Otto mila litri d’acqua. Tredici chili di emissioni di anidride carbonica. Dieci chili di coloranti chimici. Adesso moltiplicate tutto per 2 miliardi, ovvero le paia di jeans prodotte ogni anno dall’industria tessile. Seconda solo a quella petrolchimica per tasso di inquinamento. È una lezione di matematica distopica quella che ascolto mentre, con camice bianco e cuffietta, passeggio tra le stanze dove i sogni in tela indaco e rivetti rame diventano realtà. Banyeres de Mariola, una manciata di chilometri da València, apice della Cordigliera di Bets, lì dove i verdi delle querce trafiggono gli occhi e le palette caramello delle rocce si fondono alle nostalgie bucoliche, lì dove all’ombra della macchia mediterranea è custodito il segreto del denim più sostenibile al mondo. Un denim che non ha dimenticato il pionerismo del suo inventore, l’americano C.C. Hudson di Greensboro in una Carolina del Nord di primo Novecento, e che proprio per questo ha deciso di dimenticare le tecniche di produzione che guardano al passato e distruggono il futuro.

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Tra l’antichissima industria di filati Hilaturas Ferre e la fabbrica tessile Tejidos Royo, sulla costa sud-orientale della Spagna si geolocalizza (e concretizza) la più grande rivoluzione contemporanea nella storia dei jeans guidata da Wrangler. La maison che ha reso più resistenti e durature le cavalcate dei fantini da rodeo, che ha unito gli universi di Bob Marley e John Lennon attraverso giacche spesse e quelli di Freddie Mercury e Steve McQueen a ritmo di pantaloni bianchi aderenti all’ultimo respiro, oggi lancia il primo jeans creato con lo 0% di acqua e il 100% di basso impatto ambientale, dalla filatura alla tintura alla routine lavorativa dei suoi dipendenti. Indigood è il nome dell’ultima collezione di jeans Wrangler votati alla sostenibilità, è il mantra della nuova filosofia di bandiera devota all’eco-evoluzione, è la promessa consacrata da una passione e una ricerca alimentate costantemente da più di cento anni.

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Wrangler Courtesy

“Tutti abbiamo un toro da affrontare nella vita, ma le cose migliori al mondo sono difficili”, dritto come un fuso (di fibre indaco) il pensiero di Sean Gormley, direttore creativo di Wrangler, si/ci lancia una metafora memore dell’heritage d’azienda popolato da cowboy sprezzanti del pericolo, “e realizzare un jeans completamente sostenibile era una di queste”. Superare l’ostacolo usando la stessa etica dei codici non scritti dei gauchos americani è il punto primo del manifesto green che il brand vuole divulgare anche nella nostra società liquida. “Quello della sostenibilità oggi sembra essere l’unico lasciapassare per posizionarsi nel mercato della moda, ma non possiamo fermarci a questo, dobbiamo iniziare a pensare e agire in maniera circolare”. Think circular quando mettiamo in commercio qualcosa, think circular quando acquistiamo qualcosa, think circular prima di sovvenzionare la catena fatale del fast fashion, “che riempie compulsivamente i nostri armadi rovinando l’ambiente”.

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Il pensiero circolare di Sean e del suo team, orientato al riuso dei vestiti o delle materie prime utilizzate, fa pendant con un altro inglesismo/concetto cardine della moda sostenibile, il processo di upcycling. Ovvero l’obiettivo di trasformare materie prime molto cheap in qualcosa di prezioso. Come un paio di jeans Wrangler Indigood, nati a partire da filati riciclati e poi sottoposti ad un’innovativa tipologia di tintura che dimezza i passaggi di lavorazione, riduce al minimo gli sprechi, elimina l’uso di sostanze chimiche (tipiche del classico processo di dyeing) e l’acqua, evitando il fluire di “fiumi blu” inquinanti. Così, come in tutti i migliori “risvegli”, mattutini o industriali che siano, la chiave di (s)volta è un cappuccino. Sì, un cappuccino. È con questo termine che i piccoli grandi chimici della fabbrica di Tejidos Royo in combo con gli alumni illuminanti della Texas Tech University si riferiscono alla particolare schiuma ideata per tingere le tele di denim sostenibile. Non tossico, non chimico, una lista di ingredienti che si conta sulle dita di una mano (o forse meno…), montato a neve come gli albumi di una meringa gourmand…. Ci sono voluti 15 anni per mettere a punto la ricetta del cappuccino color indaco, ci vorrà solo una stagione couture (la prossima) per formare una nuova generazione di cowboy metropolitani gentili.

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