Possiamo esaltarci per Beth Ditto modella per Calvin Klein, possiamo gioire per Ashley Graham incinta che sfodera la gravidanza glamour su Instagram, possiamo inchinarci davanti all'orgoglio curvy di Rihanna e il suo lusso per donne normali (che è semplicemente riuscire ad allacciarsi il reggiseno giusto). Ma per quanto riguarda le modelle plus-size, la mancanza di una vera rappresentazione in passerella (e risalendo via via ai casting, alle selezioni, alle agenzie più celebri), continua a essere un problema sotterraneo ed esplosivo. Anzi, IL problema della moda. E non solo durante le fashion week, dove si manifesta molto più apertamente: nel diversity report della scorsa stagione elaborato da The Fashion Spot sulle presenze in passerella per le sfilate autunno inverno 2019/2020, i numeri precisi dello stato dell’assunzione di modelle plus size alle sfilate erano stati di 94 sulle passerelle di New York (l’1,7% del totale), 9 a Parigi, 4 a Londra, 0 a Milano.

Se non altro ci sono state, ha commentato qualcuno sottolineando la lieve consolazione: ok, rispetto a tanti anni fa è effettivamente una conquista. Ma la verità è che le donne normali, le curvy e le modelle taglie forti (così si chiamano in Italia le plus size, e non è che dire taglie abbondanti sia meglio) non sono mai le protagoniste della moda. Ci diventano con manichini curvy dalla potenza virale, ma dopo il brusio delle polemichette ad arte tutto torna quasi come prima. Alle sfilate non sono considerate materiale da valorizzare, glamour a sufficienza per indossare i sogni del ready-to-wear o della couture. Le modelle plus-size ai casting ci vanno, ci provano. Ma spesso non superano la selezione, ed è facile pensare che tra le motivazioni possa esserci la loro taglia, anche laddove non specificato. “Nessuno di quelli cui ho partecipato specificava le misure o le taglie richieste. A volte è un patto silente perché le modelle plus-size non sono viste come modelle da copertina o da passerella, ma a modelle come me e le mie amiche non interessa. Ci presentiamo lo stesso” ha racconta la modella Alexis Henry a Quartz.

Il campionario, o sample-size di prova di un modello, è respingente per le donne curvy e normali. Una 38 taglia fuori automaticamente la fetta più consistente della popolazione, e non che è che aumentandola fino alla 40 o proponendo affettuosi “fino alla 46” le cose si addolciscano. Siamo già nei negozi, nelle boutique di lusso, dalla parte dell’acquirente. Il problema, indicano gli esperti, è a monte. Quando tra i marchi non c’è l’abitudine di considerare nel range delle taglie quelle che sono le plus-size, perché dovrebbero mandarle in passerella? Scegliere di rappresentare la diversità -braccia normali, cosce abbondanti, fianchi reali, seni XXL- non ha appeal per molti fashion brand. Ma anche qui sono i numeri a parlare: le donne plus-size hanno acquistato 21 miliardi di dollari di abiti nel 2018 e moltissimi marchi di fast fashion hanno iniziato a creare abiti per donne curvy più facilmente reperibili, e su larga scala. Stando ad un’analisi di Racked, alla NYFW 2018 solo 32 dei 300 brand che sfilavano contemplavano di arrivare ad una taglia 16 americana, che corrisponde indicativamente ad una 52 italiana. La motivazione/giustificazione delle case di moda di alta gamma è sempre la stessa: la clientela plus-size non fa vendere di più. Guardiamo ai soldi: non inficia realmente sul bilancio del marchio.

Per questo non si ricercano modelle curvy, plus-size o normali. La loro forza attrattiva, per quanto maggiore rispetto a qualche anno fa, è comunque considerata troppo bassa. La ricerca si basa principalmente sullo scouting via Instagram: più followers hai, più hai speranze di farti notare. “Ti chiedono i link ai profili social, e direttamente il numero dei followers. Essere iscritti ad un’agenzia può non avere la stessa importanza di un alto numero di followers. Io ne ho pochi più di 3000 e sto sperando che aumentino per avere maggiori opportunità, ma non la ritengo una cosa giusta” ha amaramente raccontato la modella curvy Tori Jones sempre a Quartz. Lei ha partecipato a 40 casting per la NYFW in corso, ma nessun marchio l’ha voluta. In proporzione, rispetto alle modelle “tradizionali” le curvy e le plus-size hanno percentuali scarsissime di booking. Ci sono i casi felici, come la rivoluzionaria modella plus-size di lingerie Yasmin Fox. Ma sono casi rari.

Coloro che mettono le donne normali o le plus-size in mostra sulle passerelle sono solitamente marchi che non hanno mai nascosto la loro inclinazione all’inclusione. Universal Standard, ad esempio, crea vestiti per donne curvy strepitosamente minimal-chic. Sono quei marchi che non vogliono una modella plus-size solo per tenere alta la quota curvy, così come non inseriscono nel booking una modella trans in quota LGBTQ, come specificava Maxim Magnus. Tra i marchi più inclusivi c'è da sempre Chromat che nei giorni della NYFW manda in passerella il più ampio campionario di corpi femminili possibili, gioiosamente e caleidoscopicamente abbigliate. Non è stata da meno la sfilata della stagione primavera estate 2020, tenutasi l’8 settembre a NY: simbolo del marchio è stata la strepitosa discesa in passerella della modella plus size Tess Holliday con un abito scherzoso, ironico e distintivo, attraversato dal lettering “sample size”. Strepitosamente se stesse, fiere, supersexy e sicure di loro, Tess Holliday e le modelle di Chromat ci hanno tenuto a ribadire il concetto: esistiamo, siamo qui, siamo parte del mondo. In attesa di un "AAA cercasi modelle plus size".

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