Mi sembra di intravedere un parallelo tra l’industria cinematografica e la mia attività: quando le major superavano la fase iniziale per ingrandirsi e crescere, il mio negozio seguiva la stessa traiettoria”.

Sarà questa frase - contenuta ne Il calzolaio dei sogni (Skira) e ripetuta da una voce maschile all'ingresso di palazzo Spini Feroni, in piazza Santa Trinità, a darvi il benvenuto alla mostra a Firenze L’Italia a Hollywood, la grande retrospettiva interamente dedicata a Salvatore Ferragamo (1898-1960), un nome legato oggi ad un marchio conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Quella voce squillante è sua ed è stata recuperata grazie ad una registrazione audio che incise per la successiva redazione a stampa di un'autobiografia, pubblicata poi nel 1957 in inglese. Quelle parole, unite ad altre, creano un flusso da cui emerge il senso di una vita, la dedizione e l’amore per un lavoro – lo “shoemaker” o “shoe designer”, come lo definì la stampa americana - che ha modellato con gran cura assieme ad una capacità imprenditoriale e a una determinazione che lo hanno portato a toccare la cima di un mondo dorato, per plasmarlo e domarlo a suo modo, senza mai dimenticare le proprie origini.

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Lasciare nel 1915 il paesino di Bonito, in provincia di Avellino, per gli Stati Uniti, non fu semplice, ma Salvatore non si demoralizzò. Era il 1915 e l’Italia era nel pieno di un conflitto mondiale che costrinse migliaia di emigranti ad imbarcarsi sulla leggendaria quanto temuta “Stampalia” alla ricerca di un futuro migliore. Lui lo fece in terza classe, ma era disposto a tutto pur di raggiungere a santa Barbara, in California, i suoi fratelli Alfonso e Secondino, e fu con loro che aprì, poco dopo, un negozio di riparazione di scarpe su misura. Fu quello il suo punto di partenza ed è da lì che avrà inizio la sua collaborazione con il mondo del cinema e con registi allora celebri – come David Wark Griffith, James Cruze, Raoul Walsh e Cecil B.De Mille – per cui realizzerà le calzature di protagonisti e comparse. Il trasferimento a Hollywood fu inevitabile, perché era lì che il mercato si stava sviluppando e fu lì che divenne anche lui una leggenda tra le leggende. Un excursus rapido il suo, se si considerano i tempi, perfettamente ricreato in mostra dalle curatrici Giuliana Muscio e Stefania Ricci che l'hanno realizzata grazie alla Fondazione e al Museo Salvatore Ferragamo.

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Sono otto le sezioni della mostra a Firenze L’Italia a Hollywood, un percorso espositivo visitabile fino al 10 marzo prossimo con un allestimento curato da Maurizio Balò e tutto concentrato sull’arte, sull’artigianato e sullo spettacolo che si sviluppa come la trama di un film, magari uno di quelli in costume che Ferragamo, assieme ai western, amava particolarmente. Degne di note le sezioni “L’emigrazione italiana in California” e “Cabiria e il primo cinema italiano”, una vera e propria fonte per Hollywood, come viene ricordato nel titolo, dedicata alle relazioni e al ruolo svolto dagli italiani e dall’arte italiana nella nascita del cinema muto. Nella stessa sala, attireranno la vostra attenzione le locandine d’epoca e alcune fotografie di scena della dannunziana Cabiria, oltre ai costumi realizzati per i protagonisti dalla sartoria torinese Devalle. Due donne e due uomini, quattro italiani noti in tutto il mondo, sono invece i protagonisti della sezione dedicata alla bellezza, all’eleganza, alla cultura e al fascino italiano. Stiamo parlando di Lina Cavalieri, indimenticabile Manon Lescaut (fu lei a ispirare Piero Fornasetti che la ritrasse in oltre trecento varianti sui suoi piatti in ceramica, quaranta dei quali sono in mostra), Enrico Caruso (la sua figura permise al pubblico americano di conciliare le tradizioni musicali italiane con la qualità speciale dell’emigrato di successo), e due vere star dell’epoca: Tina Modotti e Rodolfo Valentino, divi per eccellenza del cinema muto italiano che riuscirono ad associare alla seduzione erotica del corpo un’anima romantica. Tra gli italiani delle nuove generazioni di oggi ci sono invece Manfredi Gioacchini (nella quarta sezione) – che con i suoi ritratti in bianco e nero fa conoscere gli italiani che lavorano oggi nell’industria cinematografica americana – e Yuri Ancarani (nella settima) – artista e cineasta che di recente, a Zuma Beach, ha girato “L’Italia a Hollywood”usando soltanto il suo I-Phone.

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L’ottava sala, infine, è costruita con una scenografia che ricorda una rappresentazione teatrale e non poteva che essere dedicata a lui, a Salvatore Ferragamo e al suo celebre Boot Shop che aprì sull’Hollywood Boulevard nel 1923, punto di riferimento per l’intero mondo del cinema. L'ambiente che vi cercò di ricreare si richiamava a sua volta al gusto dell'American Renaissance esaltato dalle riviste di arredamento e dagli opinion makers modaioli, ma – soprattutto – cercò di mettervi al meglio tutte quelle che erano le sue capacità creative che si era portato nel suo lungo viaggio oltreoceano. Prima di andare via, resterete colpiti dalla bellezza di quelle scarpe (da quella in antilope bianca dedicata ad Alice White a alle décolletées nere con strass creata per Mary Pickford, dalle leopardate di Lola Todd a quelle con enormi fiocchi bianchi di Gloria Swanson) come dalle foto di attori, attrici e di tante persone che hanno creduto in lui, un artigiano di successo – non c'è alcun dubbio (i giornali americani lo citavano come “one of the few shoes experts of the country”) - ma soprattutto un valente imprenditore che ha saputo muoversi tra arte e industria, musica e cinema, anatomia e glamour, uno di quelli che contribuì a dare a Hollywood una dimensione internazionale favorendone così la creazione della sua immagine come “art center of the world”. Quando ci andrete o tornerete, ricordatevelo: se un certo tipo di America è così, lo si deve anche a lui.

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