«Basta guardare ai numeri: se si calcolano le valutazioni di mercato dei talenti del settore moda, e li si paragona ai loro livelli di influenza sociale e culturale, il risultato è che, in percentuale, sono pagati molto meno degli attori o dei musicisti» così il talent agent Christian Carino ha parlato con il Bof, nel pezzo "Marketing pr: can a Hollywood super agency finally crack fashion?", spiegando le motivazioni dietro la nascita della divisione moda della Creative Artist Agency (CAA). L'agenzia, una delle più potenti sulle ridenti colline di Hollywood – e che ha tra i talenti che rappresenta nomi come quelli di Gwyneth Paltrow e Kanye West – ha lanciato la nuova divisione solo lo scorso anno, dopo un attento studio di mercato. Se l'ala fashion si occuperà di tutelare e rappresentare per la maggior parte le modelle, non si tratta però qui solo di una scelta legata all'opportunità di un territorio finora inesplorato dalle agenzie, ma anche una mossa strategica che gioca d'anticipo su quelli che sono i cambiamenti sociali e di abitudini portati dalla pandemia, e dalla potenza ormai ineludibile dei social network. In primis, in effetti, come lo stesso Carino ammette con stupore «l'analisi realizzata prima di lanciare questo nuovo progetto ha messo in luce i tremendi svantaggi di cui soffrono le modelle in questo settore: i casi di molestie sono uguali, se non peggiori, a quelli subiti dalle donne negli altri campi, ma qui sembrava che le modelle non beneficiassero di alcuna protezione. Avendo lavorato in entrambi i campi, posso dire che questo settore manca di affidabilità». Un lavoro che si traduce in una selezione di talenti attenta alla diversità: tra i 50 clienti attualmente nella divisione moda, il 48% in generale e il 60% della categoria che pertiene strettamente ai modelli, viene da categorie sotto-rappresentate, come nel caso di Leyna Bloom, divenuta la prima donna transgender di colore ad essere inserita nel celebre Swimsuit issue di Sports Illustrated. Oltre alle modelle, infatti – nei ranghi di CAA ci sono già già Indya Moore, Cindy Crawford, Georgia May Jagger e Luka Sabbat tra gli altri – l'agenzia ha inserito nel suo team dei decani del sistema, creativi che operano principalmente nel settore della moda, come i fotografi Anne Leibovitz e Nick Knight, che ha contribuito fortemente sul finire degli Anni 90 a creare l'estetica disturbante di Alexander McQueen.

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Non mancano però direttamente i designer, come Tom Ford, Tommy Hilfiger, Prabal Gurung e Kerby-Jean Raymond, di cui l'agenzia ha curato in ogni ambito l'arrivo da Reebok come creative director. E in effetti, questa è una delle principali differenze con le classiche agenzie che si occupano di modelle, e che in generale ricavano i loro compensi prendendo il 20% dal compenso dell'individuo che viene selezionato per un servizio fotografico, una sfilata o un video, e un ulteriore 20% dal cliente che lo richiede. Come per tutti i talenti che segue, CAA prevede una commissione del 10% che prende dal compenso del suo "talent", ma la sua funzione non si limita a proporlo per dei lavori, ma va ben oltre, curando anche la parte economica di accordi impegnativi, forte di una decennale esperienza nel mondo dell'intrattenimento americano. Un esempio? Quando nel 2018 Kylie Jenner ha venduto il 51% della sua linea beauty a Coty per una cifra di 600 milioni di dollari, CAA si è occupata di assistere l'imprenditrice, con consulenze economiche. Stessa cosa è avvenuta quando Beyoncé ha firmato un accordo di collaborazione con Adidas, per lo sviluppo della linea Ivy Park. Numeri e cifre che riflettono il potere che queste personalità possiedono, e che l'industria della moda ha a lungo ignorato. La dimostrazione lampante è nel fatto che, secondo la stessa azienda, all'inizio si era pensato di comprare un'altra agenzia che avesse già tutti i contatti e le professionalità giuste per questo progetto, ma che, guardandosi intorno, ci si è resi conto, che una realtà del genere era totalmente inesistente.

