Ai tempi incerti servono progetti senza tempo che ci mettano tutti negli stessi panni. Meglio ancora, serve qualche 'cosa da indossare' come il significato originale del termine kimono, capace di evolvere insieme alla sua forma che non veste solo il corpo. Semplice nella struttura, sofisticata nel design, fluida nel modo di attraversare epoche e mode. Da secoli, formale e casual, rigoroso e liberatorio, maschile e femminile, per ogni età, latitudine e cultura, dal Giappone del XVI secolo alle ultime sfilate di haute couture, prêt-à-porter e street style del mondo intero. Tradizionale e moderno, come la sua capacità di tessere dialogo e interazione tra oriente e occidente, generazioni e generi. Mutevoli e dinamici, coma le personalità che abbraccia ed esalta con vesti sontuose, dagli onnagata (女方 "a forma di donna”) del teatro giapponese Kabuki (attori maschili che interpretano tutti i ruoli), al kimono femminile vintage indossato da Freddie Mercury. Una sfida agli stereotipi di genere, deflagrata da David Bowie con la complicità del designer giapponese Kansai Yamamoto, realizzando i costumi per il suo alter ego Ziggy Stardust e chi non smette di citarlo. Un viaggio nel tempo di ogni angolo di mondo, scandito da relazioni e contaminazioni, con il percorso espositivo di Kimono: Kyoto to Catwalk, allestito al Victoria & Albert Museum di Londra (chiusa dalla pandemia, riaperta dal 27 agosto al 25 ottobre 2020). Stimoli culturali sui quali riflettere, mentre il pianeta affronta le contaminazioni della pandemia da Coronavirus (COVID-19), insieme alle paure più ataviche e incontrollabili, rimettendo in discussione le relazioni che abbiamo con tutto.
Gli spazi del più grande museo di arte e design del mondo e i suoi percorsi espositivi sensibili alle dinamiche antropologhe che muovono la relazione di ogni cosa con il contemporaneo, dopo l’attenzione dedicata alla Haute Couture di Cristóbal Balenciaga, al Designer of Dreams di Cristian Dior e la rivoluzione fashion di Mary Quant, ripercorrono la storia dinamica del kimono con la sua prima mostra Europea. Anna Jackson, Custode del Dipartimento Asiatico del V&A e specialista dell’abito giapponese e dello scambio culturale tra Giappone ed Europa, curando questa mostra senza precedenti, ci lascia avventurare nelle molteplici diversità e complessità, sartoriali e sociali, di un indumento apparentemente semplice e immutabile, diventato universale, in Giappone come nel resto del mondo, portando secoli di cultura nelle pieghe sinuose del suo tessuto.
La mostra sovverte pregiudizi e cliché di una vera icona in continua evoluzione, con trama e ordito di oltre 300 kimono, senza rinunciare a rarità del XVII e XVIII secolo, mai uscite dal Giappone come un capo in broccato francese dipinto a mano conservato dal Museo nazionale di Storia Giapponese, tanto delicato da non rimanere esposto per più di otto settimane. Un caleidoscopio di tessuti, colori e atmosfere, amplificato dai riflessi a specchio dall’installazione e gli accessori che cavalcano gli oceani del tempo e delle mode, con delicati kanzashi floreali per i capelli, fasce obi, calzini tabi, borse e molto altro, tra stampe originali ukiyo-e, sculture netsuke e la ricostruzione bonsai di un universo poetico come un haiku che non aspetta la grazia di primavera per cambiare la fodera del kimono.
