Più che uno scandalo annunciato, una pistola in un cassetto. Caricata a salve, ma rumorosa quel tanto che basta per sollevare un casino mediatico degno di miglior causa. Insulti, contumelie, offese, mancavano solo le sfide a duello: com'era noiosamente prevedibile, la prima collezione di Hedi Slimane per Celine (senza l'accento, perché se si vuole rifondare qualcosa, bisogna prima cambiarle nome) ha suscitato un polverone perché – più o meno giustamente –Slimane ha fatto quello che gli riesce meglio: Slimane.

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Tuta unisex in pelle di Hedi Slimane per Celine, primavera-estate 2019.
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Un abito di asciutta sartorialità di Hedi Slimane per Celine, sfilata primavera-estate 2019.

Sinonimo di silhouette giacomettiane (e questo sì, sarebbe un particolare su cui insistere: in epoca di inni alla diversità fisica, etnica e somatica, sulla sua passerella solo ragazzine e ragazzini che forse vanno alle scuole medie e quasi tutti pallidi e alabastrini, tutti rigorosamente sottopeso, tutti dalle cosce larghe come strisce di cocaina), di sartorialità verticalizzata e gotica come le guglie di Notre Dame, di tutto nero, di bianco e nero, di nero lucido e nero opaco, di attitudine rock-californiana-parigina con stivaletti borchiati e borsette da zia.

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Una giacca strutturata di Hedi Slimane per Celine, sfilata primavera-estate 2019.
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Cappotto filiforme di Hedi Slimane per Celine, sfilata primavera-estate 2019.
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Il miniabito dorato che ha chiuso la sfilata di Celine disegnata da Hedi Slimane.

Il problema non è se questo nuovo corso sia sacrilego, anche perché Celine-senza-accento è un non-marchio con una non-storia e averlo amato prima significa avere amato il lavoro di una gigantesca designer come Phoebe Philo, non quello di un brand specifico. Il problema è: piacerà davvero a quei Millennials a cui Hedi punta spietatamente, che si ritrovano di fronte a una filosofia che da vari anni non ha conosciuto evoluzione alcuna, ma si è cristallizzata in un codice a senso e a sesso unico? Probabilmente sì, anche perché la stessa ricetta, che ha usato per innovare Saint Laurent, poi si è rivelata vincente: in boutique gli abiti erano più “addomesticati”rispetto alla pedana, e i fatturati avevano raggiunto un'erezione dovuta al capillare smercio di accessori & co.

Però eravamo a due anni anni fa, cioè geologiche per il tempo veloce della moda di oggi: e obiettivamente il designer ha reso contemporanee le sue creazioni insistendo solo sul fatto che i vestiti erano rigorosamente unisex (novità!) e che non si è visto un solo paio di sneakers in tutta la sfilata, sancendo così la definitiva uscita di scena dello streetstyle (novità!). Non dimentichiamo che Hedi Slimane ha festeggiato da poco i 50 anni. È un adulto, ormai, e certe passioni per l'adolescenza, tra un po', andranno ascritte più all'immaginario del professor Gustav von Aschenbach di Morte a Venezia di Thomas Mann che ai cantori maledetti di una gioventù intossicata dalla sua stessa età. Certo, ognuno fabbrica il suo alfabeto espressivo e ci costruisce una lingua che è solo sua.

Ma questo non impedisce che con quegli stessi elementi non possano formare altre frasi: penso per esempio a un altro grande fabbricatore di comunicazione, Alessandro Michele per Gucci. Ha scelto, guarda caso, lo stesso locale del party di Slimane, Le Palace, per la sua terza collezione in terra francese, dopo la campagna pubblicitaria ispirata al maggio francesce e la Pre-Fall ad Arles. Michele ha, dal suo approdo a Gucci, realizzato un'estetica che si esprime per frammenti, evocazioni e rievocazioni: e nel metterla – in questo caso, letteralmente in scena, la aggiorna senza tradire il suo metodo.

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Un abito per la prossima primavera-estate di Gucci, disegnato da Alessandro Michele.
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Paillettes e ironico logo in gioco per l'abito da prestigiatore malinconico di Gucci, disegnato da Alessandro Michele.

Un metodo che, al contrario di Slimane, appare come rinfrescato e sottoposto a un editing semantico più rigoroso e, allo stesso tempo, ancora più filologicamente rivolto al passato e quindi, per paradosso, ipercontemporaneo. Là dove ci sono stati i primi esempi di controcultura d'Oltralpe, Gucci porta i primi esempi di controcultura italiana, ritrovando elementi che avvicinano la sua filosofia di stile a un discorso delle e sulle possibilità di espressione degli infiniti sé che ognuno racchiude dentro.

Secondo la psicologia della moda i vari sé sono il frutto degli aspetti di noi che sviluppiamo nelle diverse situazioni di vita, nei diversi ruoli sociali che ricopriamo,nelle diverse relazioni interpersonali che ci interessano. Per ricomporre questa complessità in un insieme coerente si può considerare l’abbigliamento come un mezzo per dar loro espressione e quindi il guardaroba può darci un grande aiuto come contenitore e ordinatore.

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Un outfit della collezione Gucci disegnato da Alessandro Michele per la primavera-estate 2019-
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Una proposta con spilla a forma di maiale alato di Alessandro Michele per Gucci, primavera-estate 2019.

Che questa volta acquista spessore e valore non tanto dagli abiti – più minimalisti e meno decorati – ma grazie a una riflessione di ciò che ha significato e significa essere “contro”. Certo, essere “contro” un sistema di cui si fa parte non è cosa facile, ma a Michele riesce benissimo, rimandando a chi ha vissuto quegli anni il teatro sperimentale di Memé Perlini e le performance attoriali di Leo De Berardinis e Perla Peregalli, nel loro film del 1970 intitolato A Charlie Parker.

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Un frame del film A Charlie Parker con Leo De Berardinis e Perla Peragallo.


Ed è la Roma dei teatrini off di Carmelo Bene e Manuela Kustermann, delle cantine del Teatro La comunità di Giancarlo Sepe, delle riunioni di autocoscienza femminista in via del Governo Vecchio e di quella pietra miliare della protesta giovanile che fu la pubblicazione di Porci con le ali, scritto nel 1976 dal Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice sotto gli pseudonimi di Rocco e Antonia, i nomi dei protagonisti: Rocco è alle prese con la sua indentità sessuale, che dopo le acerbe esperienze con l'amichetto di vacanze Luca lo portano a entusiaste esplorazioni omosessuali con il critico musicale Marcello e col coetaneo Roberto. Antonia, vera virtuosa della masturbazione che accompagna invariabilmente a fantasie romantiche e intrise di citazioni letterarie, ama sedurre uomini più grandi di lei, in uno strano mix di civetteria promiscua e femminismo attivista.

Quel suino alato che diventa spilla e decorazione per Gucci è il simbolo di un Paese che ha conosciuto momenti di vero e vibrante anticonformismo. Con tante tipologie anticliché radunate in una sfilata che è un po' manifestazione militante, un po' corteo funebre, Alessandro Michele per Gucci è riuscito a esprimere una modernità che non è il solito ribellismo da rock'n'roll in chiodo nero e di tronchetti borchiati: è sentimento e memoria, è dialettica e studio, è ricerca dell'irritazione e lode al delirio intellettuale.

Che è stato anche nostro. Che abbiamo dimenticato. Ma che Michele ha dissotterrato dalla memoria per restituirlo più vivo e sbeffeggiante che mai.