Per strutturare al meglio il tutto, CAA ha inoltre stretto un'alleanza ben più che strategica con KCD, agenzia di comunicazione di moda che si occupa delle pubbliche relazioni e della produzione di eventi e sfilate di alcune tra le maggiori maison mondiali, da Isabel Marant a Balmain. L'obiettivo è adeguarsi ai tempi che corrono: se in passato la carriera media di una modella aveva una tempistica abbastanza breve – Kate Moss e Naomi Campbell che sfilano saltuariamente all'alba dei 50 anni sono da considerarsi un'eccezione – oggi grazie alla presenza delle stesse sui social, e alla loro influenza globale, è possibile pensare a delle carriere non solo più longeve, ma anche maggiormente diversificate. Kendall Jenner ha 156 milioni di follower su Instagram, Bella Hadid ne ha 40, solo per citare un paio di numeri: dall'altra parte attrici premio Oscar conosciute ai 4 angoli del globo da più di 30 anni, come Angelina Jolie e Julia Roberts racimolano cifre diverse (1,9 milioni di follower la prima, 9 la seconda). Al netto di queste differenze, è legittimo pensare che nell'era dei social, il contributo che può dare una modella alla promozione di un prodotto, o di un progetto, così come al suo successo sul mercato, è uguale quando non superiore a quello di un'attrice, la cui presa sul mercato globale riflette, in una sineddoche sociale, quella in declino di Hollywood e del mondo del cinema. Inoltre, la pandemia e la totale scomparsa dai radar degli eventi dal vivo, hanno costretto le agenzie ad un cambio di passo, e all'abbandono di strategie che fino al momento prima sembravano funzionare, pur sentendo il peso degli anni: il "packaging" – ovvero il mettere insieme talenti che arrivano da campi diversi, l'autore di un libro con l'attore e l'attivista, proponendo agli studios o ad una rete il pacchetto già completo per un progetto – non sembra essere più di tendenza e sta cominciando a sollevare le critiche di molti. Tra loro c'è la Writers Guild of America, l'associazione sindacale che rappresenta gli sceneggiatori statunitensi, e che sostiene come queste tipologie di accordi svalutino il contributo del singolo, riempiendo unicamente i portafogli delle agenzie (e in effetti gli accordi che hanno permesso alla CAA e agli altri suoi competitor di divenire così potenti nel corso degli anni, sono per la maggior parte facenti parte di questa categoria).

Certo, in passato sono state molte le modelle che hanno provato a lanciare una carriera alternativa nel mondo del cinema, da Cindy Crawford – nel suo cv si inseriscono Facile preda con William Baldwin del 1995 e Bodyguards di Neri Parenti, dove ha recitato al fianco di Christian De Sica e Massimo Boldi – a Cara Delevingne, ma il tentativo non è mai sembrato davvero riuscito. La stessa Delevingne, dopo aver annunciato l'abbandono delle passerelle per perseguire il desiderio di una carriera sul grande schermo, ha ricevuto delle recensioni non esattamente entusiasmanti per i suoi ruoli in Valerian, la città dei mille pianeti (lungometraggio di Luc Besson del 2017) e nella serie Carnival Row. Forse però, grazie ai social media, il cinema potrebbe non essere l'unica scelta alternativa, quando si tratta di diversificare una carriera: a dimostrarlo c'è Winnie Harlow, modella sotto contratto di CAA, che inizialmente era arrivata nella Grande Mela per perseguire la carriera del giornalismo, e poi ha iniziato a sfilare, divenendo una delle prime mannequin anche attivista e promotrice di modelli di bellezza alternativi (lei stessa è affetta da vitiligine, condizione che colpì anche Michael Jackson e causa la perdita di pigmenti della pelle). Oggi ha firmato un accordo di collaborazione con il brand di prodotti per capelli Paul Mitchell, è stata una giudice nel programma televisivo (su Amazon Prime) Making the cut, e ha cominciato a sviluppare un progetto incentrato sul benessere insieme agli imprenditori digitali Kim Perell e James Brennan. Oltre al grande schermo, in fondo, c'è di più, e considerata l'attuale stasi del settore cinematografico, esplorare nuove possibilità di business, approfittando di un folto seguito social, sembra una scelta intelligente. La speranza, per gli insider della moda – anche quelli che non saranno rappresentati da CAA – è che l'arrivo di questo nuovo e importante gruppo, possa portare per tutti più equità in un settore da sempre opaco, dove i più giovani sono spesso soggetti ad abusi e molestie e ci sono poche associazioni o sindacati che attivamente lottano per delle condizioni lavorative che li proteggano. Forse, il primo passo verso il futuro, è già oggi.