«Dalla sofisticata cultura della Kyoto del XVII secolo fino alla creatività delle passerelle contemporanee, il kimono è unico in termini di rilevanza estetica e impatto culturale, e occupa un posto affascinante nella storia della moda» Anna Jackson
Il percorso espositivo, fluido come l’evoluzione del kimono, attraversa epoche e stanze con tre diverse sezioni, insieme alle evoluzioni dell’indumento indossato oggi dalle persone di ogni paese e posizione sociale, come nel Giappone del XVI secolo. Le sue origini che partono dalla Cina della dinastia Tang, attraversano il periodo Edo del XVII secolo e il XIX, insieme ai diversi disegni, modelli e materiali arricchiti dalla crescita della classe mercantile. Attori kabuki e celebri cortigiane contribuiscono ad amplificarne trame e tendenze dell'indumento nato per sfiorare il corpo, tra l’audacia dei designer giapponesi che iniziano a produrre kimono per stranieri e quelli che disegnano per il mercato interno, influenzati da stili, tessuti e colori che arrivano dall’estero, con una rete commerciale che rende sempre più fluido il rapporto tra Oriente e Occidente. Il suo fascino non sfugge al mondo dell’arte, mentre il grande magazzino di Londra Liberty & Co inizia a produrre varianti del capo di appropriazione culturale e simbolo dell'estro creativo di chi lo indossa. Non un semplice indumento ma espressione di se.
L’influenza sulla moda occidentale raggiunge un picco elevato nel XX secolo, quando la singolare forma boxy del kimono scioglie lo stile drappeggiato di designer europei come Mariano Fortuny, Madeleine Vionnet e Paul Poiret, artefice del modello giallo acido che fa bella mostra nella seconda sezione della mostra, come potrebbe fare sulla prossima passerella. Dettagli e ricami, tecniche di stampa o minimalismo estremo, accarezzano le epoche in cui sono stati concepiti, quanto i personaggi ricamati tratti da una poesia del IX secolo. Tutto quello che è successo dopo arricchisce l'ultima sezione di Kimono: Kyoto to Catwalk, con la seducente modernità del capo disegnato dal nigeriano Duro Olowu (apprezzato non solo da Michelle Obama) e la ventata di freschezza liberata dai motivi geometrici di Thom Browne. L'ensemble di Jean Paul Gautier indossato da Madonna per il video di Nothing Really Matters del 1999. Le identità dei popoli della terra con le quali il genio di Alexander McQueen (interrotto dal suo suicidio nel 2010) trasforma Björk nella guerriera islandese/aliena di pace che «non deve combattere con le armi, ma con l’amore» sulla cover del suo album Homogenic.
Il design di icone della moda come Yohji Yamamoto, Yves Saint Laurent e Jean-Paul Gautier, dialoga con quello contemporaneo della nuova generazione di designer giapponesi di kimono, generati dall'affascinante storia di scambio fashion globale. Rumi Rock, Modern Antenna, kimono nouveau e Akira Times, incoraggiano ad adottare un approccio più flessibile e individuale allo styling dell’indumento che non si limita più solo a sfiorare il corpo e l’immaginazione, muovendosi più liberamente in strada. Cambia anche ritmo, con il glam metal, l’hard rock e il Punk, che hanno influenzato il modello realizzato dal marchio Yoshikimono, creato dalla batterista degli X Japan Yoshiki Hayashi.
Le suggestioni della settima arte passano i costumi da Oscar di Memorie di una Geisha e quelli maschili indossati da Sir Alec Guinness/Cavaliere Jedi Obi-Wan Kenob per la saga di Star Wars, esposto con il costume originale, accanto al costume indossato da Toshirō Mifune per Sanjuro, sequel di La sfida del samurai (1961), entrambi diretti da Akira Kurosawa. La sfilata di kimono iniziata per le strade di Kyoto nel 1600, si arricchisce del passaggio sulle passerelle del mondo intero. Si impreziosisce con i ricami della collezione della Madam Butterfly di John Galliano per la Haute Couture Spring-Summer 2007 di Dior. Influenza lo street style made in Japan modello Lolita, arrivato in strada negli anni ’90 con Hello Kitty e Alice nel paese delle meraviglie, il Gothic, la cultura britannica e il Punk di una regina di stile come Vivienne Westwood. Al momento anche il mio abbigliamento ideale per questi giorni di quarantena, perfetto per accarezzare il corpo con libertà di cui sente la mancanza, mentre l'anima amplia il suo spettro di riflessioni su relazioni e contaminazioni.