Maxim Magnus durante questa intervista chiederà che le vengano ricucinate le uova perché non sono esattamente di suo gusto. Maxim Magnus è diventata modella per Gucci quando l’impero di Alessandro Michele prendeva forma. Maxim Magnus è la modella transessuale che ha interpretato alla perfezione il nuovo corso fluido della moda. Aggraziata e sfacciata nello sfidare con un sorriso il vento gelido che ha illuminato il cielo di Milano nell’ultimo giorno di Milano Fashion Week. Con Montenapoleone svuotata dalle precoci partenze per Parigi (d’altronde il primo giorno della settimana della moda francese ospita la sfilata di Gucci Primavera Estate come special guest), ci intrufoliamo nelle vie private e silenziose che portano al Bulgari Hotel per incontrare Maxim Magnus. E, prima piacevole digressione, Maxim ci accoglie con una colazione abbondante apparecchiata di fronte a sé, un sorriso apertissimo e un paio di occhiali da sole con lenti gialle (visione di un mondo stanco del cliché femmineo delle lenti rosa?). L’aria fredda sembra rendere ancora più eburnea la sua pelle d’avorio purissimo, rivelata dagli shorts di jeans e da un body bianco monospalla con tagli cut strategici.

Parlaci di te. Come hai iniziato la tua carriera nella moda, quando e perché hai voluto intraprendere questa carriera?
La mia carriera nella moda è iniziata… non lo so! Ho sempre amato la moda, è qualcosa che mi è stato tramandato dalle generazioni passate. Mia nonna era modista di cappelli. Mia madre ha un grande senso dello stile, non è ossessionata dalla moda ma ha un suo stile e questo mi ha sempre affascinato. Sapevo che avrei fatto comunque qualcosa nel mondo della moda. Quando ho dovuto scegliere l’università non sapevo davvero cosa decidere: non sono un’amante dello studio, la scuola non mi piace, preferisco lavorare e fare esperienze. L’istruzione è grandiosa, ovvio, ma non mi piace che mi dicano cosa fare, preferisco dedicarmi a situazioni creative a modo mio. Poi ho scoperto che Condé Nast proponeva un corso di tre anni in due: dopo 7 mesi di corso un mio amico doveva realizzare un servizio fotografico. Mi ha detto “Maxim, vuoi farmi da modella per questo progetto finale? Mi piace molto come sei, secondo me sarebbe bellissimo”.

Stiamo parlando di quale anno?
L’anno scorso, il 2017. Mi sono spostata a Londra per studiare e vivo ancora lì. Quando i miei insegnanti hanno visto il servizio mi hanno altamente consigliato di dedicarmi alla carriera di modella. Non ci avevo mai pensato, o meglio, era qualcosa a cui avevo pensato ma non credevo di poter diventare veramente una modella. Ero molto insicura, non ero felice, non pensavo che fare la modella fosse per me. Una dei miei insegnanti mi ha scritto una lista di agenzie che avrebbero potuto fare al caso mio. Il primo nome della lista era Linden Staub: la mia insegnante mi ha accompagnata all’appuntamento e ho firmato subito. Dopo un anno sono ancora con loro.

Quindi sei la brand new face, il volto nuovo della moda?
Sì, puoi dirlo.

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Sorride compiaciuta, mostrandosi ad ogni domanda in modo diverso. Qua e là Maxim Magnus si scusa per la voce palesemente sofferente dal freddo e dal party dei Green Carpet Fashion Awards della sera prima (“Mi sentivo molto insicura, era la prima volta che calcavo un red carpet e ho visto vicino a me Alessandra Ambrosio…”). È stato il suo primo red carpet e ha sfilato all’ingresso assieme ad Andreja Peijc. Staffetta di carriere che si incrociano, una benedizione per la giovane belga. Come Andreja, Maxim Magnus è una modella trans che ha fatto della sua unicità un valore. Ma non vuole essere ricordata solo perché è transgender e ha compiuto, appunto, la transizione. La sua gentilezza è lievemente irrigidita da una timidezza di fondo che non la abbandona, ma al tempo stesso, quando chiede al cameriere di sostituirle le uova che aveva ordinato perché sode e non à la coque, sfoggia un tono neutro e fermo da quartieri alti che entra in estremo contrasto con la sua cortesia nei nostri confronti.

Come ti fa sentire l’essere la prossima next big thing della moda? Soprattutto in un momento come questo, con tutti movimenti dei diritti civili e il discorso di gender fluidity che porti indubbiamente con te?
(Si concede un sorso di caffè, colpita dalla domanda). Ho sempre guardato alle modelle e all’industria perché per me erano l’epitome della bellezza. Quando ho fatto la transizione, pensavo a loro. Non ci penso più adesso, ma allora era un pensiero fortissimo, le guardavo ovunque. Pensavo che essere una modella fosse il massimo. I miei studi mi hanno reso un po’ fashionless, meno ossessionata. Quando ho iniziato a fare la modella ho pensato che dovevo diventare qualcosa di diverso: io amo la moda, voglio mostrare i miei e vestiti e posare per servizi fotografici bellissimi, ma voglio essere qualcosa più di questo. Credo che proprio oggi con i social ci siano più piattaforme da esplorare anche per noi modelle, e che siano ben più creative per noi rispetto ad essere semplici stampelle da vestiti. Essere una modella è indubbiamente mostrare i vestiti, lo sappiamo. Ma con tutto quello che sta succedendo adesso, sembra che ci sia più interesse verso chi indossa gli abiti, verso i lavoratori, verso come siano fatti questi abiti. Ci sono anche lavoratori della comunità lgbtq che vivono in paesi dove i diritti lgbtq non sono garantiti, non hanno sostegno, non hanno nulla. Io voglio solo mandare il mio messaggio: la mia vita è glamour, sì, ma non tutto il tempo. Io lavoro tanto e ci sono cose nell’industria della moda che non sono affatto glamour.

