Conviene ripeterlo: «La moda è la seconda industria manifatturiera del Paese, ha lo stesso valore che per la Germania è rappresentato dal settore automobilistico», afferma Claudio Marenzi, Presidente di Confindustria moda, che già dal 16 aprile ha firmato con le organizzazioni sindacali di categoria un protocollo che ha definito le modalità per la ripresa dell’attività produttiva. Gli fa eco Carlo Capasa, Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana: «Siamo i primi in Europa per la produzione del tessile abbigliamento e accessori, staccando di 30 punti la Germania e di 34 la Francia. È l’industria più strategica che abbiamo dopo il turismo».

È vero: il nostro è l’unico Paese al mondo (tranne la Cina, che però non ha gli stessi standard qualitativi), a poter contare su una filiera composta da piccole, medie e grandi imprese. I danni inferti dal Covid-19 potrebbero ammontare a 40 miliardi nel 2020 tra lo stop alla produzione e quello al drastico calo di export nei Paesi asiatici.

Così molti imprenditori e industriali hanno chiesto di aprire nuovamente le fabbriche, ovviamente in sicurezza. «Un comparto che vale 96 miliardi di fatturato all’anno, di cui 66,3 relativi all’esportazione e dà direttamente lavoro a 580mila lavoratori e, indirettamente, compresi per esempio i proprietari di showroom o chi lavora nelle boutique, a due milioni». Così afferma Gianfranco di Natale, direttore generale per gli Affari Istituzionali di Confindustria Moda e direttore generale di Sistema Moda Italia, tra le più grandi organizzazioni di rappresentanza degli industriali di moda. «Però questa crisi imposta dal Covid-19 ci ha insegnato molte cose. Nelle aziende, durante il lockdown, gli uffici stile hanno continuato a lavorare in smart working, molti marchi hanno venduto attraverso le boutique online o l’e-commerce di piattaforme multimarca, la filiera è stata reattiva, dinamica e flessibile: alcune fabbriche rimaste aperte si sono riconvertite in stabilimenti per la confezione di camici e mascherine. Il problema è che rischiamo di perdere completamente le collezioni del 2020, e in ballo ci sono gli ordini dell’autunno-inverno 2020/21, alcuni dei quali già cancellati. Prevediamo il ritorno a una sorta di “normalità” tra un anno. Continueremo a essere i numeri uno, ma non saremo più gli stessi: né chi produce moda, né chi la compra».

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Gianfranco di Natale, direttore generale per gli Affari Istituzionali di Confindustria Moda e direttore generale di Sistema Moda Italia
“Nulla sarà più come prima”

è un mantra così ripetuto da diventare quasi un modo di dire. Ha fatto molto parlare la lettera aperta di Giorgio Armani a WWD, autorevole quotidiano di moda americano. Ha scritto: «Un rallentamento attento e intelligente è la sola via d’uscita. Una strada che finalmente riporterà valore al nostro lavoro e che ne farà percepire l’importanza e il valore veri al pubblico finale. Il lusso richiede tempo, per essere realizzato e per essere apprezzato». Brunello Cucinelli, sull’account Instagram del suo marchio, scrive: «Il sorgere di un tempo nuovo è già iniziato dalle ombre di una notte dolorosa. So che ci sarà una nuova crescita economica, so che l’entusiasmo prenderà i nostri cuori. Ma alla fine saremo diversi; anche noi, come il tempo, saremo in qualche maniera nuovi». Diego Della Valle ha dichiarato che «le aziende devono ripensare ai modelli di business immaginando come sarà il mondo nel primo anno post epidemia e poi in quelli successivi. Bisognerà capire quale sarà lo stile di vita che le persone adotteranno e, di conseguenza, come approcceranno i servizi e i prodotti. Ma è comunque sicuro che gli imprenditori dovranno sviluppare una maggiore sensibilità verso i temi della solidarietà e che, oltre a pensare, come è corretto che sia, alla competitività delle proprie aziende, dovranno dedicare parte del loro tempo e dei loro utili a migliorare la qualità della vita delle persone. Il virus produrrà sicuramente un forte cambiamento sociale».

Un cambiamento che, come protagonisti, vedrà acquirenti attenti alla sostenibilità e al valore intrinseco delle cose. È vero che in Cina, a poche ore dopo l’uscita dal lockdown c’è stato un incremento del revenge spending, la “spesa per vendicarsi” dalla reclusione. Ma l’azienda di consulenza cino-americana Ruder Finn, ha condotto un’indagine su un campione di 800 famiglie di Shanghai. Hanno assicurato che, per ora, preferiranno spendere in viaggi, ristoranti e, per ultimi, accessori e moda d’alto livello: da un lato il piacere immediato, dall’altro l’acquisto come investimento, insomma.

