«Ne verremo fuori come dopo una guerra, quando i palazzi sono ancora in piedi, ma tutto il resto è distrutto. E in una situazione simile vogliamo due cose: sentirci al sicuro. E ballare». Parole di Li Edelkoort, la più autorevole preveggenti in fatto di moda e modi di vivere, che continua: «Cercheremo qualcosa di nuovo, che rinfreschi le nostre personalità. Abiti eccentrici, abiti romantici, abiti ben fatti, abiti raffinati, abiti durevoli».

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Filippo Fior//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Un abito da sera con grande cappello e bijou-scultura, Givenchy.
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Salvatore Dragone//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Tuxedo da sera "maschile" per Etro.

È strano: nei mesi scorsi abbiamo filosofeggiato su tutto, “morte della moda” compresa, senza però fermarci a riflettere su quanto la mancanza della cura di sé arrivasse a una sciatteria che ha virato verso il vezzo, l’autocompiacimento. Pensavamo di liberarci dal superfluo quando eravamo a rischio perdita di quell’espressione di sé che è il vestirsi. Ora si tratta di rivalutare il piacere di farlo e ritrovare il senso dell’eleganza dopo quell’esperienza in cui è stata demansionata a pratica demenziale esercitata da chi si metteva in ghingheri per buttare la spazzatura, a rituale fuori luogo, a superficialità inutile e quindi sacrificabile. Un turbine di pigiamoni, tute, felpe: all’inizio indossati pure con un certo sollievo, quasi con divertimento, libere da makeup e gioielli. Poi diventati sinonimo di tetraggine e trascuratezza.

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Carlo Scarpato//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Un tailleur sartoriale con grandi volant che corrono dalle spalle alle maniche, disegnato da Sarah Burton per Alexander McQueen.
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Daniele Oberrauch//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Monocolore il completo casacca e pantaloni con boa di piume, N° 21 disegnato da Alessandro Dell’Acqua.

L’abbigliamento sportivo o “da casa”, informale ma pure informe, è per natura destinato a livellare, omologare, annoiare nella sua presunta democrazia. Mentre invece, a pensarci bene, è tutto tranne che democratico: vedi Mark Zuckerberg in felpe e flip-flop esibite come trofeo di chi non ha bisogno di avere un marchio addosso, perché è lui a essere il brand di se stesso. Perlomeno Steve Jobs, che pure l’aveva anticipato nella ricerca di una divisa, le sue t-shirt a maniche lunghe tutte uguali, tutte blu, le comprava da Issey Miyake. E così i Millennial hanno comprato giacche col cappuccio, pantaloni da palestra e sneakers “brutte” a prezzi impossibili per i comuni mortali, ma inalberati come vessillo di ribellione al culto dell’abito buono officiato dai loro genitori. I quali, al contrario, sapevano che sono proprio i vestiti a misurare il mondo e a definire il sentiero tra tempo pubblico e tempo privato. Un sentiero poi confuso in una nebulosa indistinzione dove, volendo, potevamo passare senza soluzione di continuità dal letto al computer, per finire spiaggiati sul divano.

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Carlo Scarpato//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Blazer con grandi revers di Balmain, disegnata da Olivier Rousteing.
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Salvatore Dragone//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Abito-tunica da sera di Jil Sander, disegnata da Luke e Lucie Meier.


È in crisi il fast-fashion a proposito della sua insostenibilità ambientale, mentre a indicare la strada c’è la ricerca della bellezza, non museificata nella categoria del “classico”, ma sostanziosa, innovativa, emozionante. La vogliamo balsamica, stimolante e portatrice di qualità oggettive (durata, qualità, fattura) ma anche immateriali (intelligenza, attualità, sogno): un investimento nella creatività che vada oltre i pantaloni con l’elastico. Ne è convinta Vanessa Friedman, puntuta firma del New York Times, che ha scritto un lungo articolo dal titolo This Is Not the End of Fashion, a sottolineare che la vera domanda di questi strani tempi è stata: come vorremo identificarci dopo l’emergenza? «Non abbiamo bisogno di un’altra t-shirt. Abbiamo bisogna di capi e accessori portatori di un’idea, di una cultura», le ha risposto Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino (in apertura, il finale della sfilata). Ovvero: oggetti che raccontino delle mani che li hanno toccati, della mente che li ha ideati, della nobiltà della materia che dà loro forma.

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Il grande cappotto disegnato da Pierpaolo Piccioli per Valentino, dalle proporzioni generose e dai tagli perfetti, come gli accessori.
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Daniele Oberrauch//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Tailleur con trompe l’oeil di giacche sovrapposte di Agnona, disegnata da Simon Holloway.

