Sarà una curatrice del suo guardaroba, un’oculata investitrice in pezzi d’eccezione, un’intransigente talent scout di nomi sì nuovi, ma rigorosamente devoti a una dimostrabile sostenibilità. Però si divertirà a cambiarsi dopo un periodo di oscurantismo estetico che l’ha rinchiusa in felpe, tute e pantaloni con l’elastico. La nuova consumatrice, già consumata da un’esperienza che come prima nessuno mai, ha avuto tempo per pensare, fare piazza pulita e formulare nuovi desideri. Primo tra tutti? La parola che alle redattrici di moda pre-pandemia faceva più orrore: comodità. E userà tutti i mezzi a sua disposizione - dai social allo shopping pomeridiano, in un circolo virtuoso tra siti virtuali e luoghi fisici - per impossessarsi di quel capo o accessorio che la rappresenta di più. Per trasformarsi in collezionista di se stessa. È vero, come dichiara Silvia Bini, titolare di tre boutique a Viareggio (quella più nota è Caos), che «ci sentiamo tutte come dopo una guerra e la reazione può essere quella di folleggiare o invece di essere più riflessive nelle spese, comprando proposte compatibili con ciò che già si ha. Le boutique saranno percepite più come centro di aggregazione culturale o per assistere a eventi, che per comprare e basta. Del resto la moda è anche e soprattutto cultura e già esistono alcune tipologie di spazi vendita che non possiamo più definire semplicemente negozi».

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ANDREA BARTOLOZZI
Il tetto della boutique Caos, di Silvia Bini a Viareggio.

Altri retailer, come Mario Dell’Oglio sostengono che il momento attuale equivale «al risveglio dopo un letargo. Che sia stravagante, volta a esprimere l’esagerazione o rigorosa, la moda tornerà a essere un’espressione del prendere posizione nel mondo. Ma più che a essere fashion, le donne stanno mostrando un’autonomia di gusto cercando abiti che le facciano sentire bene. Mente e corpo. Incarnandosi in sciamane glamour o candide sacerdotesse dell’essenziale. È per quello che ho deciso di mettere da parte i diktat del sistema e torno orgogliosamente a rischiare assecondando la mia visione del mondo. Ho impostato la filosofia della nostra offerta prendendo molto sul serio due parole che negli ultimi anni erano quasi obsolete: scelta e felicità». Dell’Oglio, titolare dell'omonima boutique palermitana, uno degli epicentri dello stile italiano, entra nella conversazione del “come e cosa compreremo” aprendosi a un paesaggio totalmente diverso rispetto a quello pre-pandemico. Più sostenibile, consapevole e attenta all’ambiente ma anche alla qualità, più sensibile ad ascoltare i propri desideri che non quelli che provengono dalle passerelle.

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Courtesy Press Office Dell'Oglio
L’interno della boutique Dell’Oglio, di Mario Dell’Oglio, a Palermo.

L’acquirente di oggi restituisce al vestire il ruolo di narratore del Grande Romanzo Globale di cui chiede di essere la protagonista assoluta, dopo una pausa forzata che l’ha portata a «meditare in silenzio, come se il silenzio del lockdown avesse amplificato il suono dell’estetica bling-bling che ha percepito come rumore fastidioso, mentre ora sente urgente il bisogno sia di ripartire, sia di conservare questa esperienza. Pensavo a una strana coincidenza: esattamente a 50 anni dalla sua morte, oggi più che mai per me torna in auge la massima di Coco Chanel “l’opposto del lusso non è la povertà, ma la volgarità”. Ne sono certo: si guarderanno le etichette e la provenienza di ogni capo e accessorio come al supermercato, ma le vere novità saranno legate alla possibilità di durata e di ricordo del passato: il vintage è un fecondo legame generazionale e il grande successo di Gucci è legato anche a questo». Così si esprime Beppe Angiolini, proprietario di Sugar ad Arezzo, (la sua boutique è in apertura) il quale conia lo slogan “Ama, scegli, compra” e parla addirittura di un’acquirente che opera una riscrittura del desiderio che parte dall’animo ma si concentra sul corpo. Un luogo che, secondo tutti i più grandi retailer italiani, sarà il punto di partenza per una voglia di novità che per fortuna esiste ed è anche prepotente, malgrado il settore dell’abbigliamento sia tra quelli che più hanno sofferto: nei primi cinque mesi del 2020 l’offline - cioè la distribuzione concreta - ha registrato il meno 46%, anche se l’online è cresciuto nello stesso periodo del 34% (fonte Confindustria Moda/Sita Ricerca). L’esperienza del confinamento ha portato un rapporto diverso con la propria fisicità. Siamo sicuramente stanchi di tute, felpe e sneakers ma nello stesso tempo si è instillata in tutti un’esigenza di comodità che vada oltre gli slogan della body positivity e diventi «una filosofia di vita che richiede di uscire dalle forme aderenti. Non per camuffare peccati di gola, ma perché è l’idea stessa di costrizione a essere rifiutata», continua Dell’Oglio. Un dato acquisito anche dalle nuove generazione che vogliono moda di ricerca, confermato da realtà “giovani” come Macondo, progetto di retail tutto italiano che ha il quartier generale a Milano e una sede fisica a Verona. Manuel Marelli, che ne è buyer, digital retail manager e fashion director, avverte: «C’è la tensione a una nuova eleganza che si avverte anche nel pubblico più giovane. Ma in parallelo c’è l’evoluzione di una società che vede soprattutto le clienti - ma anche gli uomini - pretendere un comfort anche nel caso in cui esprima sensualità. In tal senso, il materiale principe di questa e anche delle prossime stagioni sarà la maglieria: si adatta alla diversità delle forme, esalta la tattilità, aiuta anche a elaborare un inedito concetto di “sexy inclusivo”. Come nel caso della designer cinese Rui Zhou, un brand che sta avendo successo anche perché è guidato da una donna che è nata, vive e lavora in un Paese che fino a pochi anni fa non consideravamo rilevante sul piano creativo».

