Non regalano molte sicurezze, questi tempi moderni. Di una cosa però, si può essere certi: anche questo venerdì, Jane Fonda e il suo cappotto rosso verranno messi in stato d'arresto. Ormai impegnata da 4 settimane nei suoi Fire Drill Fridays, proteste pacifiche e non autorizzate di fronte al Campidoglio di Washington – dove si è momentaneamente trasferita, per praticità – quando Jane si dedica a una causa, non si può dire che manchi di organizzazione e coerenza. Ispirata dai giovani leader, Greta Thunberg su tutte, che lottano per richiedere delle azioni concrete rispetto al surriscaldamento globale, da un mese a questa parte la divina protagonista iscritta nella storia degli Oscar – due volte premio come miglior attrice con Una squillo per l'ispettore Klute (1971) e Tornando a casa (1978) – ha messo la sua fama al servizio di una battaglia della quale sente l'urgenza. Fire drill, il nome del movimento da lei lanciato con profilo Instagram dedicato, è infatti traducibile dall'inglese come "esercitazione anti-incendio" e prende spunto dalla frase di Greta Thunberg, "la nostra casa va a fuoco".

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John Lamparski//Getty Images
Jane Fonda e il potere del cambiamento climatico

Un'emergenza, quella climatica, che non può più essere ignorata: tramite il sito dedicato Jane Fonda invita gli utenti a unirsi alle sue proteste, dove richiede alla (molto-poco-eco) amministrazione Trump di firmare un Green New Deal, puntando su energie rinnovabili e abbandonando i combustibili fossili, tutelando la bio-diversità e implementando l'agricoltura sostenibile. Proteste all'alba del weekend che finiscono regolarmente in arresti, divenuti presto virali. Ormai arrivata a quota 4 (senza contare quando, nel 1970, su ordine diretto dell'allora presidente Richard Nixon, fu arrestata di ritorno dal Canada, dove aveva protestato contro la guerra in Vietnam, dando origine ad un soprannome, Hanoi Jane, e a una foto segnaletica leggendaria), Jane Fonda oggi si prepara, uscendo di casa con il kit da protesta by Fonda: un megafono e l'immancabile cappotto rosso, costante cromatica che la accompagnerà fino a gennaio, cioè fin quando ha intenzione di portare avanti il progetto.

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MANDEL NGAN//Getty Images
Jane Fonda arrestata per la sua protesta sul cambiamento climatico

Sul suo cappotto rosso si sono spesi fiumi d'inchiostro, e di interrogativi: quali saranno i possibili significati semantici nascosti tra le falde, il collo ampio e la cinta in vita? A fornire una spiegazione più che convincente è stata la stessa Jane Fonda, specificando che il rosso, colore del fuoco, rimanda ai suoi Fire Drill Fridays, e che, ovviamente, le serviva qualcosa che desse nell'occhio, e richiamasse l'attenzione, mentre gli ufficiali un po' imbarazzati le mettono ai polsi le fascette in nylon (non più le manette, perché, come ha raccontato di recente al Tonight Show di Jimmy Fallon, ha le articolazioni snodate, e non è un problema per lei liberarsene, come in effetti successe nel 1970, quando, a sorpresa, fece la foto segnaletica con un pugno chiuso, e libero, bene in vista).

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John Lamparski//Getty Images
Jane Fonda in manette, di fronte al Campidoglio

Possono cambiare gli accessori e i cappelli (nell'ordine un basco pied-de-poule, un cappello con falda larga in suède e un berretto nero), si alternano gli amici famosi che l'accompagnano, e con lei si fanno arrestare – nelle scorse settimane ci sono state la co-star di Grace & Frankie Sam Waterson, Rosanna Arquette e Catherine Keener, per finire con Ted Danson, che si è definito, a 70 anni, il suo "apprendista"– ma il cappotto no, quello non cambia mai. Pare però, che l'abbia prestato, durante uno di questi venerdì, a una signora arrestata con lei che aveva particolarmente freddo, ma che poi, al momento dell'ingresso in cella, ha richiesto indietro: "lo uso come materasso", ha detto senza fare un plissé. Un pezzo ormai iconico, e comprato ad hoc per l'occasione: "mi serviva un cappotto rosso, e non ne avevo nell'armadio, ma è l'ultima cosa che comprerò", ha ribadito, specificando anche di essere contro gli sprechi del consumismo moderno. Le fashion addict di tutto il mondo, dopo 4 settimane di meme e trending topic su Twitter, cominciano a chiedere delucidazioni, che la stylist di Jane Fonda, Tanya Gill non ha fornito. Nessuno, tranne lei e l'attrice, sanno da quale maison provenga il capo, e forse è meglio così: dargli un nome, un brand, forse gli toglierebbe quella forza politica, quel coraggio sfrontato di cui si è caricato nelle settimane.

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Il cappotto indossato da Nancy Pelosi lo scorso dicembre, alla West Wing della Casa Bianca

Eppure, scavando nel passato recente della storia politica americana, c'è un altro cappotto rosso che ha scatenato lo stesso interesse: è stato quello con il quale Nancy Pelosi, Presidente della camera dei Rappresentanti, e spina nel fianco di Donald Trump, è uscita dalla West Wing lo scorso dicembre, dopo una discussione molto accesa – e diffusa a reti unificate – con l'amministrazione repubblicana. In quel caso – si trattava dell'inizio dello shutdown – Nancy ha, con la solita classe, umiliato i suoi nemici politici. L'uscita – trionfale – con indosso quel cappotto rosso, con collo alto e abbottonatura laterale – il pezzo era un Max Mara del 2013, velocemente rimesso in produzione dopo la raggiunta viralità su Instagram – è stata portata all'acme della drammaticità con un cappotto acceso, e un sorriso di una donna che sa quello che sta facendo. Cambiare il mondo, con il giusto grado di teatralità, nella preparazione e nel guardaroba. Forse Jane potrebbe avere preso appunti. O forse no, Hanoi Jane –accusata da Nixon in quel 1970 di trafficare in droga, quando portava con sé solo vitamine – non ha bisogno di modelli di riferimento. Pare che, ad essere iconica, ci riesca benissimo da sola.

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