A lui ha fatto eco, in una conferenza stampa in remoto, Alessandro Michele, direttore artistico di Gucci: «Vorremo tutti cose belle, da toccare e da vedere, su cui riflettere prima di farle nostre per capirne meglio il valore e, dunque, il costo». E in seguito ha dichiarato la sua volontà di «comprare meno ma meglio» e di ridurre l’immane produzione pre-lockdown che andava avanti più per inerzia che per reali esigenze. Le sue intenzioni? Sfilare due volte all’anno, far permanere più a lungo i capi in boutique dove trovare abiti stagionali, cioè cappotti a novembre e bikini a giugno: un'abitudine perduta a causa dell’incalzare di collezioni cruise e pre-fall che facevano apparire in vetrina cappotti a luglio e bikini a gennaio. Sia chiaro: questa sensibilità allo spirito sartoriale non coincide con la noia della tradizione, di cui casomai si rinnova lo spirito ma non si venerano le ceneri. Per esempio, riabilitare la frivolezza non significa spendere frivolmente, ma impiegare le proprie finanze spinti dalla consapevolezza che coltivare la propria immagine non è essere autoindulgenti, ma dimostrare rispetto prima a se stessi che agli altri, per riprendersi quella benefica sensazione di sentirsi “a posto”: non al fine di rimorchiare, ma per piacersi di più.

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Paolo Lanzi //LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Blazer cammello e gonna in vinile: la proposta di raffinatezza "hot" tra borghesia e trasgressione. Di Anthony Vaccarello per Saint Laurent.

Per questo ritornano a fare capolino gli aggettivi sensuale (Anthony Vaccarello per Saint Laurent), borghese (Hedi Slimane per Celine alle prese con la rivisitazione della madame francese anni Settanta, tutta vizi privati e pubbliche virtù), misteriosa (Dries Van Noten). Creazioni che superano i polverosi discorsi sulla seduzione - anche se la moda serve pure a questo - e oltrepassano concetti anacronistici di “femminilità” o “virilità”.

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Paolo Lanzi//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Cappa da madame ultraborghese: un’uscita della sfilata Celine disegnata da Hedi Slimane.
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Dalla cloche alla pochette, tutto nelle stesse sfumature di azzurro e nero per la sera sofisticata di Dries Van Noten.

Del resto, la profetessa Miuccia ci aveva già avvertito in tempi non (ancora) sospetti: per la sfilata di questo autunno-inverno ha parlato dell’assenza di conflitto tra il “vestirsi bene” e l’occupare una posizione di rilievo. «Delicatezza e potere non sono in antitesi. Possiamo essere femminili e forti allo stesso tempo, perché siamo noi donne a caricarci il peso del mondo». E per il défilé digitale Resort 2021, ha dichiarato di voler «mettere al centro gli indumenti e dare importanza ai capi. Questo è un momento per pensare e riflettere», alludendo al periodo post-pandemia che richiederà un rapporto più meditato col vestire.

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Blazer d’atelier su una mobilissima e sensuale gonna tutta a frange, Prada.
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Grande cappotto di Loewe, disegnato da JW Anderson.

In questo è allineata ad Alessandro Michele per Gucci che, nel presentare le collezioni maschili e femminili della primavera-estate 2021, si augura che quello che compreremo sia la conseguenza di scelte più consapevoli, più attente al valore intrinseco di ogni capo o accessorio, per comprenderne anche quello economico. Una festa del ben fatto, con capi quasi d’atelier che durino e possano essere interpretati anno dopo anno. Silvia Venturini Fendi, per il défilé presentato con lo slogan From the Boudoir to the Boardroom (“Dal boudoir al consiglio d’amministrazione”), ironizza sui cliché connessi all’essere donna per poi dimostrare, dopo una teoria di cappotti architettonici e di abiti dalle silhouette donanti a ogni taglia, che voler offrire una versione migliore di sé aiuta la mente, rischiara l’animo. E risolleva lo spirito.

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Maniche ottocentesche per l’abito da sera di pizzo e velluto neri, Fendi. Disegnato da Silvia Venturini Fendi.

Uscite dal buio, possiamo scegliere con chi e come vogliamo presentarci al mondo. In nome di una «bellezza utopica», come l’ha definita J.W. Anderson, creatore giovane che per Loewe, di cui è direttore creativo, ha disegnato una delle collezioni più sofisticate di tutta la sua carriera. Alla faccia delle serie distopiche che, al confronto della realtà, oggi ci fanno sbadigliare.