Soffia il vento dell'Europa – nonostante tutto – su questa settimana della moda milanese al debutto. Dal 10 al 14 gennaio Milano prende da Firenze - dove si è concluso Pitti 97 – il testimone della capitale maschile della moda, mandando in scena la sua visione stilistica per il prossimo autunno/inverno. Tra le maggiori novità, infatti, c'è una collaborazione con il regno d'Albione: tra correnti contrastanti, divise tra chi dall'Europa si vuole allontanare – i politici Tory, con la sospirata Brexit, che chissà quando arriverà – e chi invece da Londra scappa per altri lidi – gli (ex?) reali Harry e Meghan sono già su un volo diretti in Nord America – il British Fashion Council si tiene ben stretti i suoi rapporti privilegiati con la cara vecchia Europa, destinazione primigenia e culla della moda con la M maiuscola. In questo senso, forse, nasce il progetto di London show Rooms, durante il quale saranno presentati al pubblico 10 designer inglesi, 5 italiani e studenti, sempre italiani, che però studiano ancora nelle istituzioni più rinomate sul suolo britannico. Tra i primi, ci sono nomi che ormai sembravano connaturati alla London Fashion Week, come quello di E. Tautz, il più antico marchio inglese di sportswear, fondato nel 1867 e oggi reso contemporaneo – anche se una famiglia, quella dei Tautz & Sons, che molto prima di Chanel, pensa all'abbigliamento sportivo, non prende lezioni di contemporaneità da nessuno – dal direttore creativo Patrick Grant. Altro ingresso di peso, nella compagine inglese, è quello di Charles Jeffrey Loverboy, già inserito nel 2016 nella lista delle 500 figure più importanti della moda mondiale dal BOF.

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Se il giornalista Tim Blanks, proprio dalle pagine del BOF, lo aveva definito "capace di parlare alla sua generazione come Alexander McQueen faceva con la propria", in realtà il giovane scozzese sembra più una crasi tra le stampe e i colori punk di Vivienne Westwood e le suggestioni da club kid di Gareth Pugh. Vincitore del LVMH British Emerging Talent Prize del 2017, lo stilista self-made – e senza parenti famosi o aiuti da casa – ha lavorato come commesso e poi negli uffici stile di diversi marchi britannici, qui sconosciuti, per potersi permettere tre mesi a Parigi, durante i quali ha svolto uno stage da Dior. Con la stessa testardaggine ha racimolato i soldi per auto-finanziarsi nella rinomata – e poco economica – Central Saint Martins, seguendo i corsi della mentore di Alexander McQueen e molti altri, Louise Wilson, organizzando la serata Loverboy al VF (Vogue Fabrics) di Dalston, divenuto luogo di ritrovo cult per gli amanti della club culture. E proprio Charles Jeffrey, insieme a Francesco Risso, direttore creativo di Marni, sarà il padrino della serata conclusiva dell'evento, Balla denso intenso.

Milano pare essere diventata sinonimo del sogno, persino per chi, l'idea di "sogno" se l'è inventata, ossia gli americani. Forse per questo motivo sulle passerelle arriverà anche l'uomo di Brett Johnson, brand focalizzato su maglieria e pelle, e che da sempre utilizza materie prime e professionalità made in Italy. Le sirene seduttrici all'ombra della Madonnina ammaliano anche Copenhagen, che, nonostante una fashion week sempre più ammantata da un'aura di futurismo e desiderabilità, non sembra ancora intenzionata a dichiarare l'indipendenza dal Vecchio Continente.

Tra i danesi attratti da Milano c'è infatti Han Kjøbenhavn, che manderà in passerella il suo brand dall'impronta sportswear, che però guarda più alla scena del Berghain berlinese che allo scandi-cool da tanti decantato come nuova filosofia stilistica degli anni Venti.

Gli amanti dello sportswear, però, vedranno Milano, considerata capitale dell'eleganza maschile classica, muoversi a un nuovo passo: nel calendario ufficiale infatti compare anche United Standard, brand dall'appeal internazionale, e però con un direttore creativo italiano, Giorgio Di Salvo, che ha già collaborato a progetti di rivisitazione dell'archivio con marchi storici come Trussardi. Sulla stessa linea A cold wall*, altro ingresso di punta, disegnato da Samuel Ross, considerato, per il suo approccio che fonde street e industrial, il Virgil Abloh inglese. Tra i brand supportati dalla Camera Nazionale della Moda italiana ci sono invece Numero 00 - sempre in quota sportiva luxury – e il razionalismo riflessivo di Fabio Quaranta.

E i big, cosa fanno? A essere atteso, ovviamente, lo show di Prada, che nel front row ospiterà sicuramente il nuovo testimonial, il cantante r&b Frank Ocean – celebrato negli Stati Uniti a canali e opinioni unificate come il nuovo genio visionario della musica, forse anche per quella capacità, così rara tra i suoi colleghi, di sfuggire agli eccessi, alle collane in oro massiccio e ai denti d'oro, lasciando che a parlare sia solo la sua musica, che centellina con estrema attenzione. Alexander McQueen ritorna, per una stagione, a presentare la collezione uomo a Milano, mentre a chiudere l'ultima giornata, garantendosi così la presenza di stampa e buyer fino alla fine della kermesse modaiola, ci sarà il peso massimo di Gucci, insieme a un marchio sempre più sinonimo d'Italia nel mondo, come Marco De Vincenzo. I venti di separatismo possono soffiare sul vecchio Continente, ma la Camera Nazionale della Moda italiana, per questa stagione, è più europea e contemporanea che mai.