Li vediamo ovunque, su chiunque. Sono la divisa di un’armata pacifica che non esclude nessuna. Di qualsiasi età. E di qualsiasi forma.I leggings sono riusciti a diventare l’emblema della discordia tra chi li considera gli alfieri della lotta al patriarcato e chi, invece, un altro dei tanti segni di decadenza del decoro e declino dei tempi in cui viviamo. Infatti, c’è chi accusa le celebrity di farne un uso sconsiderato e imporre di conseguenza un messaggio estetico discutibile - vedi Kim Kardashian, da sempre in leggings - e contro chi porta alta la bandiera di una moda comoda, talvolta non allineata alle proposte sulle passerelle.

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Madonna in concerto a Chicago nel 1985

Partiamo dalla cronaca. Due anni fa la United Airlines ha impedito di partire a due adolescenti con i leggings. Viaggiavano con un biglietto riservato ai famigliari del personale di volo, ma questo poco importa. In segno di protesta, aziende come Puma hanno risposto con sconti del 20% sull’acquisto di leggings per chi avesse presentato un biglietto della compagnia aerea. E due mesi fa una madre ha scatenato un polverone in un’università dell’Indiana, chiedendo all’Ateneo di vietare i leggings alle ragazze. Il motivo? Distraggono i figli maschi. Per tutta risposta le ragazze dell’Ateneo hanno indetto un Leggings Pride, una giornata dell’“Orgoglio Leggings” in cui hanno chiesto agli studenti, sia maschi sia femmine, di indossarli e magari farsi fare una foto per condividerla sui social con l’hashtag #leggingsdayND.

Passiamo all’economia: secondo un report di The Business of Fashion, ci sono al mondo ben 11 mila varietà di leggings. E solo negli Stati Uniti, per acquistarli, ogni anno vengono spesi 48 miliardi di dollari. Forse è arrivato il mo-mento di parlarne più seriamente. E chiedersi perché riescano a scatenare reazioni così acce-se, situazione paradossale perché non c’è dubbio che piacciano a donne così diverse.

"E se fossero il futuro? Fatevene una ragione". A sostenerlo è Vanessa Friedman, firma di punta della moda per il New YorkTimes che ha dedicato al tema un lungo articolo, It’s Possible Leggings Are the Future. Deal With It, riflettendo su come un capo così pratico possa suscitare controversie.

Il punto è che, soprattutto quando si tratta di moda, a volte sotto la superficie si nascondono discorsi complessi e meno banali di quanto ci si aspetti. Del tipo: siamo tornati a un momento storico in cui si tiene molto, troppo conto dello sguardo maschile e ci si chiede qual è il confine tra vestirsi in modo comodo e diventare un oggetto sessuale? Oppure, cambiando prospettiva:non è che i leggings diano così fastidio perché molte donne se ne fregano di avere un corpo perfetto e se li infilano senza alcuno scrupolo estetico? Per esempio, un’addetta alle vendite di un negozio del centro a Milano ci ha spifferato: «Osservo continuamente le donne che li comprano: be’, si fanno molti più problemi le magre».

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Marisa Berenson con leggings Versace nel 1990

Un dato, comunque, è certo. Li indossano la maggior parte delle giovani di oggi: un’ondata di adolescenti con le gambe sigillate da leggings perlopiù neri, portati con magliette oversize, vestiti, top che lasciano scoperta la pancia. Verrebbe da dire «grazie, ragazze. Chi non ha fatto altro che nascondersi in quei pantaloni a gamba larga che spopolavano negli anni 90 non può far altro che esservi grato».

Solo i jeans possono gareggiare con loro in trasversalità. Le ragioni evidenti per cui sono così popolari sono facilmente riassumibili in tre aggettivi: economici, comodi, multiuso. Si può passare da una lezione di yoga a un appuntamento di lavoro aggiungendoci un blazer blu. O sotto un abito abbinandoci gli accessori giusti. Li indossa la manager in viaggio, magari con dei sandali neri e sotto a una giacca, copiando il look delle dive in Hollywood quando sono in libera uscita. Li indossano le ex ragazze degli anni 70, che dopo averli dismessi negli anni 80 oggi li rubano alle figlie.Li indossa Melania Trump, attillatissimi e color carne, accompagnando il marito in Iraq.

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Lady D nel 1994.

Certo, il rischio potrebbe essere quello di un’omologazione del gusto collettivo. “Cari bacchettoni, rassegnatevi: i leggings sono brutti, non immorali”, ha titolato la blogger dell’Huffington Post Adalgisa Marrocco: ma qui cadiamo in giudizi di tipo estetico e non moralistici, ed è davvero un altro discorso. È cambiato il modo in cui li scegliamo e li indossiamo: basta fare un giro per le strade per vedere quantità di signore con gambe rivestite di modelli di eco-pelle e teenager che li piazzano sotto gli shorts o le minigonne. Che rientrino nella categoria del buono o del cattivo gusto, a questo proposito ci sembra irrilevante. Del resto «le vendite dei leggings non sono mai diminuite», racconta una commessa in un altro negozio. «Rappresentano quel capo che nel nostro gergo si chiama “continuativo”. Non c’è una fascia di età o di ricchezza specifica». Oraci sono addirittura i treggings, un gioco di parole tra trousers, “pantaloni”, e leggings.

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Gigi Hadid

È anche vero che la percezione cambia: se chiedete a una 15enne quale sia il loro significato, li abbinerà a concetti di benessere, sport, movimento, quello che si chiama Active Wear. Se lo chiedete a una ventenne, vi risponderà quasi sicuramente che per lei sono un capo basico, uguale in tutto e per tutto alla funzione di una T-shirt bianca, di una felpa, di un paio di jeans, come dicevamo prima. E a una donna più adulta non richiamano più la sensualità, ma una conquista in termini di confortevolezza.

A una fermata del tram o del metrò, nelle metropoli o nei paesini, fermatevi a guardare. Forse è una delle prime volte in cui vediamo vestite uguali una ragazzina e sua nonna, che forse è stata a sua volta una ragazza del secolo scorso in prima fila nella battaglia per il diritto alla minigonna. E chiedetevi che senso ha fare questioni di eleganza o trasandatezza quando fanno sentire davvero tutte a proprio agio.

Nell'immagine d'apertura: l'attrice Chris Noel, meglio conosciuta come "la voce del Vietnam", negli anni 60