Da che punto bisogna iniziare, esattamente, quando parliamo della comparsata di Carla Bruni al Festival di Cannes 2018? Forse dalle fasi di makeover opss preparazione beauty in diretta per tutto il pomeriggio sul profilo Instagram della Carlà (inter)nazionale. Forse dal selfie (s)forzato con Bella Hadid, che da un paio d’anni s’atteggia ad erede della Bruni e che quest’ultima chiama scherzosamente “figlia”. Forse dall’abito bianco di Dior, che chiamare semplicisticamente “abito bianco” è un eufemismo minimal, tanto quanto le linee rigorose disegnate da Maria Grazia Chiuri. E sì, forse potremmo partire anche dallo scatto in social-visione del look di Carla Bruni, completamente distesa su una sdraio di un grand hotel sulla Croisette, con sguardo languido, sigaretta à la main e bottiglia di birra à porter appoggiata sul petto. Una visione mistica che solo una “sopravvissuta” da Dream Team saprebbe rendere tale: più uno scatto da copertina da book table di fotografia couture dei Novanta e meno un’imbarazzante paparazzata da backstage.

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Il punto è che (ormai) siamo così abituati a vedere nel 2018 Carla Bruni in skinny di pelle e chitarra, costantemente in tour sui palchi di tutto il globo, che quasi ci siamo scordati di quanto la moglie di Nicolas Sarkozy sappia essere la roccia da red carpet che (purtroppo) i millennials disconoscono. Maxi bracciale rigido, come la corazza di chi ne ha sentite di ogni sul suo conto. Collana by Chopard dalle lunghezze XXL, come la lista di nomi delle persone che le hanno voltato le spalle pre e post evoluzione da première dame. Scollatura (s)chiusa al punto giusto, come la lunghezza del vestito da sposa-non da sposa che Carlà indossa sulla riviera francese. Come un invito implicito, un consiglio spassionato, una consulenza couture per tutte le donne sugli -anta che vogliono convolare a nozze per la prima/seconda/terza volta, o desiderano semplicemente rinnovare promesse di matrimonio, di matrimoni che si sono rivelati molto poco semplici, ingarbugliati come arrondissement parigini.