Luke Perry e Keith Flint, il frontman dei Prodigy, potranno anche essere morti lo stesso giorno – un nefasto 4 di marzo – ma, nonostante i titoli dei giornali del giorno dopo, gli Anni 90 continuano a vivere, almeno sui profili Instagram di molte celeb della Generazione Z e Millenial. Il grunge – quello dei Nirvana e dei Pearl Jam accompagnato da una collezione ormai culto, quella della Primavera-Estate 1993 di Marc Jacobs per Perry Ellis, che ne codificò il guardaroba – la techno – come quella dei Prodigy, che animava i rave illegali a qualunque latitudine sulle note sincopate di Firestarter – ma anche l'heroin-chic, la corrente estetica che promuoveva un nuovo modello di bellezza, identificato nella fisicità esile di una giovanissima Kate Moss fotografata da Mario Sorrenti con i jeans a vita alta di Calvin Klein, e niente altro addosso. Le top model lanciate da Gianni Versace, Naomi, Linda, Carla e Cindy, donne i cui nomi bastavano a ricordare le forme perfette e statuarie, da lì a qualche anno avrebbero ceduto il passo a nuove generazioni, più coerenti con lo spirito del tempo, che si ribellava all'edonismo degli Anni 80. Le modelle e le attrici della generazione Z, nate spesso sulla metà degli Anni 90, o addirittura nella decade successiva, di tutto ciò non hanno vissuto nulla, almeno di prima mano, ma l'aura di nostalgia che ha sempre accompagnato i nineties – spesso spinta da un battage di marketing capace di trasformarli in una decade glamour, nonostante le felpe in tri-acetato – ha evidentemente rapito anche le native digitali.

A scorrere la newsfeed del profilo di Bella Hadid (classe 1996), si scopre un'ossessione che va ben oltre gli impegni lavorativi – e sulle passerelle, in effetti, gli Anni 90 sono continua ossessione di designer forse privi di nuovi spunti creativi – ma si traduce in contributi fotografici e video che ne esaltano gli aspetti più glamour.

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I filtri della pellicola bruciano i colori, come se si fosse costantemente al tramonto su una spiaggia di Miami sul finale di un episodio di Baywatch, gli accessori sono in tricot, la sensualità è aiutata dalla colonna sonora che mixa funky e R'n'B. Nella mente romantica della Hadid, gli short in jeans strappati e i croptop a costine bianchi, uniforme seduttiva senza pretese intellettuali di sex symbol come Pamela Anderson o Stephanie Seymour – sogno erotico dei nineties, accoppiate all'epoca ad uomini altrettanto indelebili, Tommy Lee, batterista dei Motley Crüe e Axl Rose, leader dei Guns N' Roses – si fanno qui concettuali, da sfoggiare con la canonica coda alta e lucente, divisa di appartenenza non solo stilistica, ma anche intellettuale.

Impossibile, quando si tratta di Nineties, non citare il clan Kardashian-Jenner nella sua interezza. Se Kendall, nata nel 1995, non può fare a meno di allenarsi con i pantaloncini da ciclista, la linea di abbigliamento che firma con la sorella minore Kylie, Kendall+Kylie, è un tributo dichiarato a tutto ciò che ricorda l'attitudine atletica dell'epoca.

Le felpe tricolor, così vituperate, le cui foto sono state spesso eliminate fisicamente da chi le aveva indossate all'epoca, oggi sono il nuovo must have. Gigi Hadid, 23 anni, ne ha firmate alcune per la sua nuova collezione in co-lab con Reebok. A nessuno stavano così bene all'epoca, ma poco importa.

Altra vittima celebre degli Anni 90 è di certo Selena Gomez, nata nel 1992 e con 148 milioni di follower su Instagram. Se nella linea disegnata per Puma, la combo giacca e pantaloni in denim è un classico da indossare con una certa scioltezza a qualunque ora e qualunque temperatura, l'accoppiata della treccia alta con i cerchi alle orecchie riporta subito alla mente Sade, icona musicale senza tempo – e però riferimento estetico nei nineties, anni nei quali era scomparsa dalle scene per ritirarsi a vita privata, e per questo copiatissima – che proprio sul finire del 2018 è tornata dopo sette anni di assenza, con un nuovo brano, The big Unknown. Ad abbondare sono anche le foto in bianco e nero, riferimento chiaro al glamour minimalista che trasudava dalle foto di Peter Lindbergh, dove le protagoniste erano, ovviamente, le Linda, le Carla, e le Naomi di cui sopra.

