Se vi dovesse capitare di entrare in un museo e incrociare un quadro dominato da un’asola gigante oppure da un colletto di camicia; da un tacco a spillo ripreso da dietro o dal bavero di un abito da donna in primissimo piano, quasi certamente sarete davanti all’opera di uno degli artisti italiani più raffinati del dopoguerra: Domenico Gnoli. Un vero gigante della creatività moderna, morto esattamente mezzo secolo fa a 37 anni – età che sta all’arte come i 27 anni stanno al rock – come Raffaello e Van Gogh, Raffaello e il Parmigianino. Gnoli, in quel pugno di primavere in cui ha vissuto, è riuscito lì dove molti suoi colleghi hanno fallito: ha trovato l’astrazione nella vita di tutti i giorni, semplicemente ingrandendo ed esplorando nel dettaglio le forme e gli oggetti più banali del mondo. Come una bretella, un bottone o un’acconciatura.

portrait of italian artist and stage designer domenico gnoli 1933   1970, december 1969 the photo was taken during a shoot for vogue magazine photo by jack robinsongetty imagespinterest
Jack Robinson//Getty Images

Romano innamorato dell’Umbria (aveva lo studio a Spoleto), padre poeta e madre ceramista d’origine francese, il suo destino non poteva che essere nell’arte. «Sono nato sapendo che sarei stato pittore, perché mio padre, mi ha sempre presentato la pittura come l'unica cosa accettabile», disse un giorno. Ma prima di sbarcare nel mondo delle gallerie e dei musei (aveva studiato disegno e scenografia), ha fatto l’attore. Qualche ruolo a teatro e soprattutto al cinema, dove ha interpretato un ufficiale francese nel film La Fiammata di Blasetti (1952), accanto a stelle come Eleonora Rossi Drago e Amedeo Nazzari. Poi nulla più.

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La copertina di un catalogo di Domenico Gnoli edito nel 90 da Fundacion Caja de Pensiones

Indole solitaria e silenziosa, un po’ come silenziosi sembrano essere i suoi lavori, nel 1953 va a Parigi, frequenta artisti "décadents" come Ernest Fuchs e Friedensreich Hundertwasser e inizia a fare lo scenografo. Jean-Louis Barrault gli affida scene e costumi di La belle au bois dormant di Jules Supervielle, ma lo spettacolo non si farà mai. Inizia a viaggiare. Prima Londra, poi Zurigo, fino a New York dove vive per qualche tempo. Fa l’illustratore per Life, Fortune, Horizon, Sports Illustrated, Show Magazine, Glamour e Playboy. Per il magazine di viaggi Holiday gira il mondo, facendo il disegnatore-reporter.

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Photo: Andy Romer. Courtesy of Luxembourg & Dayan, New York and London.
Installation views of Domenico Gnoli: Detail of a Detail, May–July 2018, Luxembourg & Dayan, New York.

Sposa la modella Luisa Gilardenghi che lo introduce ai party superesclusivi della New York che conta. Conosce stilisti, designer, artisti e soprattutto Cecil Beaton, l’uomo che gli cambia il modo di “inquadrare” la vita. Dopo la separazione dalla moglie Luisa si trasferisce a Parigi, dove continua a disegnare e illustrare. Incontra la pittrice franco coreana Yannick Vu, se ne innamora e la sposa. I due si trasferiscono a Maiorca, dove prendono il caffè con Balanchine ed escono a cena con Ernst Fuchs.

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Il catalogo di Gnoli pubblicato da Silvana editoriale

La svolta definitiva arriva nel 1964 quando Gnoli si inamora dei dettagli degli oggetti. All’improvviso l’infinitamente piccolo, il particolare trascurabile si piglia tutta la scena. Mai prima di allora era stato così. L’artista romano ha uno stile unico, riconoscibile fra tutti. Fa tesoro dei suoi studi di disegno e mischia la pop art, mai tanto amata, al Rinascimento, punto di partenza di ogni sua tela. Mischia l’acrilico con la sabbia, materia asettica che non permette di scorgere i passaggi del pennello.

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Photo: Andy Romer. Courtesy of Luxembourg & Dayan, New York and London.
Installation views of Domenico Gnoli: Detail of a Detail, May–July 2018, Luxembourg & Dayan, New York

La mostra personale alla Galerie André Schoeller nel novembre del ’64 è un trionfo. I dodici quadri esposti raffigurano trame di tessuto, cravatte, tasche e scarpe. E’ l’elogio della normalità. Trasforma in arte oggetti quotidiani. E lo fa con una tenerezza quasi commovente. Per certi versi realizza in pittura ciò che Luigi Ghirri fa nella fotografia. E le figure umane? Sono figure assenti o semplicemente distratte. “La vita - dice Gnoli - va considerata come un gran guardaroba. L’oggetto quotidiano, ingrandito per l’attenzione che gli si è prestata, è più importante, più bello e più tremendo di ogni invenzione e fantasia che abbia potuto crearlo”.

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Il catalogo di Electa dedicato al pittore romano

Il successo non frena la sua voglia di conoscere il mondo. Con Mario Schifano visita il nord della Tunisia. Espone un po’ ovunque. A Napoli, Roma (dove conosce Balthus, all'epoca direttore di Villa Medici), Bologna, Bruxelles e Kassel. Ma la parabola di Gnoli sta già per concludersi. Quella alla Galerie Schmela di Düsseldorf all'inizio del 1970 sarà l’ultima mostra. Scopre di essere malato di cancro. Inviato per illustrare un viaggio alle Antille per l’Holiday Magazine, si ferma qualche giorno alle Grenadine Islands. A fine gennaio, ormai segnato nel fisico, rientra a New York. Viene ricoverato al Columbia Presbyterian Medical Center, dove muore il 17 aprile.

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Jack Robinson//Getty Images

Ma la morte non ne frena il successo, anzi se possibile lo acuisce. Fino al 2014, quando durante un’asta da Christie’s il suo dipinto Black Hair del 1969 viene battuto oltre 11 milioni di dollari. Una cifra da capogiro, degna dei più grandi del Novecento. Eppure di Gnoli non si parla quasi mai. Le sue opere in giro sono pochissime (nel 2021 la Fondazione Prada gli dedicherà una mostra). Ma il silenzio che avvolge la sua arte seppur ingiustificato, nasconde una certa delicatezza. Quasi si volesse proteggerlo dalla confusione volgare dei tempi in cui viviamo. Probabilmente non è così, ma noi vogliamo continuare a crederlo. Ringraziando il destino ogni volta che ci ritroviamo davanti a una sua opera.