Colorato/Monocromo. Coperto/seminudo. Formale/Casual. Elegante/Noncurante. Metropolitano/Bucolico. Adulto/Adolescente. Esibizionista/Timido. Globale/Locale. Uguale/Individuale. Casanova/Solipsista. Uniforme/Unico. Ottimista/Preoccupato. Citazionista/Innovativo. Funziona così, seguendo piacevoli dicotomie, l'estetica maschile messa a punto dagli stilisti italiani per la moda maschile della prossima estate, in nome di un uomo diviso tra istinti bipolari, connesso a mondi e riferimenti culturali opposti, così opposti che alla fine diventano complementari.

Nasce una moda "slash" dove pensieri discordanti sono riuniti in una sola stagione. Meglio, in una sola sfilata. Meglio, in un solo "outfit", come scrivono i fashion blogger à la page. Così, se per Giorgio Armani e Dolce & Gabbana c'è la riconferma di una ricerca nel senso ultimo del proprio linguaggio formale, seguendo l'ormai abusata formula del "DNA Maison", nel senso che Armani ritorna alla maestria di abiti leggeri, destrutturati e di eleganza senza sforzi né sfarzi che l'ha reso leggenda nel mondo, Dolce & Gabbana distillano fino alle conseguenze estreme l'ispirazione per una terra, la Sicilia, che hanno fatto diventare una regione dell'animo, prima che geografica. A far quadrare il cerchio c'è la discussa sfilata di Prada che da un lato sembra dichiarare nel suo continuum di forme primarie, basiche ed essenziali, un richiamo all'ordine senza se e senza ma. Dall'altro lato, offre a chi ha più memoria (ed età per ricordarlo) tracce stilistiche della collezione Ugly Chic del '94, proprio quella che proiettò Miuccia nell'empireo dello Nuovo Stile (con l'aggiunta di pellicce e tenute da astratte partite di tennis discese in linea diretta tanto dagli anni 60 di André Courréges quanto da The Royal Tenenbaums, indimenticabile film di Wes Anderson).

Ripetersi, duplicarsi, reiterare: Silvia Fendi si dichiara "angosciata" da una clonazione - genetica e culturale - che riproduce sui pois che tratteggiano, come il gioco "unisci i puntini" (però fatto da Yayoi Kusama), una silhouette impallinata dalla cravatta alle scarpe che porta al collo un porta iPhone di anguilla e sotto il braccio un porta iPad di rettile. Rinnovare, progettare, modificare: con una palette di colori vibranti come rintocchi di gong visivo per abiti formali che si tingono di nuovo per gli accecanti défilé di Gucci e Massimiliano Giornetti per Ferragamo, mai così vitaminico ed energetico, nelle cromìe come nelle sneakers, vera ossessione stagionale; con uno studio di forme che racchiudono il corpo in armature più o meno corpose volute da Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli per Valentino, da Jil Sander tornata alla sua linea eponima, di Tomas Maier per Bottega Veneta che protegge il maschio prossimo venturo dalle avversità con un guardaroba taumaturgico dove Peter Pan sogna con Jack Kerouac di On the Road, Billy the Kid e Sinbad.

Antinomie ispirazionali che registrate anche in un dato piuttosto stravagante: mai viste collezioni estive così coperte, pesanti, corredate da cappottini, pullover, mantelli e addirittura canottiere in mohair nella parte superiore del corpo e mai viste collezioni così nude - bermuda, pantaloncini atletici, minishorts - in quella inferiore ("là dove un uomo non può fingere con la chirurgia, i bei polpacci o li hai o non li hai", Giorgio Amani dixit). Un uomo diviso, dicevamo. Ma anche in senso orizzontale. Che, se permettete una lettura molto maliziosa, fa pensare alla cintura di stoffa gialla che i bramini fanno indossare ai maschi che entrano nei templi induisti per "tagliare" la parte più spirituale del corpo dall'altra, più "materiale". Speriamo che la quantità di piacere prodotto - dall'anima e dal fisico - produca un'addizione di godimento. Ma soprattutto, un "più" di ottimismo, speranza, desiderio di futuro. Di cui, c'è da ripeterlo?, c'è più bisogno che di un inedito "outfit".