Questa intervista avvenuta via Teams dovrebbe iniziare dalla sezione Archive Sale di Modes.com/it. Perché è tra uno chemisier azzurro di Lemaire e una longuette figlia del 68 parigino di Chloé che troviamo il punto di vista di Aldo Gotti, General Manager di Modes un luogo di esperienza a Milano, di scouting, non un concept store classico. Partiamo da una sezione di prodotti scontati perché in quei capi di diverse stagioni passate c’è tutta la potenza del presente. Comprare con testa, scoprire con criterio, viaggiare stando fermi (che siano luoghi o epoche, che importa?). In questo 2020 segnato dalle nuove curve pandemiche abbiamo scelto di trattare con Aldo il tema della presenza fisica e della fiducia digitale per un settore, la moda e la vendita dell’abbigliamento, pesantemente segnati dai limiti imposti per salvaguardare la salute del Paese. Raccontiamo un pezzo di questa Italia, in Piazza Risorgimento, in quella cinta milanese dove si incontra resistenza e cambiamento, ovvero dove Modes Milano ha scelto di abitare.

Quanto è cambiata nel 2020 l'esperienza di acquisto nei negozi? Dal non poter uscire al voler tornare a toccare stoffe, vivere spazi dedicati e di nuovo chiusure necessarie?
È una domanda profonda, stiamo cercando di capirlo perché l’esperienza è cambiata e cambierà ancora molto. Siamo di nuovo in una forte incertezza, viviamo la quotidianità cercando il meglio, la strategia resta puntare con grandissimo ottimismo al 2021 e agli anni a venire. Avere una buona e solida base digitale ci permette di vivere questo momento a fisarmonica con un po’ più di visione al domani perché, anche nel primo lockdown quando si sono potute riaprire le logistiche dell’e-commerce, abbiamo immediatamente notato un bel movimento.

La natura fisica e digital di Modes vi ha permesso di essere pronti: non avete dovuto ricorrere a un piano A e B. Il vostro pubblico vi ha seguito e sostenuto?
Siamo stati fortunati, la strategia sia per modes.com sia per la forte relazione con Farfetch, ci ha confermato che l’e-commerce è IL market place, è assolutamente un canale imprescindibile a livello di mercato. In questo caso, poi, non potendo contare sul fattore fisico abbiamo potuto avvicinare digitalmente la clientela più internazionale, quanto anche zone extra Milano e le provincie italiane.

I consumi delle ultime generazioni indicano nuovi luoghi profondamente legati al made in Italy ma non solo a Milano.
Esattamente, quello che si sta evidenziando anche nelle grande aziende è un periodo di grande sofferenza ma con degli spiragli intermedi in cui si capisce che nel momento in cui la situazione migliora vi è la necessità fisica e psicologica di reagire, anche banalmente con lo shopping. Dalla Cina ai nuovi mercati: un recupero del tempo casalingo che si converte nella volontà di vestirsi, oltre il puro consumismo. Vuoi continuare a vivere.

Gli under 30 sono i più attenti alla sostenibilità che non sia greenwashing, ai marchi che creano manifesti reali e non di marketing: concordi?
L’etica dietro ai prodotti è un’urgenza impellente che questo momento non fa che sottolineare. Purtroppo c’è anche molto pressappochismo, come era di moda mangiare bio anche quando bio non era. Però c’é un pubblico giovane molto attento ai valori che stanno dominando le conversazioni e questo lo accolgo con positività, e ci sono aziende che lo fanno seriamente seguendo in tutto e per tutto la filiera della sostenibilità. Si nota un grande interesse per tutto ciò che è nuovo, mai sentito, ci si sta discostando dall’establishment anche in termini di brand iper esposti. Approcciare qualcosa che non conosci, con un prezzo anche più rispettoso del momento che viviamo oggi, è un bisogno che va oltre i target di età e di potere di acquisto. Lo riscontro anche in coloro con più possibilità: hanno una nuova etica sul come si spendono i soldi. I best seller non sono più prodotti logo oriented, il consumatore è sempre più cosciente e attento nel comprare un prodotto con una qualità intrinseca e la certezza che durerà nel tempo. Meno isterismo nella moda a tutti i costi e una scelta sempre più etica e personale.

Vedi successo di Telfar: attesa, pochi pezzi, prezzi accessibili = viralità del desiderio.
Telfar è uno dei brand che ho sposato: post performance al Pitti di Firenze, in altri tempi che oggi ci sembrano preistoria, ho riflettuto sull’atteggiamento di un evento così potente e inclusivo, una tavola imbandita, un pubblico conviviale. Tutto aveva un fil rouge: diversità, prodotto e consumi che vestono l’idea di cui parlavo prima.

Qual è il vocabolario che avete scelto per selezionare i brand con cui collaborare, i marchi da ospitare e lo scouting da promuovere?
Innanzitutto per la parte di eventi con cui promuoviamo una collaborazione scelgo personaggi che hanno qualcosa di rilevante da dire: che sia la loro personalità o il loro lavoro.Per me un messaggio rilevante può essere Marine Serre e il suo l’upcycling o Francesco Risso, una personalità dirompente che si traduce anche nelle sue collezioni per Marni. Lo scopo è di esternare il nostro vedere comune in uno spazio polivalente e comunicare le idee che ci accomunano.

Un luogo materico: i display non per vendere ma viaggiare, forse il fallimento di diversi concept store è stato il tutto troppo e tutto insieme?
È totalmente così, materico è la parola del negozio, ha una forte sensazione tattile: la materia è il sine qua non del progetto offline. Una materia che può essere connessa con la natura dove un capo abita lo spazio, non è solo esposto (vedi l'ultimo progetto YPROJECT | Canada Goose con un'installazione dell’artista Sara Ravelli visibile anche online su modes.com ndr).

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Marco Dapino

Milano è a) una vecchia signora borghese, b) una coppia di amanti irrisolta, c) una famiglia felicemente disfunzionale?
Sono tre titoli meravigliosi ed è un melting pot di tutto: quando dovevo descrivere la location all’estero dicevo che era un luogo borghese ma molto popolare, una commistione tra la radica della borghesia milanese insieme al vetro e il polistirolo a simulare le tappezzerie e i materiali popolari dell’edilizia, delle persone che lavorano con le mani. Questo è il mix di elementi che restituisce il rapporto complicato tra queste due società. Tutto quello che si divide crea ghetto, dall’alto al basso: noi siamo in una piazza davanti a tutti. Il mercato del giovedì è il momento migliore per capire Modes: il negozio sembra algido mentre fuori la città è viva, ti imbatti in una signora che abita in quartiere da decenni, va al mercato a comprare i fiori e poi entra in negozio da noi per cercare un maglioncino secondo i suoi parametri di prezzo e stile, e va bene così. Questo mi rende felice, davvero felice.

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