterest
Getty Images
Gucci Primavera Estate 2017

Esemplare è la collezione di Jeremy Scott per Moschino, forse la più potente e insieme la più drammatica fatta finora: l’invito - un flacone di pillole, forse psicofarmaci, forse barbiturici - è solo l’ingresso in un mondo bidimensionale dove tutto, dagli abiti da sera alla Marilyn Monroe fino ai costumi da bagno, è fotografato, disegnato e stampato con precisione anastatica su silhouette di tessuto bianco. Dietro di loro, il vuoto. Sono “paper dolls” che hanno le linguette da ripiegare che spuntano in fuori perché non hanno neanche un corpo vero cui appigliarsi. Non a caso lo stilista americano fa esplicito riferimento a uno dei romanzi umanamente più spaventosi sulla condizione femminile, La valle delle bambole, di Jacqueline Susann: è la storia di tre ragazze che che arrivano dalla provincia americana, approdano a Manhattan per cercare fortuna. E, a loro modo, la trovano: una recita nei musical di Broadway, un'altra lavora nella pubblicità, la terza riesce a sposare un attore-cantante famoso. Poco per volta, però, la buona sorte le abbandona. E allora, per tirare avanti, l'unica consolazione restano le "bambole" ovvero, nel gergo di quegli anni, le pasticche che servono a trovare un po' di pace o di eccitazione. Finché anche quelle non si trasformano in uno strumento di autodistruzione.

immagine non disponibilepinterest
Getty Images
Moschino Primavera Estate 2017

Queste collezioni viste finora - alcune belle, bellissime, tutte di squisita fattura e per una volta non troppo amanti del vintage, cercano una nuova via a quella brutta espressione usata da molte donne, ovvero: «in quanto donna». E allora? In quanto donna, sotto le stampe a fiori, i colori bonbon, i volant, i ricami, le frange, le paillettes, le trasparenze negate da altre trasparenze, c’è una malinconia fatta di voile e lacrime, di abiti stampati da étoile del Bolshoi e la nostalgia di un certo non-so-che mancante all’appello. Queste sfilate hanno la vocazione a dare una parola di incoraggiamento a una ragazza che in fin dei conti, anche se può contare su suoi conti correnti, si sente minacciata da una congiura ben orchestrata capeggiata da un’agguerrita compagine di nuove rivali: gli uomini. Sono loro - ancora loro, sempre loro - a tradirle definitivamente trasformandosi nelle nuove dive (sì, al femminile) sulla scena dell’entertainment. A cominciare da Matteo Renzi, ovviamente. Fotografato da Annie Leibovitz per Vogue America nel numero di ottobre.