Un bob che più che afro è volutamente spettinato, un colletto che più che post coloniale è bucolismo à la français, il sottotono caldo che è una tela di lentiggini in versione action painting e no, non un tentativo (semi)riuscito di parodia razziale. È al secondo 00:01 che segue il lancio della foto su Instagram di Kendall Jenner su Vogue Novembre 2018 che l’ennesima polemica social-e si muove tra i corridoi (e i profili online) del magazine con sede al 4 di Times Square. Vogue Usa razzista / Vogue Usa fuori luogo / Vogue Usa carnefice del secondo caso di appropriazione culturale nel giro di un anno, il refrain/cantilena che fa il giro del mondo nelle ultime ore pone al centro della sua critica della ragion (pratica) lo scatto di Kendall Jenner by Mikael Jansson sul numero autunnale del mensile diretto da Anna Wintour. Vestita di un corsetto velo-non velo cipria o di pelle-pelouche di tigre + bikini crochet, la modella 22enne virale per natura (e DNA famigliare) protagonista della diatriba couture-discriminatoria del mese.

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“Perché non assumere una modella africana? Se cercavate una persona che non assomigliasse a una donna bianca perché avete scattato una donna bianca?”, questi alcuni dei commenti al vitriolo che gli utenti hanno scritto sul profilo Instagram di Vogue, à côté dello scatto pubblicato per celebrare il 15esimo anniversario del CFDA/Vogue Fashion Fund, un programma nato a supporto di designer emergenti. Come la label del duo del ready to wear losangelino Laura Vassar Brock e Kristopher Brock, i couturière dell’abito Brock Collection indossato da Kendall Jenner tra le pagine del numero di Vogue incriminato dalla rete. Dibattito secondo, cronologicamente parlando, solo a quello che ha investito lo scorso maggio Vogue Italia e Gigi Hadid. In copertina, infatti, la topmodel a stelle e strisce fotografata da monsieur Steve Klein appariva quasi irriconoscibile per via della fake abbronzatura/color correction esasperata dello scatto. Una bomba esplosa in Italia ma che aveva propagato le sue schegge micidiali in giro per il mondo, e che aveva avuto un epilogo simile (probabilmente anche l’unico possibile) a quello che si dispiega oggi: le scuse e l’anti-censura alla creatività di cui il brand di Condé Nast è sempre stato promotore. “L’immagine dovrebbe richiamare alla mente una ragazza edoardiana/gibsoniana dell’Inghilterra ottocentesca”, rispondono i portavoce di Vogue su Page Six, “un’idea di femminilità e stile che si traduce nei look di Broke Collection e in quell’hairstyle vaporoso tipico dei Sessanta-Settanta. Non era certamente nostra intenzione offendere qualcuno o suscitare questo tipo di interpretazione dello scatto”. Un'interpretazione realmente impossibile da prevedere? Una parafrasi così lontana dalla volontà mediatica? Un'esposizione e una "pubblicità" assolutamente necessaria? Gli interrogativi sono una valanga che ha, però, il dovere morale di NON abbattersi su una e una sola cosa: la libertà di rendere materiche le visioni dei creativi e di pungere i nostri sensi a tutto tondo. La ragione per cui, ancora, scegliamo di sfogliare.