Se questo 2021 non è iniziato bene, l’imperativo categorico (un po’) kantiano è: andare avanti, sempre e comunque. Soprattutto per quello che riguarda l’industria della moda, al terzo posto nella dolorosa classifica dei comparti che hanno sofferto di più dopo il turismo e l’automotive, mai così in crisi dal Dopoguerra. La filiera dell’abbigliamento italiano dà lavoro direttamente (moltiplicate per cinque o sei se poi parliamo di lavoro indiretto) a oltre 600mila persone. Ma quel microscopico e gigantesco ostacolo che ha nome coronavirus non solo sta falciando vite umane e mettendone a rischio altre, ma rimette al centro della conversazione culturale, estetica, comunicazionale e finanziaria un sistema che fino al 2019 sprizzava faville e si concentrava intorno a grandi eventi, come le Fiere (quella di Pitti Immagine in primis per la moda maschile) o le sfilate delle Fashion Week. Sembra incredibile, ma è praticamente passato già un anno da quando la pandemia ha congelato produzioni, export, acquisti e vendite. Ma soprattutto ha paralizzato i desideri dei consumatori che, lo si voglia o meno, sono radicalmente cambiati da un’esperienza che li ha travolti in maniera così totalizzante e globale da imporre nuovi stili di vita, nuove modalità di rapportarsi al mondo in quella teatralizzazione del sé rappresentata dal vestirsi, ponendo nuovi interrogativi. Questi appuntamenti hanno ancora senso o invece non si deve maggiormente puntare all’e-commerce sui siti dei marchi o quelli multibrand? Quanto abbiamo davvero voglia di comprare? E avremo i soldi per farlo, nel momento in cui anche l’unico paese che sembra essersi scrollato dal groppone il virus, la Cina, dopo i primi mesi di spese folli dovute al Revenge Spending (quella vendicativa voglia di spendere e spandere dopo il confinamento vissuto come prigionia), adesso sta procedendo più cautamente, diventando Rethink Spending, ovvero ripensare le logiche di vivere, ragionare e dunque di comprare? E, se non avremo noi i soldi per farlo, basterà ancora ammannire la tiritera dell’heritage o bisognerà trovare nuovi linguaggi per dialogare con nuovi, lontani consumatori che hanno la religione del web ma magari ignorano l’esistenza di un lifestyle italico? Se Thunberging, il neologismo che deriva dal movimento ambientalista fondato da Greta Thunberg, è diventato così popolare da essere uno degli argomenti d’acchiappo sulle app di dating a indicare una passione comune per passeggiate, cinema e impegno sociale, non volete si sia insinuato anche nei nostri guardaroba? Ah, saperlo, saperlo.

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Courtesy Brunello Cucinelli
Il borgo di Solomeo, quartier generale di Brunello Cucinelli, interamente restaurato dall’imprenditore umbro e dove si svolge la conferenza di Pitti Connect, "trailer" di Pitti Immagine che si dovrebbe svolgere in presenza in febbraio.

Una cosa è certa: tutti noi vorremmo avere l’ottimismo incrollabile e testardo di Brunello Cucinelli, l’imprenditore-filosofo umbro che troverebbe qualcosa di bello, buono e piacevole anche se gli si parassero contro, nello splendido borgo di Solomeo da lui interamente restaurato e quartier generale del suo marchio, i quattro Cavalieri dell’Apocalisse a dirgli che restano 15 minuti di vita alla Terra. Siamo sicuri che li inviterebbe a scendere, a farsi una passeggiata tra i filari di vigne intorno alla sua roccaforte, poi li rivestirebbe dei suoi pregiatissimi cashmere. Quelli, magari, tra una citazione di Socrate e una prece di Sant’Agostino, ci ripensano, chi lo sa? Nel suo ruolo di Prozac vivente e molto pensante inaugurerà il 12 gennaio la 99° edizione di Pitti Connect – una sorta di prequel digitale al Pitti immagine vero e proprio, che si vorrebbe in presenza dal 21 al 23 febbraio, Dpcm e terze ondate permettendo - nella consueta sede fiorentina della Fortezza Da Basso. La sua collezione (in apertura, un capo) verrà presentata a Casa Cucinelli, uno spazio allestito nella fabbrica di Solomeo, che vuole ricreare un ambiente familiare, capace di coniugare la cultura, le tradizioni, l’amore per il territorio e per l’ospitalità. «Da sempre considero Pitti Uomo una sorta di grande sfilata all’aperto, dove con l’arrivo da tutto il mondo di circa 30mila persone a edizione, si crea un’atmosfera piacevole e nel contempo si delinea il gusto della stagione a venire. Non vi è dubbio che insieme ai quattro giorni successivi in Milano forse si è creata la più bella Fashion Week da uomo al mondo». E a Il Corriere della Sera dichiara che «di felpe e scarpe da ginnastica ne abbiamo anche troppe. Ora abbiamo tanto desiderio di vestirci benissimo, in modo giovane. Prevediamo che dopo un anno di chiusura ci sarà un’esplosione di divertimento».