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Francesco Stelitano
La vetrina della boutique "fisica" di Macondo a Verona, di cui è buyer e art-director Manuel Marelli.

Proprio il concetto di lusso è al centro della nuova definizione dell’acquisto. «Il suo senso è in costante evoluzione anche se per me deve mantenere un elemento che distingue ciò che non è facile trovare», assicura Daniela Kraler. Col marito Franz dirige le omonime boutique multibrand da Dobbiaco a Cortina, fino a Bolzano: spazi caratterizzati dal mix perfetto di cultura mediterranea ed estetica mitteleuropea. Daniela crede alle collaborazioni fatte appositamente per loro da nomi come Dior, Louis Vuitton, Fendi… «È stato un periodo duro, ma non ho mai pensato di mandare in lockdown quello che per me è l’acquisto come esperienza: perfino nel periodo più duro abbiamo fatto call con le clienti affezionate, mantenendo quel tono di familiarità e di calore umano che fa parte del nostro Dna. Chi viene da noi entra in un atelier dove trova persone con cui può semplicemente chiacchierare, farsi consigliare. L’online non offre questa opportunità che, nel nostro caso, è rivolta anche alla valorizzazione del territorio, quello della Pusteria. Certo, anche noi abbiamo pensato all’e-commerce, ma non vorremmo un carrello della spesa. Da 35 anni vivo toccando e annusando tessuti, abiti, borse, pelle. Per me la moda è un po’ come il collezionismo d’autore e in questo senso intravedo il consumo di moda come una curatela».

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Courtesy Press Office Kraler
La futuribile architettura della boutique Kraler a Dobbiaco, i cui titolari sono Daniela e Franz Kraler.

Insomma, quelle due realtà che un tempo si guardavano in cagnesco oggi sono complementari. «È un po’ come la musica: l’ascoltiamo su Spotify, ma non rinunciamo ai cd e c’è chi si compra vinili rari. Una cosa non esclude l’altra», insiste Manuel Marelli. Andrea Molteni, figlio di Giampiero, è la terza generazione alla guida di Tessabit, il nome più celebre per la moda a Como: «La pandemia ha amplificato la necessità dell’e-commerce, ma già dal 2009 abbiamo cominciato ad aprire il nostro sito. Contemporaneamente siamo stati i primi ad allearci con la piattaforma di Farfetch. L’intenzione è far crescere sempre più il nostro brand a livello internazionale, creando una sinergia tra fisico e digitale: per esempio, sul nostro sito il cliente può creare una propria wishlist e poi prenotare una visita in negozio dove provare i capi scelti».

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Courtesy Press Office Tessabit , a Como.
Uno scorcio di una delle boutique Tessabit a Como, il cui titolare sono Giampiero e il figlio Andrea Molteni.

Che l’abbigliamento abbia sposato l’opzione omnichannel, un po’ da Netflix dello stile, lo conferma Annagreta Panconesi. È figlia di Andrea, che ha dato l’aura del mito a LuisaViaRoma a Firenze (tanto da meritarsi un libro, edito da Rizzoli New York), primo spazio di vendita che è anche online dal 1999: «Sul sito abbiamo oltre 600 marchi, le consumatrici vanno a colpo sicuro. Si lasciano sedurre anche da servizi come il personal stylist, o le proposte di abbinamento nella sezione Journal. Per noi, il digitale non è solo una scelta commerciale, ma anche creativa: proponiamo nomi nuovi come Khaite, Nensi Dojaka o Yoga Beyond».

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Courtesy Press Office Luisa Via Roma, Firenze
L’allestimento, visibile fino a luglio, Aerial Underwater World nelle vetrine di LuisaViaRoma a Firenze, i cui titolari sono Andrea e Annnagreta Panconesi.

Insomma, dopo la Dad, la Mad (da intendere, secondo il termine inglese, anche come “pazzo”). Non è che la moda a distanza sia l’unica migliore, però può farci apprendere qualcosa di cui potremo chiedere delucidazioni “in presenza”, su ciò che ci metteremo fisicamente addosso.