Più che celebrazione di una decade mai di moda come adesso, però, ciò che riverbera scorrendo le newsfeed delle giovani donne che ricercano ispirazioni e riferimenti culturali di cui, evidentemente, gli anni 10 sono abbastanza parchi, è la trasfigurazione di un intero decennio. La peculiarità degli Anni 90, al netto di tutti i suoi errori (e orrori) stilistici, è stata la loro autenticità senza filtri, men che meno quelli di Instagram. Se Bella e Gigi Hadid pescassero dai loro armadi qualcosa di più che gli occhialini rettangolari da rave e i costumi con lo scollo alto di Baywatch, scoprirebbero dieci anni molto più complessi. Certo, di Kurt Cobain ed Eddie Vedder tornano buone le camicie tartan, ma ciò di cui cantavano i frontman dei Nirvana e dei Pearl Jam, era quello lo spirito del tempo. Oggi considerati icone di cui copiare il guardaroba, venti anni fa i due erano a pieno titolo rappresentanti di una contro-cultura, osteggiati e censurati dalla politica e da Mtv – che ad esempio non voleva mandare in rotazione Rape me, dei Nirvana, canzone contro lo stupro colpevole di un titolo troppo esplicito – e capaci di mettere in musica il disagio, molto poco glamour, che provavano gli adolescenti del tempo, cresciuti da genitori molto Eighties, che li avevano convinti che potevano essere tutto quello che volevano, fin quando erano uguali a tutti gli altri. Mentre l'AIDS saliva agli onori delle cronache in ragione delle sue vittime celebri, Freddie Mercury su tutte, le voci che non si allineavano trovavano piena espressione in quelli che poi sono diventati inni generazionali: se gli Anni 60, fortunati loro, avevano avuto gli Who con My generation, a promettere di cambiare il mondo,

gli Anni 90 si dolevano molto di non aver capito cosa farci con tutto il futuro che stava arrivando

e contro il quale ci si stava per schiantare molto velocemente (Losing my Religion dei Rem, giusto per citarne una, ma ci sono intere musicassette di Smashing Pumpkins e Red Hot Chili Peppers che urlano vendetta).

L'unica interpretazione di quell'epoca che oggi si distingue per lo stesso motivo per il quale gli Anni 90 sono passati alla storia, l'autenticità brutale, naïf e senza mezzi termini, è forse della più giovane di tutte, Billie Eilish. La diciassettenne cantante esplosa quest'anno con un talento che poco ha da spartire con i social e una bellezza evidente, ma spesso camuffata da baggy pants e tute extralarge – retaggio, ovviamente, degli Anni 90 – indossa felpe giallo acido e bandane monogram che renderebbero orgoglioso Tupac, e sfoggia una chioma azzurra, molto simile a quella che aveva Gwen Stefani agli inizi, quando militava nei No Doubt. I temi che affronta nel primo album appena uscito, When we all fall asleep, where do we go? afferiscono alle insicurezze e al senso di smarrimento di cui gli Anni 90 erano pieni, raccontandoli su note contemporanee, che mischiano dubstep, jazz, rap ed elettronica. Sul suo profilo si fa fatica a scovare un post artefatto, un adv o una collaborazione che strizzi l'occhio al mondo della moda, dalla quale si tiene a dovuta distanza.

Billie non vuole piacere proprio a nessuno

tranne che a se stessa (forse), e per questo atto rivoluzionario in un'epoca di insicurezze nascoste a suon di filtri e riferimenti storici plasmati secondo le necessità, piace proprio a tutti, compreso Dave Grohl, il batterista di quei Nirvana che gli Anni 90 li hanno vissuti (e raccontati), che ha recentemente ammesso di averla scoperta grazie alle sue figlie, “che sono ossessionate da lei”. Sancendo che forse, l'unico modo per rendere onore ai Nineties, non è riproporne il guardaroba e l'estetica, ma adottandone la filosofia: quella di distinguersi, e rifiutarsi di seguire strade già battute da altri. Guardandosi meno allo specchio, e di più dentro.

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