Un tour privato per una Milano semi sconosciuta, tra palazzi privati e giardini segreti, raramente aperti al pubblico, quasi mai visitabili: per la fashion week, la città all'ombra della Madonnina svela alcuni tra i suoi gioielli, complici brand e maison che, con il ritorno della settimana della moda in presenza, vogliono creare un'atmosfera indimenticabile per stampa e addetti al settore. E si tratta a volte, di perle incastonate nei salotti buoni della città, le cui meraviglie si nascondono dietro pesanti portoni in legno, spesso e volentieri chiusi: è il caso di casa Crespi, al 20 di corso Venezia, poco distante dall'affollatissima pizza San Babila. Qui visse Giulia Maria Crespi, fondatrice del Fai e santa protettrice di giardini, castelli e borghi da preservare per lo stivale: figlia di una delle più facoltose famiglie industriali lombarde, educata in casa da un'altra donna straordinaria, Fernanda Wittgens – la responsabile della rinascita della Pinacoteca di Brera – Giulia Maria ha abitato in questa dimora del XVII secolo per tutta la sua vita. Una struttura restaurata e ampliata dal decano dell'architettura milanese, Piero Portaluppi, tra il 1927 e il 1930, il suo giardino ha ospitato la presentazione di Santoni, calzature che arrivano dalle Marche e per presidiare la fashion week scelgono una posizione di primo livello.

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Un altro giardino, più ieratico seppur in fiore, è quello nel quale si è tenuta la sfilata del talento italiano Marco Rambaldi: il chiostro di via Cappuccio, infatti, faceva parte dell'ex convento di santa Maria Maddalena, nel crocicchio delle 5 vie, area ad alto tasso radical chic, tra negozi vintage e gallerie, a pochi minuti dal Duomo. Un edificio in stile bramantesco con loggiati dalle volte a crociera e muretti in cotto, che corrono sui lati, mentre al centro a predominare la scena c'è un'area verde nella quale si incastona il pozzo originale. E proprio all'interno di questa ex enclave religiosa, ha sfilato la coloratissima umanità di Rambaldi, proclamando l'inizio di una nuova Era di Atlantide, un età della liberazione del corpo dai pregiudizi. Il riferimento è all'”Atlantide Occupata”, centro sociale bolognese – e dove, sennò? – che dalla fine degli anni ’90 fino al 2015, ha promosso libertà ed autonomia per le donne, visibilità politica e autodeterminazione femminista e LGBTQI+.

Non solo spazi aperti, però, si fanno quartieri generali temporanei dei rendez-vous modaioli. In occasione della settimana della moda si è inaugurata Uncensored, retrospettiva dedicata al nudo maschile fotografato nella sua prolifica carriera da Gian Paolo Barbieri, un obiettivo che ha immortalato un mondo che cambiava, sulle copertine e nei servizi di magazine come Vogue Italia, Vogue Us e altri, e che poi è stato celebrato nelle collezioni permanenti del Victoria & Albert Museum di Londra, nel Kunsforum di Vienna e nel MAMM di Mosca, tra gli altri. A fare da cornice al percorso retrospettivo, una casa privata nei pressi di Porta Romana – quartiere di intestazione geopolitica pradesca – che dal 2016 in poi è sede della fondazione Gian Paolo Barbieri. Uno spazio ad un solo piano, con un'ampia sala con vetrine cariche di memorabilia del maestro – presente alla serata di inaugurazione, contorniato da una schiera di amici e devoti, lo si incrocia sul divano insieme a Giuseppe Zanotti – e una vetrata che offre una vista sul giardino esterno, invaso in maniera solo apparentemente disordinata dalla natura. Un luogo che, per molti anni è stato il vero e proprio studio di Barbieri, dove il fotografo sviluppava le sue pellicole e, qualche invitato all'opening sussurra, facesse rinfrancanti tuffi mattutini nel fiumiciattolo che scorreva nel giardino esterno, il cui letto oggi è ricoperto di fogliame.


Altro appartamento di pregio, e destinazione culturale in via permanente, è quello dove Blazé ha scelto di esporre i suoi blazer, in cima ai desiderata delle signorine per bene tra Milano e Firenze. Al piano nobile di Palazzo Marietti, struttura neoclassica sempre nei crocicchi misteriosi delle 5 vie, ha sede la galleria d'arte contemporanea Tommaso Calabro, inaugurata nel 2018. Pavimenti in legno intarsiato, stucchi, affreschi, corrimani in marmo rosso parlano una lingua architettonicamente cara alle famiglie patrizie milanesi: al momento è possibile camminare per le sue ampie stanze, tra l'altro esplorando la mostra Instant Warhol, selezione di una serie di istantanee e Polaroid realizzate dal fotografo iconoclasta negli ultimi 20 anni della sua vita. Da Grace Jones a Bianca Jagger e Diane von Furstenberg insieme al marito Egon, sulle pareti rivive un mondo oggi assai glorificato, tra lustrini e feste prive di qualunque proibizionismo (e che si può scoprire nella galleria fino al 23 ottobre). In un giardino, e però modernissimo, approda Massimo Giorgetti per presentare la sua ultima collezione, scegliendo la Biblioteca degli Alberi come cornice scenografica, e cinematografica. Sullo sfondo di jumpsuit, felpe con zip e mini dress in colori acidi, si staglia lo skyline milanese, dalla torre Unicredit al Bosco Verticale. Più istituzionale la scelta di Max Mara, che mette in riga editor e influencer, portandoli all'interno della Bocconi. Una location che il marchio ha già scelto altre volte, e che in questo caso si fa cornice nella quale vanno in scena giovani borghesi ribelli, epigoni di quella Cecilia raccontata da Françoise Sagan nel romanzo Bonjour tristesse. Mentre gli invitati sono seduti a lezione, gli studenti si posizionano sulle balconate, di fronte ad una dissertazione pratica sulla storia del costume.