“La verità è che la normalità a cui molti vogliono tornare, molto semplicemente, non era “normale”

Immaginazione e industria, artigianato e tecnologia, savoir-faire e innovazione: così la pensa Giacomo Santucci, neopresidente di Camera Buyer Italia, l’associazione di categoria italiana nata con lo scopo di raggruppare e tutelare i più importanti store multibrand italiani del lusso. Il manager conta in curriculum diverse esperienze professionali nella moda di rango e ha ricoperto incarichi di rilievo da Salvatore Ferragamo, Dolce & Gabbana, Gucci, Prada, Malo. «Diciamoci la verità: il Covid-19 non ha fatto altro che diventare un acceleratore di un sistema della moda che già prima del virus, non stava particolarmente bene. Gli ha dato una scossa», considera Santucci. L’esperienza dello shopping, per lui, conoscerà nuove strade, da un lato seguirà la metamorfosi del desiderio dei consumatori, dall’altro dovrà cercare una struttura organizzativa flessibile, veloce, dinamica. «È uno shock economico paragonabile a quello successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Però, diciamolo: i leader del lusso non erano particolarmente ottimisti sul 2020 già prima del lockdown, perché c’è bisogno di una nuova mentalità che si traduca in un inedito modus operandi fatto di strategie reattive a medio e a lungo termine. Finora si è lavorato sull’ “adesso”, ora è il momento di inquadrare i consumi in un panorama differente, dove tutto sia future proof, “a prova di futuro”. La verità è che la normalità a cui molti vogliono tornare, molto semplicemente, non era “normale”. Dobbiamo riconfigurare e cercare di intuire una nuova formula per i beni non di prima necessità, o meglio “discrezionali”, come quelli del lusso. Anche perché non è escluso un secondo lockdown e non possiamo farci trovare impreparati».

Quali sono le nuove ambizioni? «Ripristinare una catena valoriale che comprenda le nuove esigenze degli acquirenti, che stanno sviluppando un’antipatia per la merce che produce spreco, eccesso, dispersione, in favore di una moda sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Questo determinerà un doppio comportamento: la ricerca, nello stesso periodo, di capi “di stagione” con altri “senza tempo” che però garantiscano durata e qualità: ciò porterà alla ricomparsa del pezzo unico, dell’acquisto come investimento, di una moda realizzata on demand. Perché il modello di business richiederà una produzione basata sul fabbisogno, più che su una quantità massimalista di proposte. E questo porterà a tante mini-linee che, da un lato, mantengano intatta la magia necessaria alla moda di lusso, dall’alto creerà un “effetto sorpresa” che invoglierà le persone a incuriosirsi di nuovo. Collaborazioni, incroci tra abiti e cultura, intrecci tra etica ed estetica: «La moda dovrà fare suo il motto Expect the Unexcpeted, comunicato attraverso le vie del digitale che non sarà più contrapposto al luogo fisico, ma ne sarà alleato. Così permetterà di alleggerire i negozi dall’invenduto nei magazzini e permetterà di poter fare ordini su specifici pezzi invece di intere collezioni».

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Giacomo Santucci Presidente di Camera Buyer Italia

Aumento dell’e-commerce, segmentazione produttiva, comunicazione innovativa, digitalizzazione effervescente: cosa ne sarà di boutique e negozi? «Inizierà l’era del social selling, ovvero: continueranno a esserci, ma cambieranno anche loro. E creeranno community fondate su passioni condivise, ma si trasformeranno in palcoscenici dove poter fare esperienze di entertaining: ci potranno essere mostre, eventi, concerti diffusi anche app, newsletter, post su Instagram. La creatività non verrà mai a mancare, anzi: dopo questo periodo di riflessione forzata, si dovrà dare il via libera all’engagement dei consumatori con soluzioni finora mai viste. Darà una nuova spinta, soprattutto alle nuove generazioni, all’insegna di un’integrazione tra design, merchandising e business. E ci sarà una rincorsa ai nuovi talenti non solo nel campo del fashion design, ma anche in quello della comunicazione. Perché, oggi, comunque, il mercato della moda futura è in mano ai più giovani, che vogliono una catena produttiva, ma soprattutto quella che chiamo catena dei valori». Finalmente.