Appropriazione culturale nella moda e problema di libertà di espressione/assorbimento/riconoscimento, nuovo capitolo. Quello sbocciato dalle riflessioni che Miuccia Prada, intervistata da Luisa Zargani per WWD poco dopo aver presentato la sua nuova collezione durante la settimana della moda uomo di Milano, ha pubblicamente esternato sottolineando le difficoltà odierne, culturalmente parlando, che gravitano attorno alla libertà di espressione. “Penso sempre più spesso che qualunque cosa uno faccia oggi possa essere offensiva” ha raccontato madame Miuccia Prada. “Può essere una mancanza di generosità da un lato, ma d’altra parte come facciamo a conoscere tutte le culture? Le proteste cinesi, poi i i Sikh, poi i messicani, poi gli afroamericani. Ma come si possono conoscere tutti i dettagli di ogni singola cultura quando ci sono oltre 100 culture diverse in ogni paese?”. Il concetto espresso da Miuccia Prada è quello su cui si sta interrogando buona parte del mondo intellettuale occidentale, dominante di pensiero e di potere espressivo: quando un omaggio, un’ispirazione, un richiamo estetico diventa appropriazione culturale nella moda?
La definizione di appropriazione culturale da dizionario è stringata: “Adozione non riconosciuta o inappropriata di tradizioni, pratiche, idee, ecc. di una persona o società da parte di membri di un altro popolo o un’altra società, e tipicamente più dominante” scrivono gli esperti dell’Oxford Dictionary. In maniera più articolata, l'appropriazione culturale è uno sbilanciamento di potere culturale: la cultura dominante prende elementi delle culture non dominanti, li decontestualizza e li oggettifica per trasformarli in altro. Quando questi elementi sono simboli religiosi o segni distintivi, possono essere vissuti come un sacrilegio dalla cultura non dominante che li ritrova come puro segno grafico, spogliati del loro valore culturale. La dinamica dell’appropriazione e di assimilazione, quando non di distruzione come le cronache storiche riportano in ampia letteratura, è una prassi che perde le sue origini nella notte dei tempi e che ha dato forma a buona parte della società odierna: il multiculturalismo tanto sbandierato è, sostanzialmente, uno splendido concetto utopico che nella realtà dei fatti si scontra con la relatività di pensiero. L’esempio dei cartelli affissi accanto alle statue di Buddha in Thailandia è il più immediato: le gigantesche statue non vengono mai toccate dai fedeli, mentre in Occidente sono principalmente considerate oggetti ornamentali o di design. Di fronte ai turisti che continuavano a toccarle, i religiosi hanno optato per un avviso che li faccia desistere dal profanare quello che per loro è simbolo profondamente sacro.
“Le persone vogliono rispetto perché ora si sta parlando di cultural appropriation, ma questa è la base fondante della moda, è sempre stata la base dell’arte, e di tutto” ha esternato Miuccia Prada, che si ritrova a porsi domande ogni volta che inizia la moodboard di una collezione. E in effetti l’appropriazione culturale nella moda c’è, da sempre, è innegabile. Dai dettagli a veri e propri omaggi, i “prestiti” (a detta di designer) o i “saccheggi creativi” (secondo le culture non dominanti) hanno costellato la storia della moda. Negli ultimi anni sempre più persone, celebri e non, si sono poste delle domande sull’argomento: dai costumi di carnevale razzisti fino alle collezioni di alta moda, alla pubblicità, a come vengono acconciati i capelli per le sfilate o in certi film, arrivando agli influencer di tutto il mondo. La leggerezza con cui ci si appropria culturalmente di simboli importanti inizia a diventare una questione cruciale: come si può contrastare il rischio di sbagliare? Offendere un’intera cultura è il rischio principale di ogni casa di moda e può avere pericolosi risvolti per la stessa azienda non solo in termini di immagine. Di case studies sulle divampate polemiche per pubblicità razziste ne è piena la storia della moda in epoca di Internet.
“Chi si offende si offende, non so come potremmo risolvere il problema. Di sicuro sento che non devo dire niente, non devo fare niente, così non ci sono problemi. Perché poi il famoso odio del web è enorme” ha continuato Miuccia Prada. Secondo la stilista, il problema dell’appropriazione culturale porta la discussione verso la mancanza di libertà in questo momento. Non solo espressiva nei vari linguaggi della moda, dell’arte, della parola, ma una mancanza di libertà intellettuale. “Ho parlato di questo con la Fondazione, con gli intellettuali. È davvero un problema” sostiene Miuccia Prada. “Se non sei libero di dire cose che possono anche non essere corrette e devi fare attenzione ogni volta che apri la bocca, come puoi parlare in libertà di pensiero? È un punto cruciale. Il mondo è sempre più grande e lo capisco, come capisco che finalmente le persone hanno una voce e possono parlare”.