“Prendere le preoccupazioni di ogni atleta e trasformarle in una virtù”. Un po’ premessa un po’ promessa, inizia più o meno così la storia della prima collezione swimwear Nike dedicata alle donne musulmane. A raccontarla è Martha Moore, vicepresidente e direttore creativo del brand che ha preso una voce onomatopeica, swoosh, e l’ha trasformata in una voce (mass)mediatica. Hijab, tunica, leggings e copricapi, dalla XXS alla XXL, con fattore di protezione solare e un processo di testing a lungo termine effettuato direttamente sulle e dalle dirette interessate, la collezione Nike Victory Swim non cavalca solo le onde del fashion business legato al Medio Oriente (la cosiddetta modest fashion), ma desidera colmare concretamente quel fashion gap abissale tra religioni musulmane e sport acquatici.

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Courtesy Photo / Nike

Quali sono le più grandi sfide nel disegnare capi per e sul corpo delle donne?

Ogni corpo ha bisogno di valorizzare la sua diversità. Questa è la croce e, soprattutto, la delizia del mio lavoro. Prendere le preoccupazioni di ogni atleta e trasformarle in una virtù. In fondo, è la filosofia di Nike, trovare soluzioni per migliorare la performance di tutti gli sportivi.

Qual è la parte migliore di lavorare a stretto contatto con un’atleta?

Il suo feedback. Il parere di chi lavora con te sta alla base del processo creativo. Le voci delle sportive professioniste ci ispirano a migliorare ogni giorno, centimetro dopo centimetro di tessuto.

Com’è cambiata l’industria swimwear in questo decennio?

Diciamo che è cambiato proprio il significato di swimwear. Tanto i brand quanto i designer non guardano più esclusivamente alla funzionalità o alla bellezza del prodotto finale, il loro lavoro va oltre. Dove oltre sta per chiedersi: Esistono delle tecnologie che si possono applicare all’industria tessile? Quanto e come la moda può aiutare lo sport? Quanto e come lo sport può aiutare la moda?

E quali sono le sfide della moda swimwear del prossimo decennio?

Quelle legate al macro mondo dei watersports, quindi non solo nuoto ma anche sup, surf, sci d’acqua o pallanuoto. Quando si pensa agli sport acquatici, vengono in mente attività strettamente collegate al divertimento o a un hobby, ma c’è dell’altro, ci sono atleti che si allenano duramente per raggiungere obiettivi in cui anche i brand dovrebbero credere.

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Courtesy Photo / Nike

Come nasce (e si concretizza) una linea swimwear con SPF?

Studiando l’ambiente in cui i capi saranno indossati. Creare una collezione con un fattore di protezione 40+ è stato uno dei passi più critici del progetto, ma alla fine ci siamo riusciti. Le atlete sono schermate dalla testa ai piedi, i capelli raccolti in uno speciale copricapo costruito come una “tasca” dove custodirli in modo pratico, i tessuti sono leggeri e resistenti, idrorepellenti perché in nylon e spandex, tessuti tecnici che fanno scivolare letteralmente via l’acqua dai capi. Il plus? Ci siamo ispirati agli squali per dotare ogni suit di speciali “branchie” di tessuto così da impedire la formazione di bolle d’acqua e non distrarre i nuotatori dai loro obiettivi.

Quali sono i cliché che continuiamo ad avere sul mondo del nuoto al femminile?

Pensare che beachwear sia sinonimo di bikini e che, a sua volta, bikini sia sinonimo di sensualità, di corpi che si scoprono sempre di più per mostrare e dimostrare chissà che cosa. È questo il luogo comune che stiamo cercando di sbriciolare creando costumi comodi, funzionali, semplici, che diano alle donne la libertà di scegliere chi essere e cosa rivelare. Continuiamo imperterriti nella nostra missione: rendere lo sport accessibile a tutti, qualsiasi sia la domanda.

E quali quelli sulla modest fashion?

Parlando con le atlete abbiamo scoperto che in passato molte stavano per rinunciare ai loro sogni da sportive, proprio perché non esisteva un costume che rispettasse appieno le norme del Corano. Alcune hanno giurato di non aver mai visto le loro madri nuotare o andare in vacanza al mare proprio per questa difficoltà, diciamo, “tecnica”.

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