Giada torna a sfilare nella Biblioteca nazionale Braidense, la terza più grande del paese – segue Roma e Firenze – annovera più di un milione di titoli, raccolti sin dall'anno della sua fondazione, il 1786. La maestosa struttura nacque per volontà dell'imperatrice Maria Teresa, alla quale è dedicata la sua sala principale. Qui si trova il primo mappamondo dove si nota lo schiacciamento dei poli, realizzato dall'astronomo Carlo Salini tra il 1818 e il 1829. Tra scaffalature odorose di legno e candelabri, non si sa se rimaner seduti a osservare in religioso silenzioso le ieratiche vestali di Gabriele Colangelo, vestite di rigorosi cappotti e maxi dress con abbottonatura laterale, o spulciare tra i volumi con lo stesso entusiasmo di un'eroina disneyana in visita nella libreria del castello.

E se Tory Burch apre agli ospiti i suoi giardini – 2000 mq di alberi secolari e sentieri in pietra che si snodano in un percorso ad anello per arrivare alla fontana centrale e a un tempietto in stile neoclassico – Alberta Ferretti trasporta Gigi Hadid & co. all'interno dei giardini del chiostro di San Simpliciano, costruito nel 1500 per ospitare i benedettini, ai quali Alberta ha sostituito top model in abiti a colonna, da divinità elleniche. Molto meno ascetica, invece, la location scelta da Hugo Boss per presentare la sua collezione nata dalla colab con Russell Athletic: dopo le fatiche spirituali, bisognerà pur dedicarsi al culto del fisico. Così il brand trasporta il carrozzone colorato e curioso della moda al Kennedy Sport Center, stadio da baseball in zone ignote a fashion editor non abituate a superare il rassicurante perimetro delle mura, e che si ritrovano in un'area periferica, tra Inganni e Baggio, scambiandola per una capitale statunitense da Super Bowl, per via della narrazione a stelle e strisce, con tanto di mascotte e cheerleader a dare il ritmo a una sfilata vivace. A scendere in campo sono i classici topos iper-sportivi di Russell Athletic, rimaneggiati dall'allure germanica di Hugo Boss. C'è Gigi Hadid, le immancabili varsity jacket, ma non manca l'iniezione tricolore di portata internazionale, nella persona di Khaby Lame, 46 milioni di follower su Instagram.

E se le maggiori maison, dotate di location di proprietà, si rinchiudono con numero di ospiti ridotto, all'interno delle loro enclavi, da Prada in Fondazione a N°21 nel famoso Garage 21 in via Archimede, Gucci scardina, ancora una volta, le regole, "hackerando" con la sua estetica assolutista, il Dazio di Ponente, antico casello daziario posto a un lato dell'Arco della Pace, oggi luogo di esposizioni spesso usate dal design. Costruito a metà 1800, tra le più importanti opere storico-architettoniche di Milano, i suoi due piani a vista, la balconata e la sala centrale, si fanno caleidoscopico labirinto nel quale si dipana il mistero più atteso della fashion week, quel Vault che poi è nuovo shop online nel quale la maison ospiterà, in un'opera di mecenatismo alquanto encomiabile, 13 nuovi designer di cui ha acquistato le collezioni (tra gli italiani Jordan Luca e Cormio, ma non mancano gli internazionali come Bianca Saunders e Collina Strada) e dei limitati drop di pezzi vintage Gucci, recuperati dal brand tra mercatini e collezioni private. Qualcuno si avvicina, pensando che il monumento sia stato trasformato in pianta stabile in uno store »powered by Gucci» alcuni chiedono se è possibile visitarlo, al pari di una mostra di arte contemporanea, magari con un artista altrettanto sovversivo, in stile Cattelan. L'allestimento però dura solo un giorno, mentre Vault vivrà esclusivamente sul web, e il Dazio di ponente tornerà a vegliare, nelle sue classiche vesti, su Corso Sempione. Un atteggiamento, in fin dei conti, connaturato alla città, quello di farsi travolgere dalle mode, dalle fashion week, dai restyling e dagli happening, senza colpo ferire, guardando chi, in gonne di piume e tacchi da scalata, si affretta, rincorso da una perenne Fomo. Domani, all'alba del giorno dopo di party ed eccessi, Milano sarà ancora lì, un po' meno raggiungibile, con buona parte di quei giardini e di quelle corti nascoste agli occhi: pronta a coltivare, per almeno altri sei mesi, il riserbo rigoroso che la avvolge, unica tendenza che non conosce stagione.