Se le chiedi di definirsi in tre parole Veronica Etro risponde: «Positiva, leggera, perfezionista». Poi si corregge: «Non tanto leggera». Purtroppo uno schermo ci divide, ma per un’ora ho di fronte il suo sorriso e la sua naturalezza e decidiamo di darci del tu. Una normalità sorprendente nel mondo della moda. Lei appartiene a una famiglia del Made in Italy che conta, da oltre 50 anni Etro è apprezzato per spirito inconfondibile e tessuti di qualità. Racconta anche di essere Ariete, una che per certe cose non molla. A partire dal suo impegno costante - dal settembre del 1997 - nel creare le collezioni donna di Etro, che dal 2000 disegna da sola. O dalla sua iperattività durante il lockdown quando si è messa a ribaltare casa. «Anche se è stato un periodo tosto con i figli, con la scuola, questo tempo a casa è stato molto prezioso».

Sei l’unica femmina in una famiglia di maschi di carattere!
E mi sono ricreata una famiglia di maschi! Ho due figli di 11 e 15 anni. Ho molta differenza di età con i miei fratelli. A un certo punto ho pensato di avere quattro padri, erano molto severi con me, anche se c’è sempre stata unità, molto rispetto. Poi io sono andata a vivere a Londra, sono cresciuta quasi come figlia unica. Ormai sono abituata a vivere e a lavorare con uomini. D’altronde sono un po’ maschiaccio.

Quindi è vero che sei la cocca di papà Gimmo?
Sul lavoro lui non usa i guanti con nessuno, tantomeno con noi. Poi tra padre e figlia c’è sempre un bel rapporto.

E ora lavori a stretto contatto con tuo fratello Kean, che disegna la collezione uomo. A luglio abbiamo fatto la seconda sfilata insieme. Ci confrontiamo e c’è molto scambio, anche se in passato non sempre le collezioni hanno dialogato. Ora collaboriamo molto, stiamo unificando gli uffici stile uomo e donna. Anche perché vendiamo negli stessi negozi.

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David Bailey. Courtesy Etro.
Un ritratto di famiglia firmato da David Bailey: Veronica Etro e, da sinistra, i fratelli Ippolito, Kean e Jacopo.

Quando hai deciso che avresti lavorato nell’azienda di famiglia?
È capitato naturalmente. Mi è sempre piaciuto il lavoro creativo, adoravo la fotografia. Dopo la scuola tedesca, che è sinonimo di disciplina, ho scelto Londra, dov’ero stata con mia madre, che faceva l’antiquaria. La mia prima scelta è stata la Central Saint Martins perché era una scuola d’arte prima che di moda. Al ritorno, ho affiancato Kean per due anni. Ma già da piccola papà il sabato mi portava in azienda. La colla, le forbici, i tessuti, i tavoloni alti con i pennelli e i colori: era un parco giochi, l’ho sempre vissuto come divertimento. C’è un lato ludico anche oggi.

Che cosa hai aggiunto allo stile Etro? Non mi piace ripetermi, amo sperimentare, ma cerco di stare all’interno del nostro Dna. Agli inizi Etro era molto più tradizionale, con un côté più maschile, classico. Infatti papà era partito dall’uomo, quindi aveva iniziato con le cravatte, con gli accessori tessili, le pochette, un gusto inglese. Io ho aggiunto una nota più frivola, femminile, colorata e bohémienne.

Dove trovi le tue ispirazioni?
In un sogno, nella natura, in un film… L’ispirazione della prossima sfilata, nata durante il lockdown, è arrivata dalla musica. Avevo aggiustato un vecchio giradischi e ho ascoltato tantissimi vinili dei miei genitori, dei miei nonni, di mio marito. Da lì sono partita.

Tre donne di stile: chi ti viene in mente?
Iris Apfel, per eccentricità ed eclettismo. Vestire con stampe e colore, significa uscire dal gruppo. Jane Birkin, per il suo lato sexy. Grace Kelly, per l’eleganza.

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Courtesy Etro
Veronica Etro, nel backstage della sfilata autunno-inverno 2020/2021, tra (da sinistra) la modella Joan Smalls, l’attrice trangender MJ Rodriguez, protagonista della serie Pose e la modella e attivista Lea T.

La moda può essere sostenibile?
Ci si può lavorare. Oggi ci sono materiali che puntano al recupero. Abbiamo fatto dei piumini ricavati dalle bottiglie di plastica e tessuti derivati dalla canapa. Ma non puoi costruire una collezione solo con questi materiali, hanno costi elevati e sono molto di nicchia. Quello su cui stiamo lavorando è evitare lo spreco. Anche per questo abbiamo unito le linee uomo e donna, e proposto meno pezzi. Creando le ultime collezioni mi sono chiesta: in questo periodo cosa serve? Quasi come un chirurgo, mi sono concentrata sull’essenziale. Poi stiamo lavorando sui tessuti in casa, gli stock, un certo tipo di upcycling - che poi è molto nostro - realizzando dei capi patchwork.

C’è un dibattito in corso su come la moda dovrebbe cambiare. Qual è il tuo pensiero? Nei confronti dei beni di lusso c’è una consapevolezza diversa. Dai valore a quello che reputi abbia senso, il resto è superfluo. Il Made in Italy però è importante. Sento la responsabilità verso il settore, i piccoli artigiani: la moda non è superflua, per l’Italia è fondamentale. Bisogna fare squadra.

