Guardando le foto di sua sorella, la principessa Margaret in tour in Africa nel 1956, che sembrava sfilare in passerella con un cambio d’abito dopo l’altro, la regina Elisabetta pronunciò per l’ennesima volta la frase “doveva essere lei a regnare”. Ma i destini dei reali vengono estratti dal pallottoliere della lotteria genetica e la nascita dell’uno prima dell’altro può determinare il futuro. Se Margaret fosse stata la primogenita, il principe Carlo non sarebbe mai stato un erede al trono, avrebbe potuto sposare subito Camilla e forse oggi lady Diana sarebbe una nobildonna di rango modesto, ma viva e sposata con un uomo che l’ama davvero. Per come sono andate le cose, invece Margaret è stata sempre “la sorella della regina Elisabetta”, e per quanto la si possa includere nel circolo delle principesse tristi, c’è stato un periodo nella sua vita in cui sprizzava gioia pura e indomabile. E la esprimeva attraverso il suo stile.

Nell’anno del suo primo tour in Africa, la principessa Margaret aveva 26 anni e non aveva ancora perso del tutto la speranza di sposare il suo grande amore Peter Townsend. Soffriva il confronto con la sorella ma c'era una qualità in cui almeno primeggiava: lo stile. Questo dipendeva – forse – anche dall’obbligo della regina di supportare soprattutto sartorie e creatori di moda britannici, in particolar modo i giovani stilisti. La principessa Margaret, invece, seguiva solo il suo gusto e indossava senza obblighi diplomatici tutto ciò che voleva, anche se tra i suoi stilisti preferiti c'erano Christian Dior e Yves Saint Laurent. Quest’ultimo, nel 1958, lusingato dalla fedeltà che la principessa gli stava dimostrando, la inviterà anche alla sua sfilata autunno/inverno. Durante quel tour del 1956, Margaret avrebbe visitato Zanzibar, Kenya, Uganda e Tanzania e aveva scelto accuratamente il guardaroba, imponendosi con l’ultima parola su ognuno dei capi che le avrebbero messo in valigia. Le sue scelte risultarono azzeccate perché anche grazie alle sue mise affascinò le popolazioni locali e venne soprannominata, in una delle lingue locali, con una parola che suona come “ngabù”, che significava “colei che sa sorridere dolcemente”.

1956  princess margaret rose, younger daughter of king george vi and queen elizabeth, on tour in east africa  photo by hulton archivegetty imagespinterest
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Ma un abito in particolare le fece guadagnare le simpatie delle popolazioni africane. Era di cotone bianco percorso da sottili e delicate decorazioni in blu, con le maniche corte abbastanza da lasciare scoperti pochi centimetri di avambraccio, prima di essere celato nuovamente dai lunghi guanti bianchi. Il cappello, molto lontano dal ridondante stile delle Windsor, era nello stesso blu dei dettagli sull’abito. Ai piedi calzava un paio di slingback con mezzo tacco e senza punta, l’immancabile handbag rigida, piccola e candida. Un abito che su Margaret era la dimostrazione dell’azzeccato gioco di parole che re Giorgio VI e la regina Madre si erano divertiti a darle usando il secondo nome, “Rose”, in modo che pronunciando uno dei suoi appellativi per esteso risultasse “princess Margaret Rose of England”. La stampa anglosassone, dopo quel tour, la ribattezzò sulle copertine “leader of fashion”. Margaret tornò ancora in tour in Africa nel 1965. Stavolta era in compagnia di suo marito, il fotografo Antony Armstrong-Jones, conte di Snowdon, e nelle tante foto li si vede affiatati, come quella in cui assistono a una danza tradizionale seduti fra le autorità locali sulla tribunetta d’onore costruita per l’occasione. In realtà vivevano entro il limite massimo dopo del quale il loro matrimonio sarebbe imploso, e lo si vede anche dal guardaroba della principessa che, pur essendo ancora una giovane donna, era ormai rigidamente istituzionale. L’anno dopo Margaret aveva già un amante, lui da molto prima. Il magic moment di gioia ribelle della Rose of England era ormai volato via.