Arrivata a metà dei 50, l’idea di invecchiare bene - gracefully diciamo noi inglesi, ovvero con grazia e armonia - è una mia crescente ossessione. E guardando le colleghe europee devo dire che il mio voto va alle donne italiane. Si scrivono una marea di articoli sull’essere chic delle francesi, sulla forza delle tedesche o sull’humour e la verve delle britanniche. Ma io aspiro alla dolcezza e al calore delle italiane. Penso a Virna Lisi, a Sophia Loren (i nomi si possono sostituire con altri, a piacere). Penso alla capacità che donne così hanno di creare intorno a sé un’aura di femminilità che conforta, affascina e si evolve con naturalezza strada facendo.

È un percorso molto personale, ma ci sono alcune regole da seguire: sorridere di più, aggiungere un po’ di accessori, abbandonare il nero e indossare stampe e colori, scegliere tessuti che accarezzino il corpo, valorizzare gli occhi, mangiare sano e affrontare la vita con leggerezza e allegria. Io ho deciso di farlo più o meno quando ho cominciato a farmi ricrescere i capelli. Da quando ho divorziato, nel 2013, li portavo molto corti. Mia madre era inorridita. «Ma se hai dei bellissimi riccioli naturali!». Nell’ambiente della moda mi dicevano che incarnavo l’essenza dello chic parigino. Sì, quei capelli erano pratici ed eleganti, ma rendevano il mio viso così smunto e asessuato. E anche la mia scelta di vestirmi di blu scuro di certo non aiutava. Finché una fatidica mattina mi sono guardata e ho pensato: «Accidenti, sembro una preside e finirò per assomigliare a Theresa May!». Dovevo smetterla.

Per le parigine ho una grande stima, amo la loro disciplina e il loro atteggiamento mentale e intellettuale. Ma io ho uno spirito più indulgente e avventuroso. Fisicamente, poi, siamo proprio diverse. Spesso loro sono belle dritte e con le spalle larghe, io le ho piuttosto strette e sono tutta curve. Così ho detto un bell’arrivederci ai capi sartoriali e ho salutato con un bel buongiorno quelli che valorizzano seno e punto vita! Diciamo che ho rimpiazzato lo chic con la femminilità. E chi sa mettere splendidamente insieme tutto questo, cioè avere allure ma con personalità, più delle italiane? Mi sono tornate in mente tutte le Grandi di cui sono diventata amica o che ho anche solo incontrato, così diverse una dall’altra. Tutte vivaci, esuberanti. L’antitesi di ciò che mi faceva sentire a disagio da ragazza in Inghilterra.

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La scrittrice Gaia Servadio di fronte alla sua casa in Scozia, negli anni 60.

La prima che ho conosciuto è stata la scrittrice Gaia Servadio. Avevo solo cinque anni ma mi ha stregato. Diventata famosa per il suo romanzo Tanto gentile e tanto onesta (Feltrinelli, 1967), Gaia era sposata con William Mostyn-Owen, uno storico dell’arte che era amico dei miei genitori. Era di una bellezza assolutamente naturale che risplendeva ancora di più con i gilet ricamati, le giacche in stile afgano e gli abiti da principessa hippie che indossava. Però c’erano anche il fascino di quei modi sicuri di sé, quella sua grande fisicità, la maniera in cui mi accarezzava le guance e mi scompigliava i capelli.

La mia seconda italiana è stata Arabella Lacloche (ora Lady Lennox-Boyd). Metà anni Sessanta. Insieme a sua figlia Dominique Lacloche, un’artista che vive a Parigi, lei mi ha introdotto alle sciarpe di cashmere, all’olio di oliva e alla vera pasta (fino ad allora pensavo che gli spaghetti fossero in lattina e si mangiassero con il sugo di pomodoro già pronto). Arabella era iscritta al Politecnico di Milano e studiava per diventare una designer di giardini e paesaggi. E in quell’università decisamente di sinistra arrivava sempre alla guida della sua Bmw. Cosa che i suoi compagni di corso, lungi dal criticare, trovavano divertente. Non guastava il fatto che fosse molto bella, con una risata contagiosa e un vitino minuscolo valorizzati dalle fragranze floreali del suo Rive Gauche di Saint Laurent. A Londra lei e Dominique abitavano in St John’s Wood, vicino a Paul McCartney, e mi ricordo Arabella in giardino con le cesoie per le rose in mano anche se impeccabilmente vestita per un cocktail party. Madre e figlia erano il ritratto della gioia di vivere e divertirsi. Anni dopo sono stata ospite a Palazzo Parisi, la residenza della famiglia di Arabella sulle colline sabine, vicino a Roma. Mi ha raccontato che negli ultimi mesi, prima di morire, sua madre aveva insistito per tenere le galline preferite in camera da letto. Un’immagine di un fascino che mi commuove.

