Il 2020 sarà ricordato per il suo aspetto dirompente (in negativo = Pandemia, in positivo = la nuova America di Biden) e gli ultimi mesi dell’anno, poi, ci hanno dato modo di riflettere e di adattarci a un mondo che stava già cambiando. Il nostro rapporto con le cose che ci circondano e soprattutto che ci distinguono dagli altri, come i viaggi, gli acquisti più importanti, le uscite in ristoranti e locali non è più lo stesso. La situazione attuale ci ha fatto realizzare che la socialità ha molta più importanza del classico “prepararsi per uscire” e sfoggiare gli ultimi acquisti o parlare delle nostre prossime destinazioni da weekend. Il bene di lusso, così come lo ricordiamo, un po’ yuppie, un po’ anni 80, è diventato, negli ultimi anni, scontato (letteralmente, se pensiamo agli outlet) e soprattutto onnipresente. Il consumo cospicuo è passato, il poco e meglio è tornato, in più forme di lusso. In passato si è visto come grandi crisi economiche e sociali abbiano creato movimenti culturali diametralmente opposti al momento storico: si pensi al Barocco come risposta alla peste, oppure, più recentemente, alla crisi economica dei primi anni 90 ed il conseguente successo globale dell’opulenza di Gianni Versace. Questa pandemia però non ha seguito neppure questo schema.

Motivo/i: alcuni aspetti del lusso di oggi non rispecchiano più le attitudini di una clientela che non ha più intenzione di comprare per il gusto di possedere e di apparire, ma vuole tornare ai valori centrali del lusso, più sincero e vicino al concetto dell’oggetto fatto e comprato per durare nel tempo. Troviamo una clientela globale, non necessariamente accomunata da fattori demografici o di reddito, che acquista meno frequentemente ma sceglie oggetti di alta qualità, come se si comprassero pezzi di antiquariato. Il dover restare chiusi a casa ci ha spinto verso due aspetti che stanno determinando nuovi comportamenti nel mondo del lusso: acquisti online e ricerche di abiti, gioielli e accessori usati. Ora, la parola “usato” non suona bene tanto quanto “vintage”. Magari si potrebbe cominciare ad adottare il termine “pre-owned” – ma comunque lo si voglia chiamare, bisogna pensare che solo in Europa, il 69% dei luxury shopper ha già comprato capi ed accessori di seconda mano ed il trend è destinato a crescere, secondo un recente sondaggio del Boston Consulting Group. Gli acquisti online, non solo di accessori e moda, ma anche di orologi e gioielli, stanno crescendo, smantellando il preconcetto che i beni di lusso, soprattutto di una certa importanza, appartengano solamente alle boutique monomarca.

Prendiamo a esempio la rinomata casa d’aste londinese Sotheby’s, che da anni non si occupa più solamente di mettere all’incanto dipinti che fatturano cifre esorbitanti, ma ha preso di petto il concetto di pre-owned di alta gamma, organizzando aste di Birkin, Rolex e Cartier, dal design più classico al più raro e stravagante, riflettendo l’ethos di portare ai suoi clienti oggetti che si rivaluteranno negli anni, esattamente come se si trattasse di opere d’arte. Non solo, recentemente Sotheby’s ha dedicato un’area del suo sito ai beni di lusso in modalità buy now, facendo competizione a piattaforme online come Vestiaire Collective, pionieri nel pre-owned. Sotheby’s non si ferma a reclamare una fetta del mercato luxury pre-owned ma è riuscita ad attrarre nuovi clienti con due aste che faranno la storia di questa istituzione centenaria. Tools of Memories, una collaborazione con Prada, un successo che ha visto la vendita di tutti i 72 lotti messi all’asta a beneficio dell’Unesco, con un ricavato totale di oltre 500.000 euro. Un catalogo di pezzi unici, creati per l’ultima sfilata della maison milanese prima dell’arrivo del co-creative director, Raf Simons; una clientela internazionale da 27 paesi, con una forte partecipazione di individui sotto i 40 anni. La moda reinterpretata come un pezzo d’arte, da collezione.

Cult Canvas, invece, è stata la prima asta di sneakers Nike, ultra-rare perché reinventate da vari artisti, come l’espressionista francese Bernard Buffet e Futura 2000. Prezzi finali esorbitanti per queste rarissime sneakers, fino a 65.000 dollari. E se queste cifre ci sembrano folli, non dobbiamo dimenticare che lo scorso giugno un paio di Air Jordan del 1985 sono state vendute per la cifra record di 560.000 euro. La cosa che sorprende di più non è solo la cifra esorbitante ma il fatto che negli ultimi venti minuti dell’asta, dieci acquirenti si siano contesi queste sneakers, con rialzi del valore complessivo di 300.000 dollari. Brahm Wachter, Direttore delle operazioni di e-commerce development da Sotheby’s, mi racconta che la pandemia non ha fatto altro che accelerare una strategia già consolidata, spingendo Sotheby’s ad esplorare nuovi territori ed essere avventurosi in queste esplorazioni virtuali. Wachter aggiunge “Credo che oggi come oggi sia fantastico pensare che Sotheby’s sia una nuova destinazione per una clientela del lusso globale che ha interesse nel collezionare di tutto, dal più ricercato quadro di Picasso a uno skateboard di Supreme, una Kelly di Hermès fino al paio più raro di Air Jordan. Per un numero in crescita di acquirenti, ovviamente esiste un numero simile di persone, più o meno abbienti, pronte a disfarsi del guardaroba, per diversi motivi. C’è chi ha deciso di finanziare un nuovo guardaroba, vendendo il vecchio; chi ha fatto la scelta di comprare solo pre-owned perché è una scelta più ecosostenibile e chi invece lo fa anche per risparmiare, in un momento storico particolare come quello attuale. Non rinunciamo al lusso, ma compriamo con lo spirito da collezionisti e investitori. Sarebbe quasi il caso di dire che ora si hanno tutti i soldi in-vestiti (scarpe, borse e orologi) ma oculatamente spesi con il pensiero di un eventuale ritorno sull’investimento?