La teatralità. L’artificio. L’esagerazione. L’uso deliberato e ironico del cattivo gusto «ma come se fosse pronunciato tra virgolette», scrisse Susan Sontag. L’intellettuale americana nel 1964 diede alle stampe il saggio Notes on Camp, che è stato ripubblicato in Italia da Nottetempo in Rinata. Diari e appunti 1947-1963. A lei, che per prima definì l’estetica dell’eccesso presente in certi film, mode, musiche e personaggi (avete presente Liberace?), si ispira la nuova mostra del Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York, Camp: Notes on Fashion (dal 9/5 all’8/9). Realizzata con il sostegno di Gucci, il 6 maggio è preceduta dal Met Ball, mitico evento con invitati scelti a uno a uno da Anna Wintour, presidente dell’istituzione newyorkese e direttore di Vogue America. Nell’esposizione circa 175 pezzi tra capi di abbigliamento maschile e femminile, sculture, dipinti e disegni dal XVII secolo a oggi.

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Il pianista Liberace a New York nei primi anni Settanta.

Ne abbiamo parlato con Fabio Cleto, docente di Storia culturale e di Storia del presente all’Università di Bergamo, chiamato a scrivere per il catalogo. Ovviamente dalla cover color fenicottero.

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Courtesy Costume Institute Metropolitan Museum, New York.
Il catalogo della mostra Camp: Notes on Fashion

The Spectacles of Camp è il titolo del suo saggio. Come mai? È un gioco di parole tra “spettacoli” e “occhiali”, perché il camp è un modo differente di guardare il mondo con ironia. Il camp non è la realtà, è il travestimento della realtà.

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Johnny Dufort
Un outfit di Bertrand Guyon per la maison Schiaparelli, collezione alta moda autuuno-inverno 2018/19.

Il camp ha connotazioni politiche? Certamente. Rifiutando la banalità del gusto comune, si è sempre distinto per essere contro il sistema: fa tutto quello che è culturalmente vietato, esalta la finzione ed eleva il kitsch, l’anormale e il diverso a protagonisti di una forma inconsueta di bellezza.

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Johnny Dufort
Moschino by Jeremy Scott, primavera-estate 2018.

Chi ne è stato il padre o la madre? Oscar Wilde, che di tutta la sua vita ha fatto un’opera d’arte. Penso anche a Mae West, a Dolly Parton, fino a Kim Kardashian e a Lady Gaga: del resto proprio lei, con Serena Williams, il cantante Harry Styles e Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, sono gli ambasciatori della mostra.

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Johnny Dufort
Mantella trompe l’oeil di Alessandro Michele per Gucci, autunno-inverno 2016/17.

Chi, oltre a loro, può essere considerato camp, al giorno d’oggi? Due nomi: Donald Trump, che è il trionfo dell’innaturale. E Benedetto XVI, la cui uscita di scena è stata degna di Greta Garbo, vera icona del camp per il suo comportamento elegantissimo.

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Vittorio Zunino Celotto//Getty Images
Abito da sera della collezione d’alta moda primavera-estate 2019 Fashion Statements, Viktor & Rolf.