I revers sono frecce che puntano dritte al cuore senza trafiggerlo. Le mani scivolano in tasca dimenticando i pugni di Marco Bellocchio. Lo capisco solo una volta chiusami alle spalle la porta di vetro vecchia Milano dell’atelier di Blazé, un circolo femminile che è un brand femminile e viceversa. La storia delle fondatrici di Blazé Milano è nota e arcinota anche se Delfina, Corrada, Maria Sole, nomi nobili per gesti nobili, non hanno voluto apparire con l’insistenza che si addice a designer in tempi di hashtag e aggiornamenti iOS. Lavoro ai fianchi - di una giacca da smoking - occhio fino, notti sull’asse Milano/Roma/New York e una copia autografata del libro di Carolina De Maigret dopo Blazé Milano è un marchio di moda che ha ampiamente glissato il concetto di stagionalità e si presenta come case-history di un gruppo di donne che, testa su un unico capo, ha costruito un impero che piace in Us, Europa e presto Arabia (“dove le donne hanno fisicità diverse ed è bellissimo studiare nuove linee per ogni differente mercato”). Con mappatura del prodotto über chic, (sono in vendita dall’Hotel Bulgari Resort di Dubai, a via Condotti a Roma fino allo Store della Soho House di Berlino, tra gli altri) il fattore vincente di Blazé Milano è stato intuire un cambio di rotta della moda, dall’editoria all’estetica fluida, mettere insieme competenze di styling, marketing, altissima qualità per quel Sacro Graal che si chiama evergreen e che spaventerebbe chiunque volesse fondare un marchio di moda negli anni Zero. Come lo azzecchi un capo che è un investimento ed è così sofisticato, così classico da durare una vita e non farti venire voglia di comprarne un altro? Si parte dalle origini con tre voci che si armonizzano senza oscurarsi l’un l’altra: tre stylist che hanno lavorato in gruppi editoriali importanti, con brand storici, riunite sotto il tetto della casa di Delfina “siamo cresciute nella mia casa che era una comune di 23/24enni in cerca di carriera nella moda. Voli tra Milano e New York, avanti e indietro, seicento amici in comune, ci conoscevamo già tra di noi”. Nel 2012 il primo bozzetto di idee, nel 2013 la fondazione, sei anni dopo appuntamento “fisso” nel calendario della moda (sabato 23 febbraio durante la Milano Fashion Week 2019/2020, supported by Camera Nazionale della Moda Italiana).

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Courtesy Photo Lorenzo Bringheli
Corrada Rodriguez D’Acrì

Vi siete mai messe a tavolino a definire il dna del marchio? “Te lo dice il nome stesso: Blazé significa non curante, noi arriviamo da dieci anni nel dietro le quinte di questo mondo esclusivo, oggi il brand non è più il brand in sé ma la persona che c’è dietro. Ecco noi coltiviamo il nostro prodotto: Blazé non è/siamo noi tre, è il nostro prodotto punto, il che è molto diverso del concetto che c’è oggi dei designer. Noi non siamo né quel tipo di designer né it-girl”. In un tempo biologico che spinge ai like su Instagram e alle vetrine virtuali per sopperire negozi reali (vedi il flame dei nuovi brand russi online oriented) la scelta di Delfina Pinardi, Maria Sole Torlonia e Corrada Rodriguez D’Acrì è quasi antica “noi come persone non ci esponiamo per niente: siamo super riservate, zero moda-social, nessuno sa della nostra vita, non lo vogliamo” raccontano all’unisono "noi siamo così, dietro le quinte, abbiamo le nostre passioni, i nostri amici, i nostri amori, i nostri mariti, preferiamo passare la nottata sedute per terra a lavorare, non siamo mediaticamente esposte”. Intorno c’è il risultato di quelle notti sul parquet di una Milano di sarti e imprenditori. Una collezione che vola a New York, viaggia a un trunk show a Dubai, guarda le tigri di carta asiatiche. Quanto vi ha aiutato essere molto amiche sul lavoro? “È sempre stato un incentivo, essere amiche aiuta perché lavorare insieme a qualcuno può essere complicato, ma con un’amica hai dei valori in comune che ti portano ad affrontare qualunque problema sempre e comunque, nel bene e nel male. Noi siamo più sorelle che amiche, facciamo vite diverse ma siamo diventate molto simili altrimenti non avremmo trovato questa alchimia”.

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Courtesy Photo Lorenzo Bringheli
Delfina Pinardi

In un mercato dove giocare in solitaria porta risultati virali ci sono casi in cui la combo, se non addirittura il trittico, può portare risultati ben più rassicuranti: non è un caso che tra gli esempi che le fondatrici di Blazé Milano portano compaiano loro “le Attico (Gilda Ambrosio e Giorgia Tordini ndr), le gemelle Olsen con The Row”. Viviamo in un paese sinceramente femminista? “Guarda noi siamo un’azienda tutta di donne c’è solo un uomo: se funziona? Sì, ognuno con il suo utero ma funziona. Le donne hanno sempre più spazio, è una macchina che non si ferma, anche se qui va a rilento e in America va più veloce la questione va avanti”. In sette anni le critiche non hanno sfiorato fodere sinuose, bottoni pregiati, tessuti ricercati anche quando scegliere di puntare tutto su un monoprodotto così sofisticato implica un rischio “forse è stato difficile raccontare soprattutto la sensazione di vestibilità che ti danno certi tessuti” ma è un tecnicismo sul quale le tre donne sapevano di voler insistere. E se, oggi più che mai, avere un brand proprio è complesso nelle occhiaie di queste ragazze c’è la libertà del proprio brand: totale indipendenza, totale burrone “sì, o diventi schiavo del mediatico e probabilmente avremmo un maggior impatto nel mondo, ma a noi va bene bene andare step by step, entrare nelle vene dei paesi, nella nicchia che ci riguarda” ribadiscono. La lucidità e il timing perfetto della nascita di Blazé Milano (agli albori di IG, influencer e digital strategy annesse) ha fatto tutto il resto. Ovvero mercati conquistati e red carpet vestiti di tuxedo impeccabili, futuri in quel di Dubai “siamo molto attratte da quel mercato perché è una sfida: le donne pongono attenzione a scarpe e borse perché sono le più visibili, hanno fisicità più minute, è un mercato da studiare bene e che ha una cultura dell’evergreen molto forte rispetto alle donne americane ed europee che si annoiano più facilmente e vogliono cambiare spesso. Nella cultura araba le cose vengono conservate per più tempo: è un bellissimo stimolo”.

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Maria Sole Torlonia

E c’è una donna che incarna il ponte tra la cultura del mantenere e il guizzo europeo dell’essere chi vogliamo “Caroline De Maigret - racconta Corrada - mi ero messa in testa che lei sarebbe stata una donna Blazé”. Così alla presentazione del best-seller Come essere una parigina da(l fu) Colette, Corrada va a farsi autografare il libro indossando quello che diventerà un cult del marchio: Caroline vede, osserva, tocca il tessuto e poche settimane dopo indossa una giacca Blazé alla sfilata di Balmain, diventa amica del brand, incarna la donna blazé per definizione (collettiva). Il tipo di donna che non sarà mai una donna Blazé? “Una donna che non rispetta la sua naturale bellezza e non si accetta per quello che è”.

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Courtesy Photo Blazé Milano