L’ho conosciuta quando avevo 17 anni: era il 1980 e a bordo di uno yacht incontrai Sophia Loren. Eravamo ospiti del produttore cinematografico Sam Spiegel e i paparazzi di
Saint-Tropez non ci lasciavano in pace. Sophia era di una bellezza sconvolgente con indosso una blusa un po’ gipsy color albicocca e una gonna dello stesso colore. Non riuscivo a staccare gli occhi da quei suoi lineamenti da stella del cinema. Mi sono sorpresa quando l’ho vista ruminare un chewing gum e lei, divertita, ha fatto una bella bolla e mi ha strizzato l’occhio. Certo, aveva tutte le curve al posto giusto, e gambe perfette, ma anche un lato tenero e giocoso. A metà anni Novanta l’ho spiata sul set di Prêt-à-porter, diretto da Robert Altman. Marcello Mastroianni, che nel film è il suo amante, indossava un accappatoio bianco, lei una guêpière. E ne usciva alla grande. Ma quello che mi ha colpito è l’atteggiamento materno che aveva nei confronti di Mastroianni. Lui era nervoso e lei lo incoraggiava, lo rassicurava, cercava di calmarlo. Qualche anno fa è arrivata alla sfilata di Armani Privé a Parigi. Sfoggiava un top bianco con paillettes e pantaloni altrettanto bianchi, ma ad attirare la mia attenzione fu il suo braccio che cingeva Isabelle Huppert. Una persona capace di aiutarti e sostenerti.

Closing Awards Ceremony - Red Carpet: The 5th International Rome Film Festivalpinterest
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L’attrice Virna Lisi

Uno dei motivi per cui le amo è perché, a meno che non siano in competizione per lo stesso uomo (presumo), le italiane sono sempre gentili con le altre donne e non lesinano i complimenti. L’ho visto con Virna Lisi e Isabelle Adjani. Eravamo tutte insieme sul set di La regina Margot di Patrice Chéreau. Io ero una prosperosa comparsa e indossavo un abito di damasco e un copricapo, Virna Lisi era Caterina de’ Medici e l’Adjani la regina che dà il titolo al film. Le riprese erano in ritardo, sul set c’era molta tensione e l’Adjani appariva fragile e nervosa. Però lasciava che Virna Lisi la abbracciasse e la confortasse. La Lisi era imbruttita dai costumi di scena, tutta occhi sporgenti e viso dal pallore lunare, ma il suo portamento aveva una grazia che suggeriva la bellezza sfolgorante che era stata. Solo quando, prima che lasciasse il set, le hanno spazzolato i capelli ho riconosciuto i suoi celebri tratti felini.

Ho parlato con Elsa Peretti. L’ho intervistata quando mi documentavo per un libro che stavo scrivendo su Loulou de la Falaise, famosa icona francese di stile nonché musa di Yves Saint Laurent. Lei e la de la Falaise avevano lavorato per lo stilista americano Halston. Ovviamente adoro le sue creazioni per Tiffany e conservo come un tesoro un pendente su una stringa di cuoio disegnato da lei. Ma Elsa merita di essere lodata anche per la sua voce roca, la fantasia e l’intelligenza. Mi godevo ogni suo commento, ogni sua impressione, così come mi godo ogni ritratto che le fanno. Peretti è una guerriera ma, essendo italiana, è una guerriera piena di charme.

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Milena Canonero nel 2007, con l’Oscar per i costumi di Marie Antoinette di Sofia Coppola

Quando ho incontrato Milena Canonero era la metà degli anni Ottanta e vivevo a Los Angeles. Lei aveva disegnato i costumi de La mia Africa, uno dei miei film preferiti, e le ho fatto il quarto grado, volevo sapere ogni dettaglio. Pare che tutti avessero poi rubato di tutto sul set e, visto il gusto infinito di Milena, capisco perché. Compra le sue impeccabili camicie a Torino, dove è nata, mentre i pantaloni blu scuro sono invariabilmente di Yohji Yamamoto. Ho avuto l’occasione di osservare da vicino la sua genialità quando ero nel cast di Marie Antoinette di Sofia Coppola. Ero una perfida contessa, seduta a un tavolo insieme ad altri aristocratici con indosso abiti malconci presi in prestito a Cinecittà (usati anche in Barry Lyndon di Kubrick, premio Oscar per i costumi di Milena). Mi avevano messo un paio di orecchini e una grande piuma tra i capelli perché «non risplendi abbastanza», diceva
Milena. Comunque poi, alla première del film, mi hanno detto che sullo schermo ero magnifica e sontuosamente settecentesca, senza fare nessun accenno allo stato pietoso dei vestiti. Quando nel 2007 Milena ha vinto l’Oscar per Marie Antoinette lo ha ritirato con indosso uno smoking, giacca e pantaloni, ingentilito da una camicia di raso con ruches chiusa sul collo da un importante fiocco nero. Ha fatto tendenza, dopo quella sua apparizione anche le attrici di Hollywood hanno adottato lo smoking.

Ogni volta che vado a pranzo con Cristiana Brandolini d’Adda resto ammirata dal suo look. Voglio sapere dove ha comprato quella sciarpa stampata, quella camicia di seta, quella maglia con i lustrini, quella collana, quei pantaloni di lana, quelle calze di seta e quelle scarpe così chic. In lei tutto è perfetto, colorato e bohémien, ma molto studiato. Un’eleganza senza tempo. Cristiana, la sorella più giovane di Gianni Agnelli, non sente l’età, sprizza energia e vita. Secondo me è grazie alla sua allegria e inesauribile curiosità. È anche per questo che ammiro tanto le italiane, perché sono curiose, allegre. Ognuna è una storia meravigliosamente imprevedibile.

Natasha-Fraser Cavassoni, classe 1963, è un’aristocratica inglese, figlia di Sir Hugh Fraser e di Lady Antonia, scrittrice e storica che ha sposato in seconde nozze il drammaturgo Harold Pinter. Natasha è scrittrice e giornalista per varie testate internazionali. Ha lavorato per Chanel con Karl Lagerfeld e ha pubblicato il memoir After Andy: Adventures in Warhol Land, Blue Rider Press. Vive a Parigi con le sue due figlie.