Simmetriche e rigorose come gli edifici in stile gotico-staliniano di Prenzlauer Berg, ma completate da curve, sinuosi arzigogoli che parlano di ben più sensuali colli toscani. Una crasi su tessuto, quella delle borse di Frenzlauer, che mescola pragmatismo tedesco e attitudini italiche ben più godereccie, abbinati in un nome che, a sua volta, come in una giocosa matrioska, combina il quartiere e la persona, Prenzlauer e Francesca Neri, fondatrice del brand. Lanciato nel 2013, il marchio vive serenamente la sua dicotomia geografica, a metà tra Italia e Germania, così come Neri accetta con una certa rassegnata serenità, la confusione mistica che attanaglia costantemente chi nasce sotto il segno dei Gemelli "programmo tutto nel dettaglio, e poi finisce che decido di affrontare nella stessa settimana una tesi di laurea e il mio matrimonio", ride.

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Francesca Neri, fondatrice di Frenzlauer

Ma non era una follia già nel 2013 l'idea di fondare un brand?
Certo, per questo mi sono preparata studiando ingegneria gestionale. Niente di particolarmente romantico, ma sono una persona pratica, e anche parecchio riflessiva: la moda mi ha sempre appassionato, ma volevo avere delle basi salde dalle quali partire, sapendo che sarei stata capace di occuparmi non solo della parte creativa, ma anche di quella economica, sapere come avrei gestito insomma, la mia futura azienda. E infatti sono partita da un brand di accessori, che avesse un utilizzo quotidiano, reale, adatto alla vita di tutti i giorni. Certo però, alla base c'è la passione: solo quella ti spinge a compiere dei gesti apparentemente incoscienti, come lanciare un proprio brand, in un momento non certo facile.

Come è iniziata la passione per la moda?
Come, in fondo, inizia per tutte: guardando la propria madre che si veste di fronte allo specchio. La mia ha sempre avuto uno stile fatto di colori neutri, linee pulite, e però elegante, coordinate che oggi sono rispecchiate dalla mia linea. Poi, durante l'università, sono venuta a contatto con il mondo del lavoro: ho fatto stage nell'ufficio stile di alcune aziende di Arezzo, che si occupavano di scarpe, capospalla e abbigliamento e non immaginandomi dietro una scrivania per una vita intera, ho pensato di fondare il brand.

Prodotto in Italia, con una fondatrice che arriva dalla Toscana: qual è la connessione con la Berlino di Prenzlauer Berg?
Prenzlauer è un quartiere di Berlino la cui architettura mi è sempre piaciuta: si tratta di palazzi risalenti a prima della seconda guerra mondiale, alcuni anche al finire dell'Ottocento, che ha visto una rinascita dopo la caduta del Muro. Non soffrì particolarmente i bombardamenti che invece distrussero altre parti della città, ma la sua edilizia era popolare, dedicata agli operai, con degli immensi casermoni che ospitavano quanta più gente possibile. Per via di queste ragioni, ci abitavano anche personaggi che non avevano grandi possibilità economiche: intellettuali, studenti, anche attivisti politici. Dopo la riqualificazione è diventato un perfetto esempio di gentrificazione: è uno dei quartieri giovani della città, popolato di famiglie, birrerie, negozi vintage, con giardini e corti interne molto belle. Ci sono stata la prima volta durante la mia luna di miele: con mio marito avevamo da poco preso un cane e abbiamo scelto un itinerario che ci consentisse di portarlo con noi e così siamo finiti a fare un giro dell'Europa. L'incontro con quella realtà, di cui amavo l'architettura, è avvenuto in un momento di mia felicità personale, così ho pensato che sarebbe stato bello omaggiarlo nel nome del mio marchio.

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La borsa Gran Panier di Frenzlauer per la fall/winter 2020

E in effetti le borse di Frenzlauer potrebbero definirsi "architettoniche"...
Il design e l'architettura mi appassionano moltissimo, anche perché credo che le tendenze di quei mondi siano avanti un anno rispetto a quello che succede nella moda, quindi le seguo con attenzione, e ne traggo ispirazione per il mio lavoro.

Cosa rimane, alla fine, della Toscana, e dell'Italia, nel marchio?
Le borse sono ovviamente made in Italy, la pelletteria è realizzata da un laboratorio in Veneto, con il quale avevo già lavorato in precedenza e a cui ho deciso di affidare questo progetto. La Toscana mi ha regalato un'educazione al bello che non è solo nei panorami o nell'arte, ma anche in quello che ne consegue: quando sei circondata dal bello, ti vengono belle idee. Quell'amore per la vita, per i piccoli piaceri quotidiani che sperimenta anche Russell Crowe in Un'ottima annata, il mio film preferito, che, pur essendo ambientato in Provenza, incapsula perfettamente quello stile di vita del quale non potrei mai fare a meno.

Fondato nel 2013, a oggi però il marchio è distribuito anche da nomi di pregio come quello della Rinascente, di Luisaviaroma, Modes a Milano, tutti negozi di ricerca che validano il percorso intrapreso: come ci sei arrivata?
Facendo le cose un passo per volta. Agli inizi ho subito preferito usare come unico canale di vendita il sito del brand, fornito di e-commerce. Caratterialmente sono una persona che ha bisogno di tenere tutto sotto controllo, e non potendomi permettere di aprire un mio negozio all'epoca, il pensiero di vendere il prodotto attraverso altri canali, negozi di altri, avrebbe aumentato l'entropia, non sarei più riuscita a gestire la situazione. Così ho aspettato: nel 2014 c'è stata l'esperienza di un pop-up store a Milano che si è rivelata particolarmente di successo e quindi mi ha spinto in quella direzione. La mia fortuna è stata trovare persone che credessero in me, come nel caso di Giacomo Piazza, dello showroom 247 (che si occupa anche di marchi come Adamo, Blazé Milano, Area, Batsheva e Cecilie Bahnsen, ndr) e che mi hanno aiutato. A oggi per me, è possibile iniziare a pensare a un mio negozio monobrand, ma ne parleremo in futuro...per ora vorrei concentrarmi sull'ampliare le categorie merceologiche, e quindi passare anche ai profumi, da cui sono ossessionata. Sono una di quelle persone che apre la bottiglia dell'ammorbidente per sentirne il profumo.

Secondo te questo periodo di grande impasse del mondo della moda può rappresentare, paradossalmente, un'opportunità per i brand più piccoli?
Non mi sento di poter fare previsioni, però mi rendo conto che in questo momento la gente sta cambiando il modo nel quale acquista. Si cerca di spendere meno e spendere meglio, puntando su prodotti senza tempo, adatti a tutti i giorni, e che possano accompagnarci per molto più di una stagione. Un po' come ha sempre fatto mia madre...