Si chiama Christian Dior: Designer of dreams, la mostra appena inaugurata al Brooklyn Museum e dedicata al più famoso tra i couturier parigini, e forse basta questo titolo, a spiegare la grandiosità del percorso espositivo newyorkese (visitabile fino al 10 febbraio 2022). Una mostra, che, in realtà, parte da basi lanciate qualche anno fa, da altre esposizioni similari (quella del 2017 al Musée des Arts Décoratifs a Parigi, quella del 2019 al Victoria & Albert Museum di Londra, e quella del 2020 al Long Museum West Bund di Shangai), alle quali l'istituzione aggiunge pezzi che fanno parte della sua collezione permanente (come ad esempio la bambola alta 78 cm del 1949 cm usata dal couturier come manichino in miniatura per portare le sue creazioni Oltreoceano nel primo dopoguerra, il primo pezzo di Dior mai acquisito da un museo americano).

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courtesy Brooklyn Museum
Un look Christian Dior scattato da Gordon Parks

A selezionare i 200 pezzi di haute couture, le fotografie, i video di archivio, gli sketch e gli accessori, sono stati Florence Müller, storica di moda, e Matthew Yokobosky, Senior Curator del Brooklyn Museum dal 2018. Un percorso epocale, così come sono stati epocali – nel senso di capaci di raccontare più di un'epoca – le creazioni di Monsieur Dior, prima, e quelle del suo allievo Yves Saint Laurent poi. A ritrarre meglio di tutti i cambiamenti e gli sconquassamenti causati dalle rivoluzioni di Monsieur (compreso ovviamente il suo New Look del 1947 che inaugurò ufficialmente l'era del Dopoguerra, e che è esposto all'interno del museo), sono le foto, realizzate nel corso di 70 anni dai, ça va sans dire, più rinomati obiettivi di sempre: ci sono le istantanee sognanti di Annie Leibovitz, i bianco e nero rigorosi di Irving Penn, il mondo camp di David LaChapelle, Gordon Parks e Horst P.Horst, senza dimenticare lo scatto che divenne leggendario, Dovima e gli elefanti. Una foto che è passata alla storia per più di un motivo: in primis per la combinazione esplosiva del ritrattista statunitense consegnato alla leggenda (Richard Avedon) e Dovima. La madre delle supermodelle (ancora prima che il termine venisse coniato, semplicemente la mannequin più pagata dell'epoca) fu musa ispiratrice del film Cenerentola a Parigi, nel quale il suo ruolo venne interpretato da una giovane Audrey Hepburn.

american model dovima posing in a christian dior dress with rolls of fabric, under the elevated railway, 3rd avenue, new york, 1956 for 'dior creates cosmopolitan drama' photo by william helburncorbis via getty imagespinterest
William Helburn
Dovima scattata nel 1956 da William Helburn in Christian Dior sulla third avenue a New York

Quella foto, apparsa originariamente nel 1955 su Harper's Bazaar ( per il quale Avedon lavorò dal 1946 al 1965) fu scattata al Cirque d'Hiver a Parigi, e fu lo stesso fotografo a ricordare come nacque lo scatto che vide la modella, sinuosa e regale, tra due elefanti che sembrava capace di domare. «Vidi gli elefanti sotto un cielo immenso...dovevo trovare il vestito giusto ma sapevo che c'era il potenziale per un'immagine che sembrasse uscita da un sogno». Il vestito scelto era sì, di Christian Dior, ma il primo realizzato dal suo assistente, un giovanissimo e timido Saint Laurent, presente sul set, dove si adoperò per sistemare ogni piega del vestito, di modo che la foto ne cogliesse la perfezione. A brillare sono anche le diverse anime che hanno trasportato Christian Dior nella loro modernità: dall'allievo Saint Laurent a Marc Bohan – omaggiato da Maria Grazia Chiuri nell'ultima sfilata per la ss 2022 - passando per Gianfranco Ferrè, John Galliano e Raf Simons. Accanto alle loro creazioni, in parallelo, ci sono stanze dedicate interamente agli universi lontani dalla moda e che però li hanno ispirati: se per il fondatore Christian Dior ci sono fiori e opere di arte contemporanea, per Yves Saint Laurent il mondo culturale dei beatnik e quello cinematografico de Il selvaggio (film del 1953 con Marlon Brando, folgorazione per il giovane couturier), Marc Bohan rivive nelle opere di Jackson Pollock, Gianfrancro Ferré in maestose strutture architettoniche, John Galliano nell'arte egizia e nelle opere dell'italiano Giovanni Boldini. mentre a Maria Grazia si deve l'impronta profondamente femminista degli ultimi anni, con lo slogan "We should all be femminist", asserzione di Chimamanda Ngozi Adichie, stampato sulle t-shirt ( oltre all'impegno ben più prosaico, a far scattare ogni collezione da delle donne.) Una missione improntata alla eguaglianza di genere condivisa anche dal museo, che è l'unico tra i più grandi sul suolo nazionale, ad avere gallerie e una collezione specificamente dedicata all'arte femminista (il Sackler Center). «Oggi, il mondo di Maria Grazia Chiuri ha dato nuova forma al sogno di Dior per una nuova generazione, con una visione che porta al suo interno l'inclusività e il rispetto come direttive filosofiche chiave» spiega il curatore Matthew Yokobosky. «Non potremmo essere più entusiasti di presentare questi prodotti innovativi, e tecnicamente perfetti, al nostro pubblico» Il mito di Dior, continua a popolare i sogni degli spettatori, e fino a Febbraio, anche le stanze del Brooklyn Museum.