«The italian fashion is in a dark mood» afferma stentoreo Tomas Maier. Che per Bottega Veneta ha realizzato una collezione di architettonica purezza virata al nero dei cappottini disegnati intorno al corpo per eroine di film noir dal fascino pericoloso, ma di chic inarrivabile. Le sfilate di Milano disegnano una silhouette femminile forte e fortemente romantica: dalle gypsy deluxe di Ferragamo (che nel citare un certo Yves Saint Laurent degli anni Settanta ricrea un concetto di compostezza totalmente in linea con i tempi che corrono) alla femmina falsamente wild di Missoni, più che una Ninfa, un'agguerrita eco-defensor che si veste di lana lavorata nei modi più artisticamente creativi per interpretare un abito che sia protezione, guscio, igloo corporeo, rifugio (per il) fisico.

E anche Giorgio Armani, per la sua signora che vibra di accenti rosso lacca e arancio zen contrappuntati al nero, opta per un abito-abitazione che racchiuda e non esponga, che coccoli e non esibisca, che ripari e non sia vetrina di opulenza esteriore. Quest'ultima, quando c'è, anche quando c'è e spinta ai massimi livelli di artigianato (come in Dolce & Gabbana) accetta la sua traduzione in spiritualità da processione – le cappe ricamate da Santa in corteo nelle vie del paese siciliano - che in spettacolare ma sostanzialmente inutile esercizio di ostentazione.

E allora, via con le Varianti Dolore: c'è quello per l'abbandono di Raf Simons da Jil Sander, dove verrà sostituito dalla medesima Jil Sander (siamo tutti molto curiosi di vedere se Jil sia ancora in grado di disegnare Jil), e ha lasciato il suo pubblico con una collezione di dolcezza raggelata e inscritta dentro gabbie euclidee di mantelli perfetti (un po' come il décor della sala: splendidi bouquet di fiori ma piazzati sotto teche quadrate di cristallo); c'è il trio per Pianoforte in Mi bemolle op. 100 di Franz Schuberth che Massimiliano Giornetti (forse memore di una delle più belle e funeree scene di Barry Lyndon) vuole come colonna sonora sfidando la lacrima sulla gota; c'è la citazione dell'ultima sfilata che, nel '97, Gianni Versace aveva disegnato per la linea couture (tutta croci bizantine e lettere gotiche su fondo nero) e che non fece in tempo a vedere perché assassinato pochi giorni prima: Donatella forse aveva dei conti in sospeso con quella collezione e ora, come dicono gli americani, forse doveva «facing her demons» con risultati peraltro assai brillanti (e non intendiamo l'aver recuperato il materiale principe usato e “trovato” da Gianni, la maglia Metal Mesh.

C'è serietà, severità, compostezza: e potrebbe essere diversamente, con il mondo che sta come sta? Ma è proprio nell'altissimo livello di qualità nella fattura eccelsa che si può ritrovare un sorriso di speranza e una luce (di paillette?!) in fondo al tunnel. Perché se finora abbiamo avuto la Dominatrix, l'Alice nel Paese delle Meraviglie, la scafata con più o meno farfalline sparse su di sé, ora abbiamo la Donna Reale. Nel doppio senso di fattualità delle cose (malgrado i richiami alle principesse manga di Prada) e/o di appartenente a un'allargatissima Royal Family che privilegia l'aristocrazia del gusto all'ovvietà della stravaganza a tutti i costi. Con un'ultima, definitiva consolazione: il benvenuto tra grandi a un giovane come Gabriele Colangelo che – se permettete – è uno per cui tifiamo da tempo. Se il Black is Back, non sono tornati i tempi cupi da lupi coloratissimi che si nascondevano sotto una variopinta pelliccia da agnello. Forse, toccherà a tutti noi «facing our demons». Ma con grande stile, sia chiaro.