Non uno, ma due Met Gala, su due temi diversi, con due party separati. L'annuncio di ieri del Costume Institute interrompe così un anno di assenza forzata dalla pandemia – l'edizione del 2020 è stata a lungo rimandata, per poi essere cancellata – e raddoppia. Andando nello specifico, se il primo Met Ball, sarà spostato a settembre, a conclusione delle sfilate per la S/S 2022, il secondo si terrà a Maggio 2022, tornando nella tempistica classica dell'evento, che in quel mese si organizza ogni anno. Il raddoppiarsi del party più importante per la moda americana, così come il cambio delle date, hanno una spiegazione ben più che logica: con l'America sulla buona strada nella distribuzione dei vaccini, la prima al mondo con 150 milioni di dosi e l'obiettivo del presidente Biden di arrivare ai 200 nei suoi primi 100 giorni da presidente, ovvero entro la fine di aprile, è possibile immaginarsi una ripresa degli eventi dal vivo nei prossimi mesi. Se maggio sembra una data troppo prossima, l'idea di spostarlo a settembre – in chiusura di una Fashion week da parecchie stagioni in crisi d'identità e poco frequentata da buyer e giornalisti al di fuori dei confini americani – appare non solo ragionevole ma persino abbastanza scaltra. Con una mossa del genere, il curatore Andrew Bolton vuole riportare al centro del discorso la moda americana – che, dopo le ultime sfilate disertate persino dal presidente del CFDA Tom Ford appare decisamente in affanno, con i suoi maggiori talenti ufficialmente emigrati all'estero (da Virgil Abloh che sfila con Off-White e con Louis Vuitton a Parigi, dove si situa anche la maison Schiaparelli per la quale lavora il texano Daniel Roseberry). In più, il raddoppio delle date è dovuta ad una necessità economica: l'istituzione è l'unico dipartimento del MOMA che si auto-finanzia proprio attraverso i proventi che arrivano dal Met Gala, e dopo aver cancellato l'evento dell'anno scorso, la necessità di trovare fondi è divenuta fondamentale. Il tema di settembre 2021, perciò, sarà proprio una riflessione su un paese che si guarda allo specchio, e si chiamerà "America: a Lexicon of fashion" e si concentrerà più di qualunque altra mostra del passato su quelli che sono, nel 21esimo secolo, i rappresentanti dello stile a stelle e strisce, con 21 stanze allestite a ricreare una casa, ognuna delle quali andrà a simboleggiare un'emozione.«Volevamo che questa fosse una celebrazione della comunità della moda americana, che ha molto sofferto durante la pandemia» ha dichiarato Bolton al New York Times. «E proprio quella moda è stata spesso liquidata con una certa frettolosità, per via della sua storica associazione con il campo dello sportwear, e quindi con un abbigliamento pratico e funzionale, mentre la moda europea è sempre stata considerata territorio della creatività e dell'emozione. A mio parere, invece, la moda americana sta entrando in un suo Rinascimento, con giovani designer americani in prima linea nelle discussioni attuali su diversità, inclusione, sostenibilità e creatività consapevole. Lo trovo tremendamente entusiasmante».

new york, new york   october 26 anna wintour and andrew bolton attend the press preview for the costume institutes annual exhibition about time fashion and duration sponsored by louis vuitton at metropolitan museum of art on october 26, 2020 in new york city photo by taylor hillgetty imagespinterest
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Il curatore del Metropolitan Museum of Art’s Costume Istitute Andrew Bolton con Anna Wintour

E in effetti, complice la presidenza di Joe Biden, che ha dimostrato sin dalla sua cerimonia di insediamento, il rinnovato supporto delle più alte cariche governative ai nuovi talenti – con Michelle Obama vestita da Sergio Hudson e Kamala Harris in Christopher John Rogers – è possibile finalmente intravedere un nuovo corso, che vada oltre la solita aderenza ai canoni dello streetwear trasformati in Bibbia ortodossa da Virgil Abloh e Kanye West. Tra i nomi più interessanti, che sicuramente troveranno il loro spazio all'interno di questa prima tranche del Met Gala, ci sarà sicuramente Kerby Jean Raymond, designer dietro il brand Pyer Moss – e dallo scorso settembre anche direttore creativo di Reebok – così come Hillary Taimour, volto celato dietro il brand Collina Strada, e il duo creativo di Area. Il secondo show, invece, “In America: An Anthology of Fashion” si concentrerà su 300 anni di storia e su come abbia influito sulla creazione della moda americana, partendo dalla celeberrima sfilata The battle of Versailles (organizzata nel 1973 all'interno dell'omonimo palazzo, per finanziarne il restauro) e che fece scontrare i designer francesi dell'epoca – Saint Laurent, Cardin, Bohan, Ungaro e Givenchy – con quelli americani, da De La Renta passando ad Halston a Bill Blass e Burrows. Un tentativo di dialogare e dare spazio a quelli che sono sempre stati considerati – nella scorsa presidenza più che negli scorsi 30 anni – "altro", rispetto all'America Wasp, bianca e protestante, e che invece hanno contribuito sostanzialmente a formarne l'estetica: è il caso di Elizabeth Keckley, nata schiava e poi divenuta attivista, nonché la modista personale dell'allora First Lady, Mary Todd Lincoln. A collaborare con questo progetto, oltre ad una serie di registi che si occuperanno dell'allestimento di ognuna delle 21 stanze – i nomi devono ancora essere svelati – ci sarà Franklin Leonard, produttore cinematografico e fondatore di The black list, raccolta delle migliori sceneggiature mai prodotte, così come Bradford Young, direttore della fotografia di pellicole come Selma e di prodotti televisivi come When they see us. Una mossa politica, che, se vuole rappresentare l'apporto delle altre comunità alla narrazione della storia dello stile americano, deve obbligatoriamente includere nel suo gruppo di curatori, delle professionalità che rappresentino, anche nel colore della pelle, quell'"altro" al centro di questo racconto (attualmente, tutti i curatori del Costume Institute sono di etnia caucasica). Un nuovo passo per riportare l'America, ora confinata in un ruolo da comprimario, a interpretare una parte di primo piano. Con il beneplacito, ovviamente, di Anna Wintour.

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