Cosa c'è da sapere sulla New York Fashion Week Autunno Inverno 2019/2020? Se lo chiedono con una certa angoscia i giornalisti e gli addetti ai lavori, sfiancati da una settimana della moda, dal 4 al 13 febbraio, che è in emorragia di grandi nomi ormai da anni, una tendenza che in questa ultima stagione non sembra essersi arrestata, anzi.

Le sorelle Kate e Laura Mulleavy, anime di Rodarte hanno scelto le temperature più seducenti di Los Angeles per presentare la loro collezione, nel frattempo Tommy Hilfiger sta preparando le valigie per Parigi, dove sfilerà il 2 marzo con TommyxZendaya, see-now buy now a prova di millennial, realizzata a quattro mani con la nuova global ambassador del marchio, attrice molto conscious che prende il testimone dalla ben più pop Gigi Hadid.

Victoria Beckham tornerà invece a casa, in terra d'Albione, giusto in tempo per festeggiare i 10 anni del marchio eponimo, che piacerà anche tanto ai fashion editor statunitensi – i completi maschili tagliati al millimetro e i jeans skinny sembrano fatti per soddisfare una certa retorica forse stantia dell'American (working) woman – ma meno ai mercati, tanto che il sempre affettuoso marito David secondo il Mirror ha iniettato nel brand 23 milioni di sterline negli ultimi tre anni.

Il podio delle defezioni più importanti, però, ha di certo un vincitore assoluto: quel Calvin Klein che poco più di un mese fa ha concluso la sua collaborazione con Raf Simons, lo stilista belga sinonimo del minimalismo più raffinato e probabilmente poco adatto a un'immagine costruita a suon di advertising con le sorelle Kardashian, e diretta a millennial iper-connessi.

Tra le vittime della fascinazione da Grande Mela, però non mancano mai gli italiani, come Francesco Ragazzi di Palm Angels che dopo quattro stagioni passate a Milano, ha deciso che era venuto il momento di esplorare nuovi territori, forse più congeniali al suo mix di streetwear e sartoriale - ossimoro stilistico ambito come il Sacro Graal, e ugualmente irraggiungibile.

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Costanti della New York Fashion Week rimangono Tom Ford – un uomo capace di costruire intorno a sé una mitologia che poco si deve curare della geolocalizzazione delle sue sfilate così come di certi trend che guardano alle strade oltre il Williamsburg Bridge, ponte di divisione geografico e ideologico tra Manhattan e il resto del mondo - e Ralph Lauren. Entrambi gli show già avvenuti nel momento nel quale si scrive, la loro essenza è la dimostrazione che, a differenza della matematica, gli stessi addendi non forniscono sempre lo stesso risultato. Se Tom Ford con il suo lessico costruito su una sensualità consapevole e opulenta può costantemente rimanere uguale a se stesso, senza soffrirne in reputazione o in perdite economiche, la nostalgia non ha lo stesso fascino da Ralph Lauren. Gli abiti sequined total white, estensione tessile delle polo, la colonna sonora che guarda al Fred Astaire di Puttin'on the Ritz, l'esercito di top model reclutate per l'evento: tutto perfetto, in tempo per il revival di Gossip Girl.Un passo indietro evidenziato dalla stampa di settore: la realtà è che, dopo la collaborazione di qualche mese fa con Palace, label culto tra gli skater, ci si aspettava altro. La differenza? Nella consapevolezza del proprio bacino d'utenza finale, che se Tom Ford ha da sempre chiarissimo, Ralph Lauren sta ancora cercando d'individuare, a metà tra l'élite di New York “xoxo” e i cool kids of Belgravia.

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In assenza di contenuti significativi meglio riflettere sul futuro che verrà, devono aver pensato da Rag & Bone, che hanno deciso di evitare lo show, organizzando una cena nella quale celeb e personalità famose – altresì oggi chiamati tutti “amici del brand” - si dedicano all'eterna arte della conversazione al tavolo, vestiti con gli abiti dell'ultima collezione. Accanto a loro, convitata di pietra, una macchina guidata da intelligenza artificiale che registra le interazioni degli ospiti, creando infine un video – con colonna sonora gentilmente fornita da Thom Yorke, senza il quale nessuna produzione cinematografico-modaiola da Suspiria in poi sembra avere più senso di esistere – che mischia la sua visione dell'evento con quella dei personaggi intervenuti. La speranza è che, in assenza di istituzioni capaci di cannibalizzare l'attenzione, il resto della Fashion Week si faccia territorio fertile per le nuove leve di cui la città ha disperatamente bisogno.