Minuta ma così attiva nei gesti, insicura quel giusto che la rendeva simpatica soprattutto quando pensavi che ci fosse lei al timone dell’universo donna Hermès, Balì (all’anagrafe Marie-Amelie) Barret è stata per 17 anni l’ultima innovatrice della maison nata nel 1837.
L’avevo incontrata nel suo studio, piccolo e incasinato, più che di affetti familiari, di lavoro e progetti futuri. La sua stanza era molto vicina a quello del principale direttore artistico Pierre-Alexis Dumas che prima dell’intervista era venuto a salutarla. Le brillavano gli occhi quando parlava della seta, mondo che lei aveva a cuore insieme all’universo femminile di Hermès (gioielli, calzature, abbigliamento e altri accessori). «I foulard, ai tempi li chiamavo anche io foulard e non carré, non mi piacevano molto. Li iniziai a usare per affetto. La mamma di un mio compagno me ne fece dono e io li reinterpretavo. Come cintura, borsa fatta con due nodi o come top. Erano così elaborati che dovevo smitizzarli». Il suo stile era stato notato da molti già alle ESMOD di Parigi e ancor più quando lavorava da Zadig&Voltaire. Il trionfo avvenne con l’apertura del suo negozio in rue Mont Thabor, minimalissimo, snob ma inventivo come pochi. E fu così che le Tout Paris era ai suoi piedi (come il Giappone visto che aveva fino al 2008 quattro boutique). Spesso vestita da tomboy e raramente con accessori Hermès di valore («li lascio alle nostre clienti»), Balì aveva una sua attitudine puritana e low-profile nella vita, molto più intraprendente e sorprendente sul lavoro.

instagramView full post on Instagram



«Quando scelgo i carré, non penso alla modernità, penso all’artista che deve vivere il presente pur avendo un suo mondo di sogni, favole e idee». Grazie a lei sono fioriti talenti internazionali come la giocosa Alice Shirley, la precisa Françoise de La Perrière, il prodigioso Hugo Grygkar, l’infantile Nigel Peake e il sorprendente Dimitri Rybaltchenko. Senza differenziazioni, guardava tutti i disegni che arrivavano da studenti, street artist e anziani pittori. Che lei spesso rendeva moderni con qualche variazione di colore. Quelli in vendita erano, più che quadrati di seta, oggetti del desiderio per i collezionisti e non solo. Tanto che da Vestiaire Collective, Ebay e Rebelle quando appaiono i carré più moderni, di cui lei ha curato la genesi, questi scompaiono a breve. Certo, con così tanta creatività, immaginare oggetti che diventassero di moda per tutti non è mai stato una conseguenza automatica ma le intuizioni che lei ha avuto hanno entusiasmato chiunque. Dopo le bandane, i fazzoletti per la testa in seta impermeabile, i carré di artisti, quelli in collaborazione con stilisti come Rei Kawakubo di Comme des Garçons, Balì ha fatto brevettare anche la stampa fronte retro, ultima sua novità del 2020, come i "nano carré" (che molti hanno trasformato in mascherine) o i cuori in seta da tenere nel taschino della giacca.

«Hermès è una maison di artigiani, le innovazioni devono essere sempre frutto dell’uomo, non delle macchine o della tecnologia» mi aveva detto. E così non ha esitato a spingersi in Giappone per recuperare una particolare seta artigianale marmorizzata, a volare in Nepal per far tessere sciarpe in mussola di seta sfumate a telaio o in India per far ricamare perle di vetro su un maxi carré. «Le mani possono fare tutto, le macchine ripetono. Ha mai visto le stampe digitali? Sono piatte. Nella nostra stamperia di Lione ogni colore viene steso singolarmente e il risultato è incredibile». Anche i sur teint ovvero ritinti dopo averli portati per anni, lei li voleva irregolari e tinti nelle lavatrici di casa. «Ognuno può farlo, basta un po’ di sale, polveri e pigmenti».

Sul perché abbia lasciato questa prestigiosa posizione ci sono molte ipotesi visto che dalla maison trapelano solo parole di diplomazia. La spiegazione più razionale sembra sia quella che incolpa il Covid di aver reso i creativi, come lei, più malinconici, ma anche più predisposti a vivere il futuro senza gli obblighi del lavoro, i viaggi o le pressioni di un gruppo come quello di Hermès che, seppure in calo nel primo quarto del 2020, ha un giro d’affari di 1.506 mllioni di euro e in cui la seta occupa il 9% degli affari. Ora ci si aspetta di rivederla a ottobre, per un suo ultimo saluto, a Parigi ma prima o dopo si spera che passi da Roma. La settimana prossima in via Condotti 67 sarà aperto un pop up che fino alla primavera 2021 ospiterà soltanto le collezioni seta, le ultime curate da lei.