Non ama essere definita. E neanche sentirsi dire «androgina». Lei è lei, e basta. Giocando sul filo del doppio, mescolando femminile e maschile, Casey Legler, modella, artista, attivista Lgbt, ha saputo abbracciare i conflitti e sprigionare la magia del suo essere “altro”, facendone uno stile di vita. Al di là di ogni pregiudizio, compreso quello di continuare a comparire in passerella anche a 41 anni, età in cui le sue colleghe hanno già smesso da tempo. Ex nuotatrice olimpica, membro del Phi Beta Kappa (la più celebre congrega americana di menti brillanti), è stata la prima donna al mondo a essere ingaggiata dall’agenzia Ford nel reparto “indossatori”. E a sfilare vestita da uomo. Un percorso non sempre facile, che si è guadagnata con ostinazione e l'impegno di rimanere a ogni costo se stessa. Ora è sposata con Siri May, la donna con la quale vive tra New York e Sydney, questo mese esce la sua autobiografia, Godspeed (Simon & Schuster), e lei appare nella campagna #driveyourstory di Carrera Eyewear, marchio di proprietà del gruppo Safilo, ritratta dall’artista-fotografo Jacopo Benassi.

Il suo momento più difficile?

Dopo il mio coming out, a 21 anni, nel 1998, per tutta risposta il mio allenatore mi chiese di smettere di cambiarmi con la mia squadra negli spogliatoi femminili, per relegarmi in uno stanzino a parte. Mi sono sentita maltrattata, ostracizzata, incompresa, umiliata. Ed è stato lì che ho chiuso con il nuoto.

Casey Leglerpinterest
Jean-Yves Ruszniewski
Nata in Francia ma di famiglia americana, nel 1996 Casey Legler ha partecipato alle Olimpiadi nel team francese di nuoto.

Come ha vissuto il suo corpo nel corso di questi anni: più come prigione o come fonte di creatività?

Una volta era una specie di terreno incontaminato, anche perché non lo capivo. Ora è più un compagno di strada. Prendermene cura adesso mi fa stare bene. E lo rispetto molto più di quando ero giovane.

Che cosa ama del femminile e del maschile che convivono nella sua personalità?

Credo che il genere si esprima in uno spettro di qualità, non solo in un paio. In me c’è molto altro, oltre a femminilità e mascolinità. Tra gli estremi esiste una fantastica gamma di spazi, e io li amo tutti. Nessun genere ha prerogative su emozione e creatività.

La sua è l’immagine vivente di un cambiamento culturale radicale. Quanto può essere d’aiuto la moda in questo processo?

Tutti i lavori che accetto nel mondo della moda mirano a favorire questo cambiamento. Per esempio, la campagna di Carrera. Invece di rappresentare l’immagine di come un “uomo” o una “donna” dovrebbero essere, preferisce valorizzare la resilienza: persone che hanno avuto esperienze diverse e che offrono background alternativi. L’intento è offrire immagini realistiche scattate da un artista invece che puntare al solito servizio di foto ritoccate. Credo che la moda sia un teatro speciale, dove continuare a lavorare per esaltare la differenza e dare spazio alla diversità.

E lo sport, invece?

Nel 2014, per la prima volta, a gay, lesbiche e bisessuali è stato concesso di partecipare alle Olimpiadi, senza discriminazioni, tutelati dalla Carta olimpica. Ma i fratelli e le sorelle trans ne sono ancora esclusi.

Quanto è lunga la strada verso la tolleranza?

Molto lunga. Ma sono appena stata all’Onu per parlare di come proteggere la differenza. E poi guardo ai giovani che, naturalmente inclini a capirla, cambiano soltanto quando qualcuno li abitua male, a temere e a giudicare. Ha la mente chiusa solo chi ha avuto cattivi insegnamenti, di questo sono certa.