Cincilla, volpi, visoni, no more. Sembra davvero tramontato per sempre il sole sulle pellicce animali - con grande sospiro di sollievo delle associazioni animaliste che per questo risultato lavoravano da molto. A sancirlo non sono più solo loro - accompagnati da una nuova generazione di acquirenti, i Millennials, molto più consapevoli e attenti di chi li ha preceduti -perché a dare man forte sono arrivate anche le principali maison del lusso. Se del suffisso “eco” Stella McCartney ha sempre fatto questione identitaria, secondo un articolo della BBC “Is this the end for real fur?” negli anni si sono messi in scia - non si sa se per un ritrovato spirito critico o per mancanza di profitti, e forse ora non è più rilevante- Jimmy Choo, Versace, Tom Ford, Michael Kors, Maison Margiela e John Galliano, che hanno detto addio all’utilizzo di pellicce animali per creare pellicce finte che sembrano vere. Come dimenticare poi il canto del cigno di Christopher Bailey che per chiudere la sua esperienza quasi ventennale da Burberry ha mandato in passerella una Cara Delevingne in pelliccia multi-color (e fake)? Invitato nel 2017 al London Fashion College, Marco Bizzarri, l’attuale ceo di Gucci, aveva chiesto agli studenti: “vi sembra moderna, oggi, l’idea della pelliccia? A noi no, ed è per questo che non le usiamo più”. Una sensibilità che si è estesa alle fashion week - dove Londra è stata la prima a sancire che durante la sua settimana della moda si sarà fur free - e ad alcune megalopoli virtuose: di recente Los Angeles ha annunciato che è divenuto illegale entro i suoi confini, acquistare, produrre e vendere pellicce. Un diktat che si estenderà all’intero stato della California entro il 2023. Conclusasi l’era del visone, si apre la primavera delle eco-pellicce, mercato che secondo uno studio di Navio Tech entro il 2023 crescerà di circa 129 milioni di dollari, segnando un +19% all’anno. Più dei numeri, però, ha fatto nel concreto la Regina Elisabetta, istituzione senza tempo, che ha di recente annunciato che anche lei è convertita al fur free. Una dichiarazione che Shrimps, marchio inglese che produce pellicce eco dal 2013 ha festeggiato con una foto -creata, come i suoi prodotti, in maniera artificiale - condivisa sul suo Instagram, dove The Queen indossa una loro pelliccia. Di recente però, ai Fashion Icon Awards di Harper’s Bazaar Uk, li ha indossati sua sorella Margareth - o meglio Helena Bonham Carter, attrice che la interpreta nell’acclamato serial Netflix - quindi il sigillo reale non manca di certo. Nato dalle mani di Hannah Weiland in un momento nel quale, comprare una pelliccia eco voleva dire sostanzialmente sceglierne una di bassa qualità, il brand tinge i cappotti di colori pastellati e sogni eco-conscious, creando prodotti che sono fatti per creare molto più di una stagione e che anzi, nelle parole di Weiland, si “passeranno di generazione in generazione”.

Espiazione su tessuto di una ex amante delle pellicce vere è invece House of Fluff, nato nel 2015 dalla mente di Kym Canter, ex creative director di un marchio che invece sull’utilizzo dei cappotti in visone aveva una policy diversa, J Mendel. “Avevo tutti questi cappotti glamour e a un certo punto mi sono detta che era folle, da amante degli animali quale ero, a indossare dei pezzi che non erano coerenti con quell’idea”, ha affermato parlando del marchio, che, tra stampe leopardate e Teddy bomber, ha innegabili vibrazioni rock’n roll, che fanno subito venire in mente icone che a quei miti del rock erano legate a filo doppio, come nel caso di Anita Pallenberg e a Marianne Faithfull. Cantanti, modelle, ma soprattutto ex di Mick Jagger e Keith Richards - nel caso della Pallenberg, entrambi - sembra di vederle camminare per le strade di Londra o New York con quegli stessi cappotti e vestiti con i quali avevano dormito la notte prima, dopo party senza limiti e orari. La Seine et moi è invece opera di una francese, Lydia Bahia, che ha deciso fosse il momento di fondare un marchio di luxury vegan fur, insignito del Peta Award. In questo caso le vibrazioni sono molto più parigine, e ricordano le veneri in pelliccia sulla riva della Senna negli Anni 60, Catherine Deneuve e Jane Birkin. Infine c’è Apparis, visione di due ragazze francesi a New York, binomio che sembra già trama perfetta per una rom-com, che hanno creato brand 100% cruelty free e vegan, dalle tinture alla produzione - che è limitata, per evitare sprechi. Le fondatrici Amélie Brick e Lauren Nouchi hanno inoltre appena lanciato una co-lab con un’istituzione newyorchese, Diane con Fürstenberg, nella quale le stampe psichedeliche dei wrap dress si disegneranno sulla tela di cappotti e bomber.

Tutto risolto quindi? Non proprio. Se è vero che era necessario affrontare e chiudere una volta per tutte il capitolo “visoni and Co.”, non si può dire che questa new era del faux fur sia la soluzione a tutti i mali. I pezzi vengono spesso realizzati usando il modacrylic, polimero sintetico cugino stretto dell’acrilico e prodotti derivato dalla raffinazione del greggio. Oltre a essere quindi materiale non certo eco - ma neanche riciclabile o biodegradabile - il cocktail di chimici utilizzato per tingerlo non è di aiuto, con le sue emissioni Co2. Talloni d’Achille di un business appena nato, e quindi fragile, su cui, secondo Canter, puntano moltissimo i “poteri forti del cincillá”, nel tentativo di boicottare con una pubblicità tendenziosa. “ La produzione di qualunque tipo di capo ha un costo in termini di emissioni di carbonio” spiega la Canter. “La differenza è che chi fa pellicce eco sta tentando di fare qualcosa nel pratico per salvare il pianeta”. Certo però si sta studiando per mettere a punto materiali inattaccabili sia dal punto di vista etico che da quello ecologico. Nel Faux Fur Institute presieduto da Arnaud Brunois si sta studiando attraverso la biotecnologia una nuova fibra, creata al 40% da piante, e di conseguenza organica. Inoltre sono al vaglio metodi che migliorino il riciclo del modacrylic, o che trasformino addirittura i tessuti sintetici in energia.

Siamo sulla giusta strada? Probabile, il cammino virtuoso di queste nuove forze che operano per il bene degli animali - e anche per il nostro - può e deve essere aiutato a divenire inattaccabile, cosicché gli stand dei negozi si carichino di merce conscious, eco.....e nuova di pacca. Ci si pensa mentre si da uno sguardo nell’armadio di un’augusta genitrice che aveva comprato diversi decadi fa una pelliccia in volpe, indossata poche volte e poi infilata con molti sensi di colpa in fondo al guardaroba. Quella volpe non meritava il destino tremendo che ha subito, ma non merita neanche di essere, forse, infilata a forza in fondo a un cassetto di casa e della memoria, come un peccato con il quale non si riesce a fare i conti. E se invece la smettessimo di comprare, e iniziassimo a ri-usare ? Sarebbe davvero la fine del mondo?