Avete mai pensato di indossare le scarpe di una drag queen o di un rianimatore? Oppure quelle di uno scommettitore d’azzardo, o del padre di un bimbo autistico che una notte si inventa una pizzeria con ragazzi come il suo? O, ancora, di una art-director che a 50 anni smette il tailleur e apre una pasticceria, o di una preside trans che diventa professoressa dopo una vita da professore...? Ora potete provarci a Milano, camminando per una decina di minuti in quegli anfibi (ma anche ballerine, sandali, sneakers, zoccoli), mentre ascoltate in cuffia la storia della persona che ve le ha prestate. Il 21 settembre inaugura nel capoluogo lombardo Mettiti nelle mie scarpe, iniziativa culturale potente e immaginifica di Fondazione Empatia, che con Piano B adatta e replica a Milano A Mile in my Shoes dell’Empathy Museum di Londra. Un’installazione di arte esperienziale che mette in pratica un proverbio Sioux, “Prima di giudicare una persona cammina tre lune nelle sue scarpe” – che per noi italiani equivale a “mettersi nei panni altrui”. Ideatrice del format la pluripremiata artista e curatrice inglese Clare Patey, direttrice dell’Empathy Museum di Londra, che spiega: «Tutti hanno una storia da raccontare. Io ho trasformato tutto questo in una realtà fisica, concreta». L'istallazione consiste infatti in una gigantesca scatola di scarpe, una sorta di negozio all'aperto dove chiunque può scegliere un paio di calzature insieme all’audio-storia del suo ex proprietario. Storie diverse, raccolte e selezionate dallo staff di Fondazione Empatia Milano per una ventina di podcast originali in italiano - cui se ne aggiungono altri dieci in inglese dell’Empathy Museum - che raccontano diversi aspetti della vita, dalla perdita alla speranza, dalla tristezza all'amore, dalla ricerca alla riscoperta di se stessi, che parlano di fatica quotidiana e di normalità, attraverso un percorso materiale e immateriale, fisico ed empatico.

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Rosie Powell


«Camminare – letteralmente - nelle scarpe degli altri e ascoltarne le storie è inaspettatamente intimo», racconta ancora Clare Patey. «L'elemento fisico è una parte importante dell'esperienza perché ogni volta che guardi verso il basso non riconosci i tuoi piedi. Cambia il tuo modo di camminare. E di vedere gli altri». L'idea di aprire un Museo itinerante dell'empatia l’aveva lanciata a Clare nel 2015 il filosofo sociale Roman Krznaric, autore del manifesto di tutti gli aspiranti empatici - Empatia Perché è importante e come metterla in pratica (Armando Editore) - ammirato dai musei “pop-up” creati dall’artista a Londra, vedi il “Museum of Me”, in cui i visitatori venivano invitati diventare curatori di “mini musei di se stessi” custoditi in mini contenitori di latta - e il Museo delle Emozioni che, a differenza dei musei tradizionali, valorizzava i sentimenti e gli stati d’animo. Il genio e la sensibilità di Clare nel creare spazi dove emozioni, empatia, sentimenti possano esprimersi liberamente avevano fatto il resto: la prima installazione dell’itinerante e immateriale Empathy Museum, A Mile in My Shoes, nasceva poco tempo dopo a Londra. Uno spazio insolito e coinvolgente, con le scarpe più incredibili, vissute e sdrucite o superstilose, oltre che un’opportunità per incrociare le vite di persone totalmente diverse dal proprio ambiente. Un modo per rimettere in discussione qualche pregiudizio. «Con i social media comunichiamo solo con persone che pensano, ascoltano, guardano il mondo nel nostro stesso modo», dice ancora Clare Patey. «A Mile in My Shoes è un'occasione per passare un po' di tempo con qualcuno che altrimenti non incontreremmo mai nel nostro quotidiano. E per vedere il mondo da un altro punto di vista. Un’esperienza che ti cambia». L’edizione londinese di A Mile in My Shoes è stata seguita da altre in tutto il mondo (Perth in Australia e Colonia solo le ultime, quest’anno). Ora approda a Milano.

L’appuntamento: METTITI NELLE MIE SCARPE, dal 21 al 28 settembre in Piazza XXV Aprile dalle 13 alle 20, curato da Fondazione Empatia Milano insieme all’Agenzia Piano B, in collaborazione con Levi’s®, è realizzato grazie al contributo di Fondazione di Comunità Milano, Fondazione Idea Vita e Fondazione De Agostini.