Lo hanno definito "accordo soddisfacente per entrambe le parti", si traduce con un sostanziale intervento statale – e nello specifico, dello stato americano – nelle dinamiche di un'azienda privata. E quando quest'azienda è Prada, è lecito fare delle riflessioni in merito. Cosa vuol dire? Ab originem, a volere spiegare l'antefatto, c'è stata la tremenda accusa di blackface, ovvero quell'abitudine nata durante gli anni del segregazionismo, quando a teatro, gli attori si dipingevano il viso di marrone, per interpretare ruoli – sempre ovviamente ridotti a macchiette, dal servo in livrea poco sveglio allo schiavo nei campi di cotone, potenzialmente disonesto – che avrebbero dovuto essere impersonati da persone di colore, non fosse che a loro era proibito calcare il palco, insieme a tutta un'altra serie di restrizioni alla libertà personale ben più gravi. A dicembre 2018 l'avvocato per i diritti civili Chinyere Ezie aveva scagliato un j'accuse contro la maison italiana, sostenendo che il brand perpetrava questa pratica, ovviamente esecrabile, con una collezione di oggetti, la Pradamalia, costituita da pupazzi da appendere come charm alle borse in saffiano: uno di loro, labbra ingigantite rispetto al corpo, in legno, scavava troppo in quell'immaginario nefasto.

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Scuse, da parte di Prada, l'istituzione subitanea di una commissione, il Diversity and Inclusion Advisory Council, guidata dall'artista Theaster Gates e dalla regista Ava DuVernay, e, ovviamente, il ritiro immediato del prodotto dai negozi e da qualunque piattaforma ne consentisse la vendita. Caso chiuso? No, perché sulla questione, bollente in un'era nella quale l'America deve fare i conti con una parte del paese alla quale la parità dei diritti basilari ancora non sembra scontata, e la polizia utilizza metodi più o meno brutali a seconda del colore della pelle , è scattato l'intervento della Commissione per i diritti umani della città di New York, presieduta da Carmelyn P. Malalis. Dopo l'istituzione di un'indagine per la condotta del marchio, è arrivato un patteggiamento, siglato il 4 febbraio, che, appunto, è stato definito soddisfacente da entrambe le parti. Secondo i media internazionali, riportati nella notizia fornita da Pambianco, nello specifico quest'accordo si articola in una serie di misure: la più importante è di certo quella dei corsi di sensibilizzazione sull'equità razziale che il marchio dovrà fornire nei prossimi 120 giorni ai dirigenti milanesi, da Miuccia Prada a Patrizio Bertelli, passando per il presidente del gruppo Carlo Mazzi, e a tutti i dipendenti del marchio a New York, con aggiornamenti sul raggiungimento degli obiettivi da consegnare alla Commissione ogni sei mesi, per due anni. A febbraio 2021, inoltre, il marchio dovrà fornire la composizione demografica dei propri dipendenti, e dare conto dei provvedimenti passati e futuri messi in atto per "aumentare il numero di persone appartenenti a classi protette sottorappresentate nell’industria della moda". Last but not least, è prevista la nomina di un responsabile per la diversità e l'inclusione, che la maison dovrà scegliere tra una rosa di candidati forniti dalla Commissione, che avrà il diritto di “revisionare i progetti di Prada prima che vengano venduti, pubblicizzati o promossi in qualsiasi modo negli Stati Uniti”. Se dal marchio, un portavoce riportato da Pambianco fa sapere che "condividiamo l’impegno della Commissione per i diritti umani della città di New York a garantire che le diverse prospettive siano rappresentate e rispettate, e siamo lieti che le nostre iniziative in materia di diversità e inclusione siano allineate con la loro visione per un settore più equo e inclusivo”, più che misure per garantire la sacrosanta equità razziale, questo procedimento mette un paletto censore alla libertà creativa di un'azienda privata, proprio nel nome del rispetto delle diversità? Animati dalle migliori intenzioni, quelle di far valere, nei limiti di una città, diritti che non sono garantiti alle minoranze etniche in molti dei 50 stati dei quali si compone il paese, il risultato è però molto più vicino alla censura preventiva attraverso l'occhio di un Grande fratello di orwelliana memoria, che al raggiungimento di una consapevolezza in materia di diritti civili, materia scottante appena si mette piede negli Stati Uniti, per via di un passato che, evidentemente, non si è elaborato abbastanza. Adesso, con un precedente importante, ci si chiede come si muoverà la Commissione con un altro marchio incorso in passato in un errore similare: Gucci e il maglione balaclava, macchiato dall'infamante accusa di blackface, e poi ritirato, è in fondo affare ancora più recente, risalente allo scorso febbraio. Scatterà la scure delle misure della Commissione anche per loro? Il black history month, mese che Usa e Canada dedicano annualmente alla celebrazione di nomi ed eventi salienti nella diaspora africana, è appena iniziato.