Si dice che il blu sia il colore da indossare quando ci si sente stressati, pressati, in cerca di un po’ di pace e di relax. Blu era il colore dell’abito che la regina Elisabetta II indossava quando ha ricevuto il neopresidente degli Stati Uniti e la first lady d’America John e Jacqueline Kennedy, il 5 giugno 1961 a Buckingham Palace. Un abito che alcuni storici del costume e della moda chiamano The Cobalt Dress e che forse, un giorno, rivedremo su una delle donne di casa Windsor, così come abbiamo visto la principessa Beatrice di York con un abito e la tiara di sua nonna. Intanto, il 1961 era sicuramente un anno intenso di impegni per la regina Elisabetta II. A 35 anni aveva già tre dei suoi quattro figli, il principe Carlo di 13, la principessa Anna di 11 e il principe Andrea di un anno. Non che se ne dovesse prendere cura da sola: a tenerla occupata era più che altro il tour mondiale che aveva intrapreso per motivi diplomatici e che in quei 12 mesi la porterà negli Stati Uniti, Canada, Cipro, India, Pakistan, Nepal, Iran, Ghana, quest’ultimo sfidando i timori di un attentato segnalati dai servizi segreti.

Così è la vita di Elisabetta quando viene fissata nella sua agenda anche la visita ufficiale in Inghilterra del nuovo presidente degli Stati Uniti. La serie The Crown di Netflix ha raccontato molto bene quell’evento e ha insinuato che la regina non trovasse molto simpatica la nuova first lady. Fra tante digressioni e licenze che gli autori della serie si sono concessi, questa pare essere vera. Nella trama si parla di un filo di invidia di Elisabetta nei confronti di Jackie a partire da quando la regina madre, guardando la Kennedy in tv, dice alla figlia: “è molto giovane, pensavo avesse la tua stessa età”, ed Elisabetta risponde “infatti è così”. L'episodio è probabilmente di fantasia, ma le due donne si differivano di soli tre anni e, sceneggiature a parte, la regina era consapevole dello charme inarrivabile di Jackie. La futura first lady era stata cresciuta dalla sua famiglia, i Bouvier, sul principio di sembrare un’aristocratica, "progettata" per un buon matrimonio e perché uno dei crucci insopportabili delle facoltose dinastie americane era proprio la mancanza di un titolo (tanto che, a volte, lo compravano da nobili decaduti). Per un meccanismo paradossale, con Jackie i Bouvier erano riusciti così bene da far sembrare persino una regina, vicino a lei, una donna banale.

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Elisabetta era consapevole che quanto più Jackie sembrava "luminosa", tanto più lei rischiava di apparire “polverosa”, antica. Ma a minare la sua autostima c’erano pure alcuni giudizi che la first lady aveva espresso su di lei e che, poiché il mondo è piccolo, le erano giunti all’orecchio. Jackie aveva criticato, ad esempio, il taglio di capelli di Elisabetta. Un commento ingenuo, in fondo, perché ignorava le regole non scritte di un certo tipo di protocollo che non ammette stravaganze. Inoltre, la stampa inglese raccontava l’euforia dei britannici per l’imminente arrivo della coppia presidenziale e per Jackie, in particolare. Elisabetta doveva difendersi. Fu per questo che, invece di entrare in competizione con lei sullo stile, nel quale avrebbe perso, decise di puntare su ciò che aveva di certo e che Jackie non poteva avere: la regalità. Fu per questo che convocò il suo stilista di fiducia Sir Norman Bishop Hartnell e chiese aiuto a lui. Hartnell progetto per lei un abito da ballo in tulle Blue Royale con spalline. Ampio, da fiaba ma allo stesso tempo elegante. Qualcosa che solo The Queen poteva portare con disinvoltura, che su una first lady sarebbe apparso fuori luogo, ma soprattutto, che la Jacqueline Bouvier bambina aveva sicuramente sognato di indossare, immaginando con gli occhi pieni di stelle di sposare un principe azzurro. Hartnell abbinò all’abito un paio di guanti di raso bianco e si scelsero accuratamente i gioielli: diamanti e zaffiri. Elisabetta era perfetta, aveva vinto, e nelle foto di quell'incontro storico niente di Jackie riuscì a farla sfigurare.