Il tuo lavoro nel mondo della moda ti sta insegnando anche a essere molto più consapevole? È comunque qualcosa cui i Millennials sono più preparati, quello del self-empowerment?
Sì, assolutamente. C’è una frase che Andreja ripete sempre che dice “costruire la propria sicurezza è come costruire una casa, mattone dopo mattone”. Non puoi aspettarti che arrivi tutto in un colpo solo. Credo che le mie esperienze nel mondo della moda mi abbiano reso più sicura di me, più forte. Il bello e il brutto è che comunque anche io ho preso molti rifiuti, ho avuto a che fare con molte persone che mi hanno sbattuto le porte in faccia perché non ero abbastanza bella, o perché volevano usarmi in quanto transgender. È bello che io abbia degli agenti così bravi, perché se qualcuno prova ad usarmi loro diventano spietati.

Sei stata molto critica su questo tema, quello delle “quote trans” nel mondo della moda e sulle quote in generale: una modella nera, una modella agée, una trans…
Non capisco perché molte persone trans che lavorano nella moda vengano scelte solo per le campagne sulla diversità. Non è mai una campagna normale. È importante: perché tutti sono lì a dire “guarda, stiamo usando una trans”. Questo spaventa molto i brand, molti non vogliono lavorare con te per le reazioni dei media, o per farsi dire che lo fai per una questione di tendenze. Oggi come oggi il giudizio è immediato, attimo dopo attimo. Siamo nella stessa fase in cui 10 anni fa erano le donne di colore, ma vale la stessa cosa per le modelle plus-size. Ora stiamo ritornando indietro, i vestiti devono starti benissimo e pure se ti stanno bene, comunque trovano un modo per dirti di no. Bisogna dire alle nuove generazioni che non è importante essere sempre felici, è importante essere se stessi.

Per spiegare il concetto della diversità e dell’unicità poco accettate nel mondo della moda, tra un'inzuppata di pane tostato nelle uova (stavolta cotte al punto giusto) e un sorso al caffè, Maxim Magnus apre il suo Instagram e ci mostra una foto con Andreja della serata dei Green Carpet Fashion Awards. Entrambe erano vestite da Pedro Lourenço e Maxim è entusiasta nel parlare di lui: “Ha scelto me e e Andreja per il suo nuovo brand, Zilver, dopo due anni di pausa dall’industria perché era furioso. È un brand di lusso genderless e sostenibile, bellissimo, va contro tutto quello che l’industria voglia da noi, tipo femminilità o bellezza classica. Il nostro messaggio in quel momento era bello, eravamo noi stesse”.

Con quale altri stilisti vorresti lavorare?
Questa è difficile (ride). Le cose sono un po’ cambiate da quando lavoro nella moda ma sin da quando ero piccola ho sempre voluto lavorare con Marc Jacobs. Adorerei partecipare ad uno dei suoi show, spero di farlo. Ora come ora mi piace Alexander Wang, è un genio assoluto, qualunque cosa crei mi viene da pensare “lo voglio mettere”. Mi piacerebbe anche lavorare con Dior, per dare un cambio di passo. Amo quello che sta facendo Maria Grazia (Chiuri ndr), ma non fa per me.

Prende un sorso di caffè e capisce di dover chiarire il concetto. “Sono un po’ arrabbiata con tutta la questione degli influencer, ecco perché. Rispetto le persone che lavorano per questo, ma i messaggi si perdono, sono lost in translation. Al giorno d’oggi, le sfilate sono piene di influencer: alla sfilata couture di Maria Grazia per Dior era pieno. Sono persone che si siedono lì e non guardano nemmeno lo show, ma lo fanno per essere fotografati e perché è importante per il brand che lo siano. È una cosa tristissima. Va bene che l’industria sia più democratica, più accessibile alle persone, ma chi vuole veramente partecipare ad uno show per vederlo non può farlo. Per esempio mi piace Londra, dove sfilano designer come Christopher Kane e Erdem coi quali mi piacerebbe tantissimo lavorare, e dove sulle passerelle ci sono persone del mondo della moda che sono realmente interessate a quello che si vede”. Si allunga sulla poltrona e racconta un aneddoto: ha partecipato ad una sfilata imbottita di influencer e ciò che l’ha colpita era che nessuno fosse entusiasta dei vestiti. “Perché sembra che siano tutti morti? I vestiti dovrebbero eccitarti, dovrebbero darti felicità” sostiene Maxim, che ammette però che non sarebbe così brava a fare la designer. Le idee non le mancano, però.

La nostra ultima domanda, non possiamo fare a meno di chiedertelo. Cos’è la femminilità per te?
Me lo chiedono spesso, in effetti. Secondo me è quello ha senso per te, ecco. Ho vissuto la mia transizione in privato, ma sono stata sempre molto aperta in merito. Chiunque ha sempre avuto un’opinione in merito. All’epoca pensavo che se volevo essere una donna, devi fare così e così, devi essere magra, avere il seno e i capelli lunghi… Poi ho capito che volevo essere me stessa: a me piace mostrare la mia pelle, però “non è qualcosa che una signora farebbe”. La verità è che quando mi sento bene, è in quel momento che sono più femminile che mai. A me piace molto anche truccarmi, per esempio, mi sento molto femminile mentre lo faccio. Non dico che gli uomini non debbano truccarsi, dico che semplicemente il processo che ti porta a vedere come hai tirato fuori quella parte di personalità attraverso il trucco, o attraverso i vestiti, è quello che ti fa sentire bene. E se ti senti bene, cosa ti importa del resto?