Se non conosci il nome, muore anche la conoscenza delle cose. È il 1758 e Carl Nilsson Linnaeus, padre della catalogazione scientifica degli organismi, conia l’espressione homo sapiens per classificarci/ergerci/nobilitarci a esseri umani moderni. Sette miliardi di persone non sanno che l'universo è in cambiamento. È il 2019 e Vivienne Westwood, madre della couture engagé, recupera dai tomi impolverati di sociologia l’espressione homo loquax per svegliarci/stupirci/informarci sull’identità di chi oggi deve parlare e dire che la terra è la nostra casa. È in mezzo ai colonnati barocchi della chiesa di St John Smith a Londra che, come un epilogo didascalico della sfilata Autunno Inverno 2019 Vivienne Westwood recita l’omelia sartoriale più intensa della settimana della moda all’ombra di Buckingham Palace. “Sui miei abiti ho disegnato dei simboli che auspicano un mondo di speranza”, ha esordito la stilista troppo veloce per morire giovane. “C'è la minaccia che entro la fine di questo secolo rimarremo in 1 miliardo di persone. Gli scienziati sanno che accadrà ma non sanno esattamente quando. Dite ai bambini la verità”. Tranchant come poche, tra le righe e tra i ricami check, Vivienne Westwood oggi continua a compilare quel manifesto d’insubordinazione iniziato a redigere negli anni Sessanta, quando un corsetto steccatissimo aveva la stessa furia mediatica di un’ondata…punk, quando un sottogonna “a gabbia” apparteneva alla medesima subcultura di rottura di chi apriva (senza mai più richiuderli) varchi spazio-temporali cantando l’anarchia.

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“Siamo attivisti, siamo intellettuali, siamo persone che leggono libri. Combattiamo contro il consumismo, contro il sistema finanziario corrotto ed i politici corrotti. La Brexit è un crimine: cooperate, non tagliatevi fuori dal mondo!”. A 77 anni Vivienne Westwood fa vibrare la navata di Westminster come nemmeno Johnny Rotten i microfoni dei Sex Pistols, esibendo le prove (viventi) che un taglio di platino vale molto più di un disco di platino. L’occhiale da vista stondato color camomilla e un completo camicia + pantalone maschile doppio check, la Dama di Commenda dell'Impero Britannico lancia una provocazione: scoperchiare il vaso di Pandora per lasciare che tutti i mali del mondo contemporaneo sfilino uno dopo l’altro sotto gli occhi dei 200 invitati al défilé e sotto i pollici di chi lo ha seguito live direttamente dal proprio feed Instagram. Dal rossetto rosso e cuissardes imbevute nel metallo di Rose McGowan alle pennellate à la Pollock sul viso di Ben Westwood, figlio di Vivienne Westwood, dal cartellone propagandistico di Sarah Stockbridge in micro dress velato e pump d’ispirazione bdsm (o, come direbbe la Westwood, especially for SEX) al baschetto e minigonna tartan del modello con la white t-shirt (che scommettiamo essere) più virale della moda Autunno Inverno 2019 2020. La sfilata Vivienne Westwood ora è il corteo della prima fashion designer a sillabare la parola ecosostenibilità e a renderla concreta acquistando i biglietti di sola andata Parigi-Londra, è la parata che marcia attraverso le celebrazioni del ritorno in patria di Victoria Beckham per festeggiare il decimo compleanno del suo marchio, la prova del nove di Riccardo Tisci e il rinnovato Burberry (font in primis), le preppy girls di Camden Town di Alexa Chung e le nuvole di tulle carioca di Simone Rocha. “La Brexit è un crimine, la democrazia non funziona. Ho disegnato un mazzo di carte da gioco che mostrano il mio piano per salvare il mondo”, chiosa Vivienne, facendoci evolvere tutti in homini adorantes.

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