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Courtesy Etro
La modella Halima Aden è l’interprete della campagna Pegasus Club che comprende una mini-collezione di trench, la Pegaso bag e le scarpe create da Gianvito Rossi per Etro: «Una visione più sexy di quello che siamo normalmente, pur rimanendo nei nostri codici», spiega la stilista Veronica Etro.

Il sistema moda ha puntato a lungo su acquisizioni, sui grandi poli del lusso. Qual è la vostra forza?
La struttura leggera e la flessibilità nel prendere le decisioni. Oggi più che mai si decide alla giornata. Sfileremo, non sfileremo? Dipende da quello che succederà. Ma in famiglia si decide subito. Poi certo, magari per noi è difficile avere accesso a un grande magazzino internazionale...

Etro è viaggio e cosmopolitismo. Ora c’è chi contesta l’appropriazione culturale del paisley o di un abito che richiama l’India. Come rispondi?
È un discorso delicato. Chi ci conosce capisce che dietro c’è cultura. E poi non prendiamo mai le cose come sono. C’è un lavoro, uno studio, un disegno. Abbiamo un artigiano che dipinge a mano i nostri paisley. Poi, sai, il discorso è relativo. Erano persiani? Erano indiani? Anche lì c’è stata una storia di contaminazione. Io mi sento cittadina del mondo e noi siamo il frutto di tante contaminazioni. In questo momento, però, c’è molta rabbia, voglia di dividere. Il nostro multiculturalismo, invece, nasce da un desiderio di unità.

Per questo state comunicando di più?
Per farci conoscere meglio. Per anni abbiamo prodotto tantissimo, collezioni e cose belle che però non vedeva nessuno. Abbiamo iniziato con la mostra dei 50 anni, nel 2018. Da lì, come ha fatto Milano dopo l’Expo, abbiamo avuto uno slancio. E teniamo conto che tutto vive su uno smartphone e che le nuove generazioni vedono l’oggi, ma non hanno la memoria storica.

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Courtesy Etro
Veronica Etro durante un viaggio in India.

Le nuove generazioni hanno anche una sensibilità diversa rispetto allo stile?
Quando disegno, non ho in mente una donna in particolare, ma tipi e generazioni diverse, perché poi nella realtà vestiamo la figlia 18enne, la madre o la nonna. Mi piace essere trasversale. Lo stile nasce da come metti insieme i capi e gli accessori. Un gioco, senza essere vittime della moda.

Nel tuo lavoro come sostieni le donne?
Favorendo la libertà di espressione. Nelle sfilate mi sono ritrovata con modelle con cui avevamo lavorato vent’anni prima. Una incinta, l’altra già mamma, è stato bello. Abbiamo creato al momento il look con loro, hanno scelto quello con cui si sentivano bene. Ma la moda non deve rimanere solo in passerella. Sono felice di vedere come la gente la interpreta.

Con la nuova campagna avete anche sostenuto il Wwf. Com’è nato il progetto?
Mentre eravamo chiusi in casa, ci siamo sorpresi nel vedere le città deserte popolate dalla natura e da animali. L’orso che si avvicinava, le anatre che entravano in un supermercato. Non siamo i padroni di questo pianeta, non ci siamo solo noi, c’è una convivenza. Da lì è nata l’idea di includere gli animali nella nostra campagna. E poi fare una donazione al Wwf.

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Dario Catellani. Courtesy Etro.
Il capofamiglia Gimmo Etro, papà di Veronica, nella nuova campagna ubblicitaria We Are All One, ealizzata da Dario Catellani. L’azienda ha anche deciso di fare una donazione al Wwf.

Nelle foto non ci sei: che animale avresti scelto? Il lupo. Uno dei miei figli si chiama Lupo di secondo nome. Mi piace come animale, è stato per anni - grazie a Cappuccetto Rosso - il “cattivo”, ma è anche fedeltà e accudimento, vedi la lupa di Romolo e Remo.

Siete stati i primi a ritornare a sfilare a Milano. La virtualità ha fallito o è una possibilità?
Sono modalità diverse. Un film magari dà spazio alla poesia, alla narrativa, ma richiede anche altri budget. Il nostro era un messaggio per la città di Milano. Vedere gli hotel chiusi, vuoti... Il Four Seasons aveva aperto da una settimana. Volevamo fare squadra con la città, riportare vita in queste strade. Per me è stato emozionante perché non la consideravo una sfilata. Era un happening, un modo di ritrovarsi. E mostrare una collezione con il distanziamento necessario. Nel virtuale manca l’emozione. Quando sono uscita, quella musica, quel silenzio che di solito nelle sfilate non c’è, quella pace… Sfilata ridotta e streaming, è più completo.

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Courtesy Etro
Un altro maschio in casa Etro: ecco una sorridente Veronica con il suo cane Milo.

Sei sempre stata una ragazza sorridente?
Ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno. Secondo me, nella vita o vivi così o ci sono sempre dei problemi, cerco di essere costruttiva. Ho l’abilità di farmi scivolare le cose addosso, è una tecnica di sopravvivenza.