Dunque, vediamo: un'agenda zeppa di contatti giusti, per prima cosa. Qualche decina di migliaia di followers su Twitter, per seconda. Qualche decina di migliaia di likes su Facebook, Instagram, qualsiasi social network, per terza. E poi, random: un'ottima amica di nome Lady Gaga; dei colpacci mediatici che inturgidiscano la quantità di fan tipo l'abito di bistecche per la suddetta amica; essere l'esponente di un'estetica sexy & manga che strizzi l'occhio alla comunità 3G (Global Glamourous Gay: tra i consumatori, quelli che più di altri investono in vestiti); conoscere il mercato con la consulenza per Uniqlo, colosso del low cost style.

Più di Bastianich, meglio di Cracco, Nicola Formichetti è un masterchef della comunicazione di moda: che poi non sia lui a realizzare le sue ricette (alla fine dell'ultima sfilata di Mugler, che ha diretto fino a pochi giorni fa, è uscito con il designer Sébastien Peigné) è particolare (ir)rilevante. La nomina del demiurgo italo-giapponese – nasce a Tokyo e cresce a Roma - a direttore artistico di Diesel, non ha niente di «pazzo», come dice il lungimirante Renzo Rosso. E se lo ripete due volte in una frase («Ho finalmente incontrato qualcuno più pazzo di me. Nicola condivide la mia visione e lavorare con lui è fantastico: due pianeti che si incontrano per dare vita a idee nuove, fresche, pazze. Con il suo aiuto voglio infrangere ancora di più le regole e far conoscere la vera Diesel alle nuove generazioni». Domanda: è mai esistita una Diesel “non vera”?), rafforza e conferma il sospetto. Non poteva esserci scelta più saggia, ponderata e, possiamo dirlo?, prevedibile (Rosso, la stimiamo troppo per pensare che si possa offendere). Altro che follia. All'industria della moda, oggi, servono connessioni e piattaforme, consensi trasversali, tecnoapplausi non per ciò che si fa, ma per il personaggio che si è. Da brava formichetta, Formichetti ha capitalizzato una carriera in cui è giustamente nebulosa una specifica competenza, lasciando alle cicale creative l'ingrato compito di saper fare qualcosa di preciso. È un bene? Mah. È un male? Ma va'. È il liberismo economico 3.0, bellezza. Ma di pazzia non c'è traccia. C'è solo lungimirante, saggio e inveterato marketing. Che Diesel venda quanto e più di prima, lo speriamo davvero tutti. Sani di mente (e no).