Lenzuola in lino con cifre ricamate ma stese con tanto di mollette di legno. Un chiostro medievale trasformato a orto con i pomodori, rosmarino, cavoli e tante altre piante verdi. L’ultima installazione di Chanel dentro il Grand Palais spiazza tutti perché nella sua giustificata riproduzione del chiostro dell’abbazia circestense di Aubazine, nel cui orfanotrofio Mademoiselle Gabrielle ha passato sette anni, c’è ancora un’inaspettata aria di tristezza. Che questo allestimento si aspettava cancellasse.

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Dal vivo, il brutalismo verde dello spazio ti costringe a guardare i minimi dettagli in ogni zona: l’acqua finta sotto le lenzuola, le poche cultivar tipiche della zona che fioriscono a Novembre (mese ahimè severo ma l’unico possibile per Virginie Viard per visitare questo paese della regione del Corrèze) o il pozzo centrale sono come nella congregazione del Santo Cuore di Maria, eppure manca qualcosa. Forse la meraviglia a cui per anni gli affezionati di Chanel sono stati abituati. Stupore e sensazionalismo sono stati sostituiti da astrazione e concettualismo. Ragion per cui non serve mostrare la piazza Coco Chanel che c’è a Aubazine ma neanche le vetrate da cui si dice si sia ispirata Mademoiselle per il logo con la doppia C. Rigore, discrezione, intimità sono i nuovi valori di questa sfilata. Che però a livello di capispalla e abiti è ancora da Chanel Haute Couture.

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Per essere sicuri, siamo andati il giorno dopo anche in atelier e fra una prova e l’altra delle clienti (le sale di prova occupate dal mattino e perfino Anna Wintour ha potuto solo dare un’occhiata senza provare niente) si scopre che i tailleur sono sovrapposizioni di tre tessuti poi dipinti a mano come la luce dei rosoni della chiesa. Solo da vicino si notano che quei jacquard (cioè creati da particolari telai) sono invece file opposte e precise di paillettes opache. E poi quei tweed, che da lontano sembrano rigati, per effetto ottico diventano un mélange. L’occhio di falco di Virginie Viard per i dettagli e la continua ricerca del suo team rendono ogni look ancora una volta un’opera d’arte. Senza dimenticare il rispetto della silhouette.

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Come la première d’atelier flou (ovvero la sezione degli abiti da sera) Olivia Douchez ha ammesso «Virginie Viard valorizza ancora di più il corpo delle donne, con linee femminili come non mai e le clienti ora hanno ancora più tentazioni da scegliere». A rendere ancora più amabile la timida Virginie, c’è anche il fatto che quando il mese scorso gli scioperi sfiancavano la vita delle persone, lei stessa abbia chiesto a Chanel di offrire gli hotel in zona atelier alle lavoranti, proprio per rendere meno traumatico il lavoro delle pendolari che abitano nella periferia o in città diverse da Parigi. Un gesto che Coco e Karl non avrebbero fatto visto che la prima era contraria agli aumenti e agli scioperi e l’ultimo guardava soprattutto al risultato. Chapeau!

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