Termina alla grande questa settimana della moda milanese tutta digitale e, forse proprio per questo, alla ricerca di un contatto che sfondi la “quarta parete”, con l’eccezione dei ragazzacci Loris Messina e Simone Rizzo di Sunnei che, rovesciando la prospettiva, nel loro video fanno letteralmente spiaccicare sullo schermo le modelle: un black humour molto apprezzato. L’intenzione è stata quella di connettersi direttamente alla mente e al cuore dello spettatore con l’evocare sensazioni forti: malinconia, speranza, fiducia, sogno, inquietudine. E va dato atto che, più delle sfilate “viste” a New York e a Londra, quelle italiane dimostrano una resilienza di flessibilità comunicativa che finora non ha pari. Tutti bravi, dunque. MSGM, Valentino, Dolce & Gabbana. I tre nomi intelligentemente scelti per il finale riportano alla mente i tre fondamenti della Retorica di Aristotele: ethos, logos e pathos, che segnano lo sviluppo di ideali psicologici che collegano i ponti tra emozione e logica. Ed è sintomatico che sia Massimo Giorgetti (designer di MSGM), sia Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, presentino le loro collezioni come un omaggio a Milano, tra le città italiane forse quella più ferita nell’inconscio dalla pandemia. E lo fanno ripartendo da due epicentri culturali della città, il Teatro Manzoni per l’uno e lo Strehler per l’altro. E il teatro è il luogo per eccellenza dove ethos, logos e pathos si incontrano.

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MSGM AI 21/22

Sicuramente densa di ethos (che significa “carattere, comportamento” e capacità di mostrare la propria personalità che si basa sulla morale, credibilità e similitudine con il pubblico) è la collezione “incoraggiante” di MSGM. Giorgetti si rivolge a un pubblico giovane, soprattutto di idee, per invitarlo a vestirsi come vuole, secondo la propria inclinazione caratteriale che deve avere la meglio anche sull’apparenza, visto che a un certo punto le modelle si spogliano dei loro abiti in pizzo coloratissimo, dei loro piumini oversize in vinile rosa shocking, nelle gonne a matita sormontate da un reggiseno e basta. C’è un desiderio di festa e uno slancio nel tornare a stare insieme che, per un bizzarro destino, cade proprio nel giorno in cui s’inaspriscono le misure del confinamento. Ma quell’aspirazione irrinunciabile si trasforma in un augurio, perché quei vestiti arriveranno in boutique quando saremo tutti vaccinati e torneremo tutti insieme. La dimensione collettiva è familiare a Giorgetti anche nella presentazione: il progetto digitale si chiama Manifesto e coinvolge il direttore di Flash Art Gea Politi, il regista Francesco Coppola, i dj Sergio Tavelli e Andrea Ratti, l’artista Alessandro Calabrese.

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Courtesy Valentino
Cosima, l’artista della performance di Valentino AI 21/22 accompagnata dall’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi

Comitiva, gruppo, collettivo, gang, posse, community: tutto rimanda a una concezione della moda come forma espressiva che vede nell’apporto di tanti, uniti dal medesimo scopo, la realizzazione di un’opera che arriva da pensieri di tante menti diverse. È un drappello unito da una trascendente voglia di richiamo alla pace e alla bellezza quello che, nel teatro Strehler, Pierpaolo Piccioli fa sfilare su un palcoscenico vuoto: è accompagnato solo dalla voce potente di Cosima, artista nata e cresciuta a Londra, dalla potenza vocale e interpretativa straordinaria. Trionfo del pathos che, secondo Aristotele, mira a simpatizzare, a trasmettere empatia: un’attitudine che Piccioli ha da sempre dimostrato, ma ha rafforzato nelle ultime stagioni, ultima sfilata Haute Couture compresa. Da cui ha tratto alcune lavorazioni, come le losanghe a rombo che, cucite insieme, formano mantelli e pullover o il motivo a treillage che in un certo senso visualizza il “fare rete” non più in termini progettuali, ma di una vera e propria discesa in campo. L’evento ha per nome Act Collection e, all’utopia espressa negli abiti per l’estate 2021, sostituisce una call to action: le proporzioni sono brevi, le gonne corte assicurano un movimento dinamico, l’eleganza è più sulle superfici che nelle forme, per salvaguardare la sicurezza del passo. Risuonano solo due colori-non-colori: il bianco e il nero, interrotti da un’uscita in oro e un’altra in rosa pesco. Ci sono i codici della maison (le rose, il pizzo, le mantelle, i volant), ma ricondotti a un lessico svelto, intraprendente, fattivo. Che naturalmente lascia spazio all'interpretazione per chi lo indossa, in un’operazione di asciutto culto della diversity e dell’inclusione: alcuni capi sono unisex, altri giocano con gli stilemi dell’eleganza “perbene” ma giocati secondo paradigmi di modernità. Una collezione bellissima, segnata da grandi ideali ma con i piedi saldamente ancorati al suolo. Coscienti che Nothing Compares 2 U, «Niente può paragonarsi a te», canzone di Prince scritta nel ’90 per Sinéad O’Connor, con cui Cosima inizia e conclude la performance dai toni austeri. E perciò ancora più autentici. Commovente.

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Courtesy Valentino

Infine, il logos di Dolce & Gabbana che giustamente danno come titolo alla loro collezione – sono molti più pezzi di quelli visti in video – A New Chapter. Sarà destinata a rimanere nella memoria come uno dei capitoli importanti della loro storia: la collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia (da cui proviene l’attuale ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani) li porta a ri-pensare e a ri-leggere il dialogo con la Generazione Z attraverso una rivoluzione stilistica. «Siamo davvero felici che IIT abbia accettato questa sfida: è incredibile pensare come l’ingegno dell’uomo e la sua determinazione possano dar vita ad altre forme di intelligenza, che apprendono dall’esperienza per essere impiegate in campo medico, ambientale e sociale. La moda è da sempre contaminazione di mondi anche molto lontani tra loro: se la tecnologia è davvero a servizio dell’uomo, dei suoi bisogni e delle sue passioni, allora artigiano e robot potranno coesistere», fanno sapere alla stampa. Ri-leggono i capisaldi che li hanno portati alla gloria (i corsetti incrostati di strass, i body neri indossati da Monica Bellucci e Linda Evangelista) negli anni Novanta: un’epoca in cui i ventenni di oggi non esistevano e quindi ne saranno affascinati e ghiotti come lo fummo noi trent’anni fa. Non un’operazione d’archivio, ma l’attestazione di un alfabeto estetico che si nutre di sperimentazioni tessili (i tessuti che sembrano di metallo ma in realtà sono di lana, le fibre ottiche intrecciate a mano per formare la più divertente delle pellicce), di contaminazioni tra epoche diverse, di silhouette - spalle larghe, vita stretta - che a chi scrive possono sembrare un revival, ma in realtà sono una novità assoluta per il loro clienti più giovani.

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Dolce e Gabbana AI 21/22

C’è un senso di libertà assoluta nelle proposte, assemblate con l’aiuto degli stessi modelle e modelli reclutati in un casting di ragazzi e ragazze “reali”, che li hanno adattati alle loro personalità. È un volto del Made in Italy che si smarca dalla retorica del “ben fatto” (dato per scontato) e restituisce al nostro Paese il ruolo di produttore di idee e di inedite connessioni tra arte, moda, sociologia. Di cui fa parte anche la nostalgia per le top model – inventate dal duo – tanto che sulle t-shirt c’è scritto I love Top Model. L’esperienza della pandemia ha fatto molto bene a D&G, perché ne estraggono un invito ad andare oltre: oltre il presente, oltre i confinamenti, oltre le consuetudini. E questo, scusate il patriottismo, ci rende davvero più orgogliosi. Solo il Cielo sa quanto, in questi tempi rannuvolati, abbiamo bisogno di un’iniezione di autostima, efficace come un vaccino per l’anima. E per l’economia.

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Monica Feudi
Dolce e Gabbana AI 21/22