«La moda - il nostro modo di essere - è l'autoritratto di una società, l'oroscopo che essa stessa fa del suo destino», scriveva Ennio Flaiano. Sofia Gnoli, studiosa di moda, giornalista ed esperta di costume, esamina nel suo libro L'alfabeto della moda (Carocci Editore, con illustrazioni di Aldo Sacchetti) il piacere del vestirsi per quello che è, al netto di scelte individuali e di ossessioni personali: il racconto di una società in perenne evoluzione, che viene rivestita di stagione in stagione di abiti che diventano habitat, ma spesso precipitano nell'oblio prima di diventare abitudine.
Così, dalla A di Anatomia alla Z di “Zoo”, Gnoli (ritratta da Sacchetti in apertura) scrive e descrive un'attitudine umana, che prima di trasformarsi in business aziendale, è un istinto connaturato all'essere umani e alla volontà di esprimersi non verbalmente, ma attraverso la propria apparenza.
Un aspetto che spesso, ancora oggi, viene ingiustamente trascurato da coloro che si ritengono, più o meno, sensatamente, intellettuali. Mentre è stato largamente usato come espediente narrativo dai più importanti ed eccelsi scrittori. Vedi al sentimento del desiderio, concretizzata da Gustave Flaubert in Madame Bovary: «La stoffa del suo abito s'incollava al velluto della giacca di lui.Rovesciò indietro il collo di neve (…) e languente si abbandonò», utilizzata da Gnoli per illustrare la voce Velluto.
«Sono gli abiti a portare noi, e non noi a portare gli abiti; possiamo farsì che modellino bene un braccio, o il seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello, la lingua», scriveva Virginia Woolf in Orlando. Quindi, più che alle singole sfilate o alle consuete biografie dei creatori, dei tanti dizionari della moda che ci sono, questo di Sofia Gnoli si distingue per raccontare storie, episodi di vita vissuta, citazioni fantastiche e più esplicative di un trattato di sociologia.
A proposito di vestimenti e di travestimenti, ecco Umberto Eco: «Quando un personaggio genera un nome comune ha infranto la barriera dell'immortalità ed è entrato nel mito: si è un calimero, come si è un dongiovanni, un casanova, un donchisciotte, una cenerentola, un giuda». Oppure ci sono dichiarazioni più che tranchant sulla questione #MeToo, pronunciate decenni fa, ma validissime ancora adesso: «Mi fanno ridere le donne che vogliono governare il mondo da sole, senza uomini chi è che ti tira su la chiusura lampo sul dietro di un abito?», sentenziava Mae West negli anni Quaranta.
Tra informazioni, notizie, piccoli gossip e racconti, questo agile libretto diventa una bussola indispensabile per orientarsi in un mondo che, se da un lato ancora troppi sfortunatamente considerano superficiale, dall'altro, invece, va essiccando ai raggi cocenti della finanza più bruciante la creatività più fresca e tenera, pur di mettere in commercio prodotti serializzati e non più veicoli di idee.
Sofia Gnoli riabilita anche categorie che sembrerebbero escluse dall'algido mondo delle tendenze di stile: «La volgarità è un ingrediente importantissimo nella vita. Credo molto nella volgarità se esprime vitalità; un pizzico di volgarità è come un bello spruzzo di paprika», diceva Diana Vreeland, mitica boss di Vogue America fino agli anni Settanta.
Come sarebbe bello se questo tipo di volgarità, divertente e saporita, entrasse anche anche negli scranni della politica dove invece oggi impera la sua versione cattiva, dannosa, nociva. E che viene diffusa e imposta come formula generale di buon comportamento e dunque, di buon rivestimento.