Un recente studio realizzato da Business Insider intelligence su dati Media Kix suona le trombe: il mercato degli influencer, o, come si dice in gergo, l'influencer marketing, non accenna a fermarsi, e varrà sempre di più. Dagli 8 miliardi del 2019, si arriverà nel 2022 a 15 miliardi. Quello che però non dice, lo racconta meglio il Wall Street Journal, che in un articolo del mese scorso “Online influencer tell you what to buy, Advertisers wonder who's listening” (trad: gli influencer ti dicono cosa comprare, le aziende si chiede chi li sta ascoltando) sottolinea un mercato in crescita, ma con diversi talloni d'Achille, e dei costi inflazionati, gonfiati talmente tanto da far pensare che la bolla sia sul punto di scoppiare.

Quello che effettivamente era nato come una modalità figlia del web, per recensire prodotti e beni, ed era diretta a un ristretto circolo di amici reali e conoscenti virtuali, uniti da un fil rouge, quello di una passione comune, oggi è un mercato multimilionario di teenager che nottetempo sono divenute celebrità. Dopo i blog, frammentari in quanto non raccolti in una piattaforma comune, l'avvento di Facebook, ma ancor più di Instagram, ha favorito la nascita di figure a metà tra la celebrità e l'addetto ai lavori, che si proponevano di raccontare senza filtri al proprio seguito “la verità, tutta la verità”, su questo maglione o quell'epilatore elettrico. Una rivoluzione del mercato che era stata preconizzata da un saggio, il Clue Train Manifesto (1999, firmato da Rick Levine ,Doc Searls, Christopher Locke e David Weinberger): tra le sue 95 tesi, si sostiene che il mercato, altro non è che "una conversazione".“Attraverso Internet, le persone stanno scoprendo e inventando nuovi modi di condividere le conoscenze pertinenti con incredibile rapidità. Come diretta conseguenza, i mercati stanno diventando più intelligenti e più veloci della maggior parte delle aziende”.

E secondo il Wall Street Journal, questo mercato è, nel 2019, esploso in tutta la sua potenza. A seconda del numero di follower, infatti, l'azienda che voglia collaborare con loro, omaggiandoli di beni al fine di ottenerne una sponsorizzazione in cambio, può attenersi a un vero e proprio tariffario: per i nano-influencer, quelli con meno di 10 mila follower, bastano spesso 500 dollari, o anche un buono del medesimo valore da spendere nei prodotti del brand. Salendo di livello, però, le cifre si fanno altissime, quasi stellari: chi ha tra i 500 mila e 1 milione di follower (influencer macro) richiede una cifra che può andare dai 5 mila ai 25 mila dollari, chi supera il milione può richiedere fino a 150 mila dollari (per un singolo post sponsorizzato su Instagram) mentre chi rientra nella categoria delle celebrity (dalle Kardashian ad Ariana Grande, passando per top model e personalità) arriva a richiedere 500 mila dollari.

instagramView full post on Instagram

Il problema? Non certo nelle cifre esorbitanti – se c'è qualcuno che le richiede, c'è anche qualcun altro che è disposto a pagarle – quanto nel fatto che, sostiene il WSJ, mentre i compensi continuano a salire, non è più chiaro come e quanto queste nuove figure professionali siano capaci di influenzare gli acquisti di chi li segue. Inoltre, secondo InfluencerDB, azienda che crea strumenti di analisi per le aziende che prevedono delle campagne con gli influencer, la loro “influenza” sul mercato è in calo (chi si occupa di viaggi ha perso 3,5% punti dal 2018 a oggi, per il settore moda si parla di -1,8, per il cibo si segna un -3,5%). Marianna Accardo, fondatrice del marchio di beachwear Bikini Lovers, ha lanciato il suo brand nel 2012, vendendo sull'e-shop del marchio.“Si era agli inizi, non era arrivato ancora Instagram, gli influencer non esistevano, aveva tutto un sapore più artigianale e il nostro prodotto si inseriva in una fascia nuova, a metà tra i grandi gruppi come Intimissimi e Calzedonia, e il beachwear, costoso, delle grandi maison.” Tra i compratori, in quello stesso anno, c'è una giovanissima Chiara Biasi (oggi 2,4 milioni di follower) ancora lontana dallo status virtuale di celebrità, più vicina a un'adolescente come molte, che condivide online con le amiche pensieri e consigli sugli abbinamenti perfetti. Molti le chiedono dove ha acquistato il pezzo, l'interesse generato si capitalizza con una capsule natalizia che va in sold out in 4 giorni, con un guadagno di 100 mila euro. L'accoppiata funziona anche per la capsule di San Valentino 2013, già finita dopo poche ore dal caricamento dei pezzi online.

