Immaginate di tornare indietro nel tempo, nella mentalità di oltre cinquant’anni fa. In una scuola elementare della periferia di una grande città, un bambino timido, delicato e silenzioso disegna sul suo quaderno mentre il maestro fa lezione. Si chiama Jean-Paul Gaultier. Tratteggia vestiti da donna, non vestiti normali, ma creazioni fantasmagoriche, piene di piume, ricami, colori. Il maestro se ne accorge. Si arrabbia moltissimo, strappa al bambino la pagina piena di signorine a due dimensioni, gliela appiccica sulla schiena e lo costringe, per umiliarlo, a camminare tra i banchi di tutte le classi. Lui vorrebbe piangere, non lo fa. Un passo, due, tre. Quattro. Aspetta gli insulti, qualche oggetto lanciato contro di lui. E invece, al posto di palle di carta o temperamatite, di offese o brutti soprannomi, piovono complimenti: «Ehi, ma che bei disegni! Perché non hai detto prima che eri così bravo?». «Fai un vestito anche a me?», e così via. Lieto fine. Il bambino è portato in trionfo, gli schizzi appesi alle pareti e lui diventa, per un giorno, l’eroe della classe. Non è una bella storia da raccontare a proposito di inclusione, integrazione e antibullismo?

Be’, io quel bambino ce l’ho davanti, in una suite del meneghino Grand Hotel et de Milan. Oggi Jean-Paul Gaultier ha 66 anni e da quella lontana mattina ad Arcueil, nei dintorni di Parigi, di successi ne ha collezionati tantissimi. Ci incontriamo perché è qui a promuovere il suo ultimo profumo, Scandal, e perché l’istituzione dell’intrattenimento più scintillante della Ville Lumière, Les Folies Bergère, ha fatto della sua vita un musical che il due ottobre ne ha inaugurato la stagione: Fashion Freak Show. S’incontrano due pilastri della francesità in purezza, della pariginità assoluta, come la Tour Eiffel, la baguette e il basco. «Del resto, tutto torna: su quel quadernino io avevo disegnato proprio le ballerine delle Folies Bergère, le avevo viste in tv da mia nonna Mémé Garrabé. Quando si dice il destino…».

Dalla prima sfilata del 1976, già puntuale nel definire uno stile fatto di perfezione sartoriale e ironia, di eleganza e di provocazione, i suoi leggendari capelli platino ora sono candidi, ai look pazzi preferisce un sobrio completo nero. Ma non è cambiato. E non è cambiata la mancanza di fantasia degli addetti ai lavori, che ancora si ostinano a definirlo l’enfant terrible della moda. «A 66 anni, capisce?». E scoppia a ridere.

Fashion freak show Folies Berge Parigi Gaultier pinterest
Courtesy Foiles Bergère
La locandina di Fashion Freak Show, la biografia-musical di Jean-Paul Gaultier.

Non le sembra un po’ eccessivo firmare la regia, la sceneggiatura e i costumi della sua autobiografia, invece di scrivere un libro come fanno tutti?
Scrivere, io? Già mettere insieme una frase per un biglietto d’auguri mi mette l’angoscia. Mi esprimo attraverso i miei abiti, i miei disegni… Ho sempre tenuto la mia vita privata lontano dai riflettori (è vero: evito volutamente di parlare del suo unico, grande amore, Francis Menuge, che era anche suo partner finanziario, mancato nel ’90, ndr). La verità è che, quando me l’hanno proposto, ho pensato che alcuni episodi della mia carriera potevano essere interessanti per introdurre temi universali: l’emarginazione, la diversità, il rifiuto delle regole, la creatività come strada per la salvezza… Il mio personaggio non parla: funziona da raccordo tra momenti di ballo, recitazione e tanti, tanti abiti che ho creato appositamente. Volevo anche omaggiare gli artisti con cui ho lavorato: registi come Pedro Almodóvar, Luc Besson, Peter Greenaway. Personaggi dello spettacolo come Madonna, Kylie Minogue, Marilyn Manson, Catherine Deneuve. Ma soprattutto vorrei mostrare che la bellezza non è mai una, ma sempre tanto di più.

Perché intitolarla Fashion Freak Show?
Ho sempre fatto sfilare, accanto alle modelle di professione, persone ritenute irregolari perché considerate troppo vecchie, troppo grasse, troppo alte, troppo effeminate o troppo mascoline. In una sola parola, differenti. La preferisco a “diverse”, perché, in fondo, siamo tutti diversi l’uno dall’altro. Da sempre amo il mix di culture e di estetiche che all’inizio sembrano inconciliabili e poi generano inaspettate fascinazioni che sono anche uno specchio delle evoluzioni sociali.

La moda serve anche a questo?
La moda racconta la contemporaneità. E infatti in Fashion Freak Show affronto dinamiche contemporanee come l’ossessione per la giovinezza e la chirurgia, che genera creature stravaganti, la fiera delle vanità sui social network, i nuovi concetti di “femminilità” e “virilità”...

Nel 1984, lei mette le gonne ai maschi nella sfilata L’uomo oggetto. Nel 1990 realizza i reggiseni conici per il Blonde Ambition Tour di Madonna. Ha disegnato collezioni ispirate agli Inuit, agli ebrei chassidici, ha messo i profumi dentro bottiglie a forma di busti maschili e femminili, è stato il primo stilista a fare il presentatore e il cantante… Che cosa pensa della moda attuale? La ferisce o la lusinga essere stato un apripista?
Posso solo esserne contento. Significa che si fa strada un’idea di inclusione sulla quale mi sono sempre impegnato. Se è per questo, ho anche creato il primo giocattolo transessuale. Da bambino ho chiesto ai miei genitori di comprarmi una bambola, e mi hanno detto di no perché non era una cosa da maschi. Allora mi hanno regalato un orsetto, a cui ho applicato due reggiseni a cono di cartoncino. E allora è nata Nana, il primo Teddy bear dalla doppia sessualità. Così importante per me da averlo ancora e fargli aprire lo spettacolo...

Surgeon, Room, Fictional character, pinterest
Courtesy Jean-Paul Gaultier
Nello show di Gaultier, ecco l’operazione di "chirurgia" estetica per Nana, primo orsetto transessuale della storia.

Il suo profumo si chiama Scandal. Ma lei non mi pare un tipo scandaloso...
Grazie, non ho bisogno di scandali. Sempre che ci si metta d’accordo sul termine “scandalo”. Molti lo usano per condannare quelli che sono, molto semplicemente, dei cambiamenti culturali.

Che cosa la scandalizza?
L’intolleranza. L’idea di essere sempre nel giusto. L’incapacità di saper ascoltare. La non accettazione dell’altro. La disonestà morale e materiale.

Cosa pensa dell’Italia?
Adoro l’Italia, ma soprattutto gli italiani. Sono stati i primi a credere in me, a finanziarmi, a produrre le mie collezioni. I francesi, talvolta irritantemente snob, non mi avrebbero mai dato tanta fiducia. E poi credo che in voi il senso del bello, dell’essere benvestiti, sia molto diffuso. Anche gli uomini vogliono essere eleganti, in Francia hanno sempre paura di essere presi per gay.

Gli uomini italiani sono più vanitosi dei francesi?
È così negativo essere vanitosi?

Quale sarebbe la critica che si augura di leggere dopo la prima di Fashion Freak Show?
Che è stato come partecipare a una grande festa, dove imparare che possiamo e dobbiamo cambiare perché, in fondo, siamo tutti camaleonti.