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Courtesy Herno
L’Herno Library a Milano, da cui si svolgerà la "diretta" per la collezione di Herno e Laminar.

Tanto entusiasmo ha contagiato perfino lo stato maggiore di Pitti, capeggiato da Raffaello Napoleone, ceo della manifestazione più importante di moda maschile internazionale, che si trasferirà armi e bagagli proprio a Casa Cucinelli per una conferenza stampa virtuale e si spera virtuosa che darà il via a una serie di “collegamenti” digitali: una specie di aggiornamento al Terzo Millennio dei leggendari Voyage in Italie degli intellettuali dell’800. Mercoledì 13 Claudio Marenzi, Presidente di Herno e di Pitti Immagine, racconterà in diretta dallo showroom di Milano il prossimo autunno-inverno 2021/22 per le collezioni Herno e Laminar. Focus su Herno Globe, etichetta dedicata ai prodotti green, con la partecipazione speciale di Oscar Farinetti in linea da Torino, dove da poco si è inaugurato il primo Green Retail park - Green Pea. Giovedì 14 tocca a Kiton da Napoli, con una presentazione della sua alta sartoria in diretta dal suo atelier partenopeo, il 21 gennaio è la volta di Lardini da Filottrano, nelle Marche, dove il titolare, Luigi Lardini, presenterà una serie di proposte che sono studiate come singoli pezzi preziosi da accostare magari a qualcosa che già si ha e di cui non avrebbe senso o voglia il disfarsene: lo stesso Luigi firma una piccola linea di rara poesia, dove all’interno dei capi è cucito il suo certificato di nascita come segno di identità e appartenenza a un territorio, senza per questo essere sovranisti dello stile.

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Courtesy Kiton
Tre outfit della collezione Kiton per il prossimo autunno-inverno 2021/22 che verrà presentata in streaming dall’atelier della maison a Napoli.

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Luca Fornaro
Un outfit della collezione Lardini autunno-inverno 2021/2022 che sarà mandata online il 21 gennaio dall’epicentro produttivo e creativo di Filottrano, nelle Marche.

Si continua poi con Milano Collezioni, dal 15 al 19 gennaio, quasi tutta in digitale e visibile all’indirizzo milanofashionweek.cameramoda.it. Il “quasi” è ulteriormente rafforzato dall’improvvisa defezione, l'altro ieri, di Dolce & Gabbana che hanno preferito rinunciare a una delle quattro sfilate fisiche previste sui 40 contenuti digitali (rimangono, per ora, Fendi, Kway ed Etro). Un calendario piuttosto scarno di nomi di rilievo tranne, per l’appunto Fendi, Etro, Prada, Zegna, MSGM, Sunnei, Woolrich: ma nello stesso tempo offre a marchi giovani ed estremamente interessanti - pensiamo a Magliano, Danilo Paura, A Cold Wall, Han Kjøbenhavn - di farsi letteralmente vedere da tutti.

la locandina della milano fashion week che poi sono 5 giorni scattata da stefano guindani in una desolata stazione centrale di milano i modelli indossano capi di maglianopinterest
Stefano Guindani
La locandina della Milano Fashion Week scattata da Stefano Guindani in una desolata Stazione Centrale di Milano. I modelli indossano capi di Magliano.

Compresi tutti gli uomini che non sono addetti ai lavori, i non-fashionisti che magari si distrarranno dallo smartworking, i ragazzi della Generazione Z che non vogliono più lo streetstyle a prezzi astronomici. Chiamatele atto di fede, chiamatele attestare le proprie posizioni, chiamatele tentativi di non naufragare un Paese già stremato da una crisi sanitaria e ora terrorizzato da quella economica, chiamatele nuove prove tecniche di attivazione del desiderio: ma questi appuntamenti, anche se nel loro pervicace puntiglio notarile, oggi come oggi servono a dimostrare che la moda in Italia non possiede solo gli anticorpi della creatività. Ma addirittura ha la spavalderia un po’ tracotante di proporsi come vaccino estetico contro la tristezza infinita che oggi ammorba il mondo. Magari, domani saranno anche un buon laboratorio per mettere a punto nuove idee e non ammalarsi di megalomania: quella sì, la patologia che ha fatto credere per anni alla moda italiana di essere perfetta in una scala da zero a “moda italiana”.