“Oggi non sarebbe più possibile”, spiega Accardo. “Il pubblico è molto meno ingenuo, sa quali sono i meccanismi che regolano questo mercato, non si fida di un post che ha l'hashtag #adv, e comunque i marchi emergenti non avrebbero i fondi per poter sostenere una sponsorizzazione. Bisogna fare molta attenzione nel selezionare gli influencer, e scegliere anche tra quelli con meno follower, ma che risultano più coerenti con la narrazione del proprio prodotto”.

Un'opinione, la sua, condivisa anche dagli esperti del settore, come nel caso di Vincenzo Di Sarli, presidente e fondatore di DMR Group, una delle maggiori piattaforme di analisi dati a livello globale, che a Marieclaire.it ha detto “Lo scenario oggi è molto più variegato e complesso, anche perché le possibilità di falsare i dati sono molteplici. Mentre all'inizio di questo fenomeno, i risultati si calcolavano sulla base di metriche quantitative, come il numero di follower e di like, l'unico modo per avere una valutazione che rispecchi la realtà, nel 2019, è affidarsi a professionisti che analizzino anche la base dei follower, nella quale può esserci una percentuale di profili sospetti”.

E in effetti ormai acquistare follower su qualunque tipo di piattaforma costa quanto una cena fuori. Su YouTube 1000 follower costano 49 dollari, su Facebook lo stesso numero è “in saldo” a 34 dollari, mentre su Instagram ne bastano 16, secondo dati raccolti dall'azienda di cybersecurity GoSecure. Trucchetti che, secondo il professore dell'università di Baltimora Roberto Cavazos, costeranno alle aziende, solo quest'anno, 1,3 miliardi di dollari. Illegale, ma se ci fosse la giurisdizione a regolamentare la materia, forse il timore della pena spaventerebbe chi si affida a questo genere di trucchi. Se l'influencer marketing non deve certo scusarsi di essere troppo veloce, e aver lasciato indietro la burocrazia, qualcosa si è fatto. La Federal Trade Commission americana, ovvero l'ente che regola pubblicità e promozioni, ha stilato una guida alla quale chi sponsorizza prodotti dietro pagamento deve attenersi (se prima la punizione era una lettera di avvertimento, ora si è arrivati a pene pecuniarie). Più che leggi, si tratta di regole dettate dal buon senso, e sono le stesse che valgono, in maniera molto più rigida, per le pubblicità con i mezzi classici (sui giornali, con gli spot in tv o sulle radio). La sponsorizzazione deve essere quanto più onesta possibile (se un prodotto non è stato testato, non si può recensire, oppure se è inferiore alle aspettative, non si può dire al proprio seguito online che è, invece, il migliore sul mercato), ma soprattutto il rapporto commerciale deve essere messo in chiaro, dagli hashtag #adv o #sponsored. La realtà è che, come suggerisce un vecchio adagio italico

“fatta la legge, trovato l'inganno”.

“Gli influencer hanno saputo trasformare quello che potenzialmente era una limitazione in una nuova arma” spiega Federico Albani, digital strategist. “Quando con le aziende si va alla ricerca di profili con i quali collaborare, si va a calcolare anche la quantità di post#adv, e quindi anche la quantità di brand con i quali l'influencer collabora. Questo porta molti a inserire l'hashtag che indica la sponsorizzazione, anche laddove non esiste un rapporto di scambio economico. In questo modo (disonesto) vogliono validare la loro figura di fronte a dei potenziali clienti, e per questo tipo di frode la Federal Trade Commission non prevede (ancora) nessun tipo di pena".

Certo però, al tribunale qualcuno ci è andato molto vicino: è il caso di Luka Sabbat, 21enne con 2 milioni di follower, il primo “influencer che non influenza”, come l'hanno chiamato in America. Fidanzato per qualche tempo con una Kardashian “minore”, Kourtney, è stato citato in giudizio da Snap Inc, proprietario del brand di occhiali da sole Spectacles, per non aver rispettato gli accordi presi con un contratto legalmente vincolante, e non aver prodotto il numero richiesto di stories e post Instagram. Dei 45 mila dollari richiesti, Sabbat ne ha ridati, su ordine del giudice, 15 mila (la cifra che è stata pagata in anticipo era di 60 mila dollari per un post nel feed di Instagram e 3 story).

Come muoversi, allora? All'estero ci sono i primi casi di aziende che hanno smesso di lavorare con gli influencer, preferendo concentrarsi sul proprio pubblico: è il caso di Banana Republic, che invece chiede ai suoi clienti, quelli veri e affezionati, di postarsi su Instagram con il loro outfit preferito del brand, in cambio di carte regalo da 150 dollari. L'obiettivo è quello di raccontarsi in maniera onesta e coerente ad una platea di ascoltatori attenti, e fedeli. L'importante è, a oggi, nello storytelling, ovvero nella maniera nella quale il marchio sceglie di raccontarsi, anche perché non sempre l'obiettivo finale è la conversione (ossia la trasformazione di quei like in acquisti) ma a volte si tratta anche di posizionamento (ovvero accreditarsi e farsi conoscere, tramite il network dell'influencer, presso un pubblico al quale il brand non riuscirebbe ad arrivare da solo). “ Il numero di conversioni precise si possono ottenere quando si parla di singolo prodotto” spiega Riccardo Cortese, Ceo and founder di Briscola Pizza, “ma essendo il marketing un mix di campagne e prodotti diversi non è possibile calcolare con precisione se un aumento delle vendite è imputabile a una specifica influencer o magari a una nuova apertura o a una nuova campagna pubblicitaria. Magari sono tutte le tre cose insieme. Nel caso del nostro marchio (una catena di pizzerie ma non solo, che punta sul concetto di“pizzine” da comporre, puntando sul culto italico della pizza come momento di aggregazione, e che ha aperto diverse sedi tra Milano e Firenze) quello che abbiamo notato è che, selezionando l'influencer nella maniera giusta, rendendolo protagonista di una campagna nella quale è coinvolto anche a livello creativo, e non solo come mero esecutore che deve realizzare un numero specifico di stories o post, si trasforma in ambassador. A volte sono loro stessi che si presentano da noi con un progetto creativo, come nel caso di Giorgio Ciccone, digital artist (50 mila follower ndr) che si è proposto di illustrare i cartoni della pizza con i segni dell'oroscopo.”

Creare una community di personalità che amano, anche nella loro vita privata, il prodotto che sponsorizzano, e tornare quindi alle origini, sembra essere la nuova via da percorrere. Oppure. Oppure ci sono le influencer virtuali, come Noonoouri, creata dal grafico tedesco Joerg Zuber. “Da grande appassionato di moda, mi sembrava che questo mondo degli influencer fosse diventato egoriferito. Io, invece, credo che la moda sia piena di storie da raccontare: così ho creato Noonoouri (avatar creato un anno e mezzo fa e già finito sulle copertine di Harper's Bazaar Australia e Vogue Taiwan, con 333 mila follower). Ci ho messo sette anni, e non ho avuto nessun investitore: spesso ho incontrato gente che era interessata, ma tutti volevano la creassi con dei connotati più sexy: più curve, più labbra. Chissà perché erano sempre uomini (ride...). Così ho deciso di fare da solo."

"A differenza di Lil Miquela, (avator modaiolo primigenio da 1,7milioni di follower e già protagonista di copertine e campagne con le sorelle Hadid, ndr) talmente verosimile da sembrare vera, Noonoouri è dichiaratamente una creazione della grafica digitale. Non volevo creare confusione tra le due dimensioni. Noonoouri però ha una sua personalità, è curiosa e, ad esempio, si interessa a quante rose ci vogliono per creare un profumo, o quante ore ci vogliono per realizzare un abito couture. Una peculiarità che l'ha fatta conoscere a Maria Grazia Chiuri, direttore creativo di Dior, marchio per il quale Noonoouri ha indossato gli abiti dell'ultima resort collection.” Un'attivista per i diritti delle donne, e contro l'uso delle pellicce (i progetti di carattere sociale non prevedono compensi economici, ma vengono selezionati da Zuber sulla base degli argomenti cari a Noonoouri, dalla protezione dei rinoceronti a rischio d'estinzione in Namibia ai diritti umani sostenuti da Amnesty International, passando per la causa LGBTQ) l'avatar è stata da poco messa sotto contratto dall'agenzia di modelle (tutt'altro che virtuale) di IMG. Collaborazioni con Valentino, Tommy Hilfiger, Thierry Mugler, Marc Jacobs e Moschino,tra le sue fan c'è Kim Kardashian, con la quale si fanno gli auguri di buon compleanno su Instagram, con selfie di rito, Irina Shayk, con la quale si ritrova nel backstage delle passerelle di Max Mara, o Carine Roitfeld, con la quale appare sulle cover di Le Figaro.


E gli influencer reali, cosa ne pensano? "Gli hater? Sono capitati anche a me", spiega Zuber. "Ricevevo messaggi sul genere “ci stai rubando il lavoro”. Non sono uno a cui piace lo scontro, cerco di spiegare che le due cose secondo me possono coesistere. Certo, se la creazione e il successo di Noonoouri possono contribuire a far sentire agli influencer reali la necessità di migliorarsi, migliorare la qualità dei contenuti che propongono, e spingerli a essere più creativi, perché no?" O forse, magari, semplicemente, quei mercati velocissimi e moderni di cui parlavano gli studiosi del Clue Train Manifesto, sono diventati molto più veloci di quanto gli influencer avevano immaginato, e si stanno